Isabella Chierici
Untamed è una miniserie thriller Netflix di sei episodi che, fin dalle prime immagini, riesce a catturare lo sguardo con la sua ambientazione mozzafiato e a mantenere vivo l’interesse grazie a un’introspezione emotiva profonda. Il titolo stesso, Selvaggio (in italiano), fa una premessa sul tono utilizzato: una narrazione che gioca su contrasti fortissimi, tra la bellezza incontaminata dello Yosemite National Park e le ferite psicologiche di chi abita o vive la natura. Il risultato? Una storia che affascina per atmosfere e personaggi, lasciando addosso un silenzio denso di riflessione.
Il punto di partenza di Untamed è semplice quanto efficace: durante un’arrampicata, due ragazzi trovano il cadavere di una giovane donna precipitata da un'alta parete rocciosa nel cuore del Parco Nazionale dello Yosemite. Una scena che all’inizio pare un incidente, persino un suicidio, fino a quando un proiettile trovato nella gamba della vittima cambia le carte in gioco.
L’inizio promuove un doppio registro narrativo: da un lato, un giallo sospeso tra mistero e natura; dall’altro, un viaggio nell’introspezione e nel dolore. Al centro c’è però Kyle Turner, interpretato da un intenso Eric Bana che, tra espressioni e silenzi, racconta la tragedia del suo passato. Ranger del National Parks Service, Turner si è ritirato dai ritmi della vita quotidiana dopo un grosso lutto, scegliendo di vivere immerso tra rocce, alberi e solitudine – rifugio e, al contempo, specchio della sua disperazione. L’uomo sembra quasi parte della natura selvaggia, tanto da comprenderne ogni respiro, mutamento e segreto che essa cela.
Accanto a lui troviamo Naya Vasquez, poliziotta di Los Angeles, simbolo della società urbana che si scontra con la natura selvaggia. Il suo arrivo al parco introduce un dinamismo da buddy-series: lei caotica, da città; lui taciturno, sospettoso. Due mondi contrapposti che imparano a collaborare e scoprirsi, in un reciproco processo di conoscenza e vulnerabilità.
La struttura narrativa di Untamed mette insieme il caso della settimana con un riesame più profondo dei protagonisti: ogni indizio ritrovato è in realtà una tessera di un puzzle che intreccia misteri, segreti personali, storie familiari sospese. La ragazza uccisa è il pretesto per svelare le fragilità dei protagonisti: Kyle lotta con la fine del matrimonio, mentre Vasquez con le responsabilità di essere una madre single. Persino il loro superiore, Paul Soter (Sam Neill), ha un mondo privato doloroso da affrontare, che viene rivelato solo alla fine della miniserie.
La natura, spettatrice silenziosa, diviene a sua volta un personaggio, con la sua bellezza ingannevole – suggestiva nelle panoramiche, avvolgente nei silenzi. La senti attorno, come fosse viva, e capace di celare pericoli. Lo Yosemite National Park non è solo sfondo scenografico, ma cornice narrativa, potenza che sovrasta i protagonisti e a cui è impossibile sfuggire: il suo fascino e il suo pericolo convivono, così come i traumi dei personaggi con il loro presente.
Dal punto di vista tematico, Untamed parla di colpe, incoerenze, omissioni trasformate in tragedie – una serie di inneschi emotivi che esplode in drammi reali. Ogni personaggio porta con sé un peso: Turner è trasfigurato dal senso di colpa; la sua ex moglie Jill (Rosemarie DeWitt) è segnata da segreti irrisolti; Vasquez è minacciata dagli errori passati che tornano a fare capolino nel suo presente. Tutti sono costretti a guardarsi dentro e la serie intreccia questa introspezione con il percorso investigativo: non è solo questione di trovare un colpevole, è comprendere cosa ci rende colpevoli.
La fotografia valorizza l’aspra bellezza del parco: nebbia, foreste, corsi d’acqua silenziosi, cieli vasti all’imbrunire — elementi carichi di tensione, bellezza e mistero. Il regista Mark L. Smith costruisce un mondo che sembra respirare assieme ai protagonisti, grazie a una regia sensibile al paesaggio e al ritmo interiore.
Il cast di Untamed è un valore aggiunto: Eric Bana incarna quel giusto equilibrio tra forza e fragilità; Lily Santiago sorprende come madre single e poliziotta emotivamente ferita, credibile e complessa; DeWitt e Neill, pur in ruoli secondari, danno profondità emotiva e materica al racconto.
Una serie, però, che non è priva di sbavature. Talvolta la molteplicità delle sottotrame rischia di dispiegarsi con uno stacco narrativo eccessivo: l’equilibrio tra giallo, dramma personale e buddy drama non sempre è perfetto. Inoltre, gli spunti legati alle tradizioni native restano appena accennati, senza pieno sviluppo. Alcune risoluzioni appaiono prevedibili e chiudono senza lasciare spazio a sviluppi futuri: l’epilogo risolve il cerchio narrativo, ma lo fa con un tocco di prevedibilità che diluisce un po’ la tensione accumulata.
In definitiva, Untamed è una miniserie che funziona perché sa raccontare un thriller umano, non feroce, ma vivido. La natura non è solo ambientazione, ma paradigma della fragilità umana: forte, implacabile, ma capace di guarire tanto quanto di ferire. I protagonisti combattono con il passato, con le maschere che si sgretolano nella solitudine del parco; lo spettatore ne sente la gravità, ma anche la potenza narrativa.
Per chi ama le serie che restituiscono quell’equilibrio tra dramma interiore e tensione investigativa, Untamed è quella giusta, perché nella sua linearità lascia un’impronta lenta, viscerale, insistente. In un mondo in cui le serialità corrono sempre verso l’azione, questa miniserie sceglie la riflessione. Ora l’unica domanda che occorre porsi è: siamo pronti a seguirla nella natura selvaggia?
Foto 1: nytimes.com (ultima visita 28/09/2025)
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Foto 3: comingsoon.net (ultima visita 28/09/2025)
Foto 4: thepeoplemovies.com (ultima visita 28/09/2025)