Isabella Chierici
Tra le proposte della Marvel maggiormente approvate dalla critica che trattano il multiverso, spicca la serie tv Loki. Cosa si intende però per multiverso? Prendiamo ad esempio un personaggio conosciuto per la sua bontà d’animo e saggezza. Questo, secondo le teorie della Marvel, in un altro universo potrebbe essere arrogante e stolto. Allo stesso modo, un protagonista dato per morto nella storia principale, in un mondo parallelo, potrebbe essere ancora vivo. Ed è ciò che accade al dio dell’inganno più amato dai fan.
Con l’avvento della quarta fase, la Marvel Cinematic Universe (MCU) ha ufficialmente introdotto il tema del multiverso nei film e nelle serie tv di sua produzione. Un concetto tanto importante da dare il nome alla saga attuale e che ha permesso, da qualche anno a questa parte, di aprire gli orizzonti dell’immaginazione degli sceneggiatori. Grazie a questi nuovi contenuti, è possibile esplorare diversi mondi e realizzare, di conseguenza, un numero potenzialmente infinito di storie.
Con l’uscita della prima stagione sulla piattaforma Disney+ nel 2021, la serie tv Loki si ripropone a distanza di due anni con sei episodi conclusivi. Una scelta che è stata accolta dal pubblico come una ventata di aria fresca, soprattutto dopo un susseguirsi di progetti fallimentari che hanno allontanato, dal grande e dal piccolo schermo, molti fan, anche quelli più appassionati.
Prima di partire con la recensione della stagione conclusasi il 10 novembre di quest’anno, è necessario focalizzarsi sui fatti avvenuti nei sei episodi precedenti.
La puntata pilota di Loki ci riporta ad alcuni eventi narrati in Avengers: Endgame, nel momento in cui Loki (Tom Hiddleston) viene catturato a New York dagli Avengers per essere riportato ad Asgard, il regno da cui proviene. Nella serie, però, la storia prende un’altra strada. Il dio dell’inganno, infatti, riesce a fuggire dai supereroi. Viene però arrestato poco dopo da alcuni Custodi del Tempo, persone che lavorano per la Time Variance Authority (TVA), un’organizzazione che si assicura di mantenere l’equilibrio della Sacra Linea Temporale. Il Loki che vediamo in questa serie altro non è che una variante, ovvero un personaggio esistente solo nel (e grazie al) multiverso.
Durante i primi episodi, messo alle strette da Mobius (Owen Wilson), un pezzo grosso della TVA, Loki decide di collaborare con l’organizzazione eliminando altre varianti come lui. Queste sono loro stesse le protagoniste di scenari alternativi che si creano ogni volta che gli eventi non seguono il loro corso naturale. Nel corso delle prime sei puntate, il dio dell’inganno, aiutato da Sylvie (Sophia Di Martino), una sua versione femminile, e da Mobius stesso, scopre che tutto ciò che riguarda la TVA è una copertura. Dietro a tutto il teatrino della Sacra Linea Temporale c’è Colui che rimane (Jonathan Majors), conosciuto anche come Kang (personaggio ripreso anche nel film Ant Man and the Wasp: Quantumania). È lui, infatti, che controlla lo spazio e il tempo e sceglie quale sia la Storia e quali le sue “inutili” variazioni. La serie si conclude con Sylvie che uccide Kang e il mondo che, senza più regole, inizia lentamente a collassare su se stesso.
La seconda stagione di Loki, perciò, inizia con la Sacra Linea Temporale che sta crollando e rischia di mettere a repentaglio l’esistenza dell’intero multiverso. Loki, aiutato da Mobius e Ouroboros (Ke Huy Quan), un tecnico che si occupa della riparazione e del potenziamento degli apparecchi della TVA, cerca di riparare ai danni commessi da Sylvie. Mai infatti, si sarebbe potuto pensare che un gesto dettato dalla lotta per la libertà e il libero arbitrio potesse mettere a repentaglio la vita delle persone.
Una sfida che, lungo il corso delle puntate, risulta più difficile del previsto, infatti, all’interno dell’organizzazione vi sono delle spie che complottano per riportare in vita Kang e ristabilire il regime che vi era prima della sua morte.
Tra sbalzi temporali che teletrasportano gli spettatori in eventi passati e futuri, ciò che contraddistingue maggiormente questa seconda stagione di Loki è il senso di urgenza. Una corsa (letteralmente) contro il tempo che fa da filo conduttore a tutte e sei le puntate, anche quando ci si sofferma su dettagli meno rilevanti, ma che alla fine dimostrano di avere una certa importanza. Scene e personaggi, infatti, si incastrano alla perfezione e diventano le fondamenta di una narrazione articolata e ben pensata, che porta l’ultima puntata a essere descritta come una delle migliori mai realizzate nella storia della MCU.
Anche se la prima parte della seconda stagione risulta più meccanica e contorta, nulla viene lasciato al caso. Le sequenze di mera esposizione che servono a introdurre personaggi nuovi, ma fondamentali per la narrazione (ad esempio OB o X-5), potevano essere gestite diversamente dando loro la giusta attenzione già nella stagione precedente. Tutto sommato, però, la seconda parte della serie gode di un climax emotivo dato dalla agonizzante ricerca di porre rimedio a quanto scatenato. Ogni cosa trova il suo posto e viene mostrata al massimo della sua essenza, dalla sincera amicizia che lega Loki e Mobius alle lotte interne, a volte cruente e sanguinolenti, della TVA.
Come ogni cosa ha il suo equilibrio all’interno dell’universo, così lo ha anche il dio dell’inganno, con un’evoluzione interiore che lo porta a riconciliarsi con la sua parte più ancestrale e ad accettare di essere a tutti gli effetti un asgardiano.
Grazie alla collaborazione di sceneggiatori come Michael Waldron ed Eric Martin e di registi come Kate Herron e il duo Justin Benson e Aaron Moorhead, le dodici puntate di Loki hanno saputo conquistare da subito il pubblico. Un successo che parte dalla performance eccezionale di Tom Hiddleston nei panni del dio dell’inganno che, in questi ultimi quindici anni, ci ha regalato un Loki travagliato, egoista, beffardo, ma anche dal cuore grande e dalla voglia di riscattarsi. E chissà che, con un grande effetto sorpresa tipico di Loki, non possa tornare in qualche produzione futura del mondo Marvel.
Foto 1: serial.everyeye.it
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