Isabella Chierici
Il 16 giugno 2019 è andata in onda la prima puntata di una serie televisiva teen drama che ha stravolto il modo in cui di solito viene rappresentata la vita degli adolescenti: Euphoria. Creata e trasmessa dalla rete statunitense HBO, famosa per essere l’artefice di colossi come Game of Thrones, True Detective e Sex and the City, prende ispirazione dall’omonima serie israeliana poco conosciuta fuori dai confini del Paese.
Euphoria parla delle vite incasinate di un gruppo di ragazzini delle superiori mettendo a nudo, spesso in modo fin troppo crudo e diretto, quelle che sono le problematiche quotidiane della Gen Z. Sesso, droga, crisi d’amore, esplorazione e accettazione di sé sono tematiche ricorrenti che vengono mostrate allo spettatore in modo schietto, esplicito e violento, non adatto a un’audience con la stessa età dei protagonisti.
La voce narrante è Rue Bennet, una tossicodipendente uscita da poco dalla riabilitazione a causa di un’overdose. A interpretarla è Zendaya e lo fa in modo davvero impeccabile, tanto da ottenere nel 2020 un Premio Emmy come miglior attrice in una serie drammatica.
Ogni puntata si apre con la presentazione di uno dei personaggi e di un trauma che spesso spiega il perché siano diventati quelli che sono. Le storie che vengono raccontate narrano di avvenimenti scioccanti avvenuti nell’infanzia, come la perdita di un genitore, la visione di filmati porno del padre e la stigmatizzazione a causa del proprio peso corporeo. Tutto ciò comporta dolore ma spesso, per scappare da esso, i protagonisti di Euphoria compiono azioni che li fanno stare ancora peggio, entrando in un loop senza fine che li porta alla disperazione.
Rue inizia a drogarsi per colmare il vuoto lasciato dal padre morto qualche anno prima, Kat inizia a girare video erotici per sentirsi apprezzata e conquistare fiducia in se stessa mentre Jules, una ragazza transessuale, vive numerose avventure di una notte per cercare una conferma della propria femminilità.
L’adolescenza è rinomata per essere uno dei periodi più complessi, poliedrici e difficili della vita, da cui nessuno può scappare e nella quale si provano per la prima volta tantissime esperienze, più o meno delicate. Così, anche i protagonisti vivono i primi amori, le prime amicizie, la prima sigaretta, il primo drink, tutto in un exploit di emozioni che travolgono l’individuo e gli fanno ricercare costantemente l’affetto e l’approvazione altrui.
Euphoria mostra un’epoca governata dai social media in cui basta un semplice commento o una foto mandata alla persona sbagliata per rischiare di rovinare la vita di una persona. Nonostante questi rischi, le persone continuano a perseverare in una costante e quasi brutale ricerca di sé all’interno di questo nuovo mondo multimediale, così ricco di nuove esperienze e stimoli.
Ci troviamo davanti a un gruppo di ragazzi vulnerabili e sofferenti, che arrancano ogni giorno per cercare di conquistare il proprio spazio nel mondo. Sono persone che vivono di dipendenze, non solo da droghe ma dagli altri e dal loro giudizio per stare bene e non sentirsi più sole. Ed è per questo che, ad esempio, Rue cerca in Jules la propria ancora di salvezza per uscire, invano, dalla tossicodipendenza. Solo quando tocca ancora una volta il fondo e fa pace con se stessa e i propri demoni riesce finalmente a rimanere pulita.
Sono tutti personaggi poliedrici che hanno sia lati buoni sia zone d’ombra che permettono di dare una tridimensionalità e una profondità al personaggio mai vista prima. Gli spettatori tendono a simpatizzare immancabilmente per Rue, essendo la protagonista, ma il suo personaggio è in realtà egocentrico, furbo, meschino e calcolatore. Tiene vicine a sé persone perché potrebbero tornarle utili, ripagandole solo con della sofferenza, proprio come fa con sua sorella e la sua migliore amica.
Sam Levinson, creatore della serie, riesce a raccontare la profonda solitudine di una generazione arrabbiata utilizzando uno stile narrativo caotico che rende Euphoria una serie ricca di crudo realismo. Viene percepito il vuoto che la dipendenza crea (e il successivo annientamento delle emozioni) anche grazie a un gioco di colori studiati a pennello. Nei momenti in cui Rue è sotto uso di stupefacenti tutto attorno a lei è colorato, glitterato e prende una forma diversa. Persino il suo trucco, spesso assente, sembra quasi prendere vita e vivacizzarle il volto con make-up sfavillanti. Quando torna brutalmente alla realtà, però, tutto diventa cupo, triste, quasi soffocante. Lo spettatore viene posto davanti a un turbinio di azioni senza fine che porteranno tutti i personaggi a un unico possibile finale: l’autodistruzione.
La serie scava in profondità in una realtà difficile da digerire che scandalizza e porta le persone a voltarsi dall’altra parte. Mostra quella parte della società spesso tenuta ai margini, incompresa e perennemente sotto pressione. Eppure, a quasi tutti i comportamenti sbagliati che vengono mostrati, lo spettatore riesce sempre a trovare una giustificazione. Un esempio è Fez, lo spacciatore gentile, che si trova a dover prendere in mano l’attività avviata anni prima da sua nonna perché è l’unico modo che ha per pagarle le cure e sostenere se stesso e il fratello. Il suo modo di trattare con la malavita e allo stesso fare da genitore ad Ash e intrattenere una limpida amicizia con Lexie nella seconda stagione, si discosta molto dall’arrabbiato picchiatore che spacca il naso a Nate durante la festa di Capodanno. Fa azioni sbagliate? Indubbiamente. Proviamo empatia per lui, tanto da comprendere le sue scelte? Assolutamente sì.
Veniamo posti davanti a un dolore corale che viene raccontato da una gioventù che cerca tutti i giorni di uniformarsi e allo stesso tempo distinguersi dalla massa, tutto supportato da un montaggio delicato e allo stesso tempo rabbioso che sembra rispecchiare i sentimenti e le emozioni dei personaggi.
Un racconto della Gen Z fatto per gli adulti in cui ogni cosa viene trasformata in scene cariche di pathos, idee, oscillazioni tra melodramma e momenti intimi e silenziosi. Sam Levinson cerca di far percepire le difficoltà di un mondo giovanile che spesso viene criticato con troppa supponenza e pregiudizio, dove non esiste un personaggio a cui vada tutto davvero bene, perché troppo concentrato a vedere ciò che gli manca rispetto a ciò che ha.
Euphoria si dimostra così una serie televisiva densa, peccaminosa e morbosa ma allo stesso tempo delicata, amorevole e luminosa, ricca di sensazioni contrastanti che la rendono molto simile a quei ragazzi che rappresenta.
Foto 1: rottentomatoes.com
Foto 2: fortementein.com
Foto 3: i-d.vice.com