"Midsommar" e il femminile impenitente

Giulia Regoli

Giulia Regoli scrive di Midsommar su CanadaUsa

Di base, vige questa idea per cui un personaggio, specialmente se femminile, possa essere affabile solo se moralmente ligio ai dettami sociali: le donne che piacciono di più al pubblico sono quelle che sorridono, che occupano poco spazio, che non mostrano mai segni di cedimento o di rabbia, che non disturbano in nessun modo. Il film horror Midsommar (2019, diretto da Ari Aster) e la sua protagonista, Dani Ardor (interpretata da Florence Pugh), sfidano questa concezione, raccontando una storia fatta di traumi, di relazioni pesanti e di reazioni moralmente ambigue, ma pur sempre umane.

La pellicola, infatti, si apre con Dani che perde tutta la sua famiglia. Come se non bastasse, il fidanzato Christian Hughes (Jack Reynor) sta meditando di lasciarla: non sopporta il modo in cui la ragazza reagisce a questa tragedia, trovandola esagerata, opprimente, troppo triste. Un suo amico lo invita a fare una vacanza in Svezia, per partecipare a un festival folkloristico per il solstizio d’estate organizzato dalla sua famiglia originaria. Christian decide quindi di partire con il gruppo di conoscenti, portando anche Dani. Proprio a questo punto, inizia un viaggio non solo fisico, ma anche attraverso le usanze e i costumi di questa comunità, che si rivela essere un misto di rituali sacrificali, celebrazioni spaventose e crudi incantesimi. 

Da questo punto di vista, Midsommar è un horror atipico: certo, sono presenti spezzoni ansiogeni e scene gore, ma l’orrore e la repulsione vengono utilizzati in maniera molto specifica, contrapponendo tragedie fisiche e psichiche attraverso l’uso dei colori, della luce e della performance attoriale. Per esempio, se all’inizio, con la storia di Dani, ci troviamo in un ambiente buio e soffocante, quando il gruppo statunitense arriva in Svezia tutto diventa improvvisamente luminoso e la natura rigogliosa si fa protagonista delle scene più crudeli e degli omicidi più efferati. La pellicola provoca questo senso di disagio volutamente, mettendo al centro della trama Dani e il superamento dei suoi traumi, collegato in qualche modo anche alla vendetta e a una rivalsa emotiva.

Giulia Regoli scrive di Midsommar su CanadaUsa

In questo senso, il film non si propone di dare lezioni morali o di mandare messaggi etici: si può inserire in un genere chiamato good for her, che descrive prodotti mediatici in cui i personaggi femminili, dopo aver subito violenze, ottengono la rivincita a qualsiasi costo. L’obiettivo non è quello di giudicarli, ma di far trasparire le loro situazioni ed emozioni vissute in modo da rendere le loro reazioni umane e comprensibili. In questo caso, l’abuso emotivo subito da Dani da parte del suo fidanzato, le tragedie che l’hanno coinvolta, l’assenza di una rete di supporto empatica, sono le cause di un malessere che non le è permesso esprimere per non essere considerata sgradevole (motivo per cui Christian la voleva lasciare). Nel villaggio svedese, in termini moralmente ambigui (se vale ancora il discorso della moralità quando si subiscono violenze marginalizzanti, ndr.), la protagonista riesce pian piano a vendicarsi per tutto ciò che ha subito e per le ripercussioni che ha sofferto. Se questa vendetta sia giusta o sbagliata non sta a noi giudicarlo: infatti, tramite l’orrore, Midsommar punta a portare sullo schermo e a rendere visibile ciò che Dani vive solo internamente, raccontandolo senza la presunzione di voler fornire spiegazioni.

Proprio per questo motivo i colori diventano più vividi, il mondo fiorisce e il sole illumina: non è una celebrazione degli abomini, bensì una metafora della rinascita di Dani che torna a decidere per sé e ad avere il controllo della sua vita. Ovviamente, il film non è esente da critiche, perché nella sua risalita la protagonista si rende complice di violenze, assassini e ingiustizie: basti pensare al fatto che l’ambiente in cui trova la sua serenità è una setta basata su morti e sacrifici. Inoltre, la mancanza di intersezionalità, specialmente a livello di non considerazione delle discriminazioni razziali, non rende certo Midsommar un pilastro della cinematografia femminista moderna. Comunque, la sua rappresentazione di un femminile impenitente e ostinato porta il pubblico a riflettere sugli standard legati alle donne e al modo in cui vengono considerate quando esprimono i loro sentimenti negativi.

In ogni caso, i personaggi femminili più gradevoli secondo i dettami sociali sono quelli che sorridono. Infatti, nell’iconica scena finale, circondata da fiori, Dani abbozza quello che sembra un ghigno. Ironico, no?