Denim Day e serie tv: contro gli stereotipi sulla violenza sessuale

Giulia Regoli

Il Denim Day è una giornata di sensibilizzazione e di lotta contro le false credenze riguardo alla violenza sessuale che contribuiscono ad alimentare un sistema che normalizza le molestie e le aggressioni, e invalida il vissuto delle persone che le hanno subite. Infatti, questa ricorrenza nasce per protestare contro una sentenza della Cassazione italiana che, nel 1998, annullò una condanna per stupro. Secondo il tribunale, infatti, la vittima indossava dei jeans aderenti che non sarebbe stato possibile sfilare senza la sua complicità. 

Negli ultimi anni, si è raggiunta una consapevolezza sempre maggiore su questo tema, tanto che la sensibilizzazione alla denuncia delle violenze sessuali è diventata protagonista di molte serie tv. Tra le più recenti troviamo Grand Army, Unbelievable e I May Destroy You, che trattano la questione senza stereotipi e cliché.

 

1. Grand Army contro lo stereotipo della violenza

2. Unbelievable e le fallacie del sistema giudiziario

3. I May Destroy You e la cultura del consenso

4. Il Denim Day tra consapevolezza e lotta

5. Sitografia

 

1. Grand Army contro lo stereotipo della violenza

 

Grand Army è una serie televisiva del 2020, creata da Katie Cappiello, che racconta delle vicissitudini di cinque studenti e studentesse in un liceo di Brooklyn. Tra questi personaggi, dato il particolare interesse per il tema, spicca la figura di Joey Del Marco, una ragazza che nel corso della serie viene stuprata da due amici e ne subisce le conseguenze a livello sia mentale sia fisico. 

Joey è un’adolescente popolare che si batte contro il sessismo dilagante nella sua scuola - sebbene in maniera a volte poco inclusiva, come le viene anche fatto notare. Il suo essere sessualmente molto aperta e il modo in cui mostra il suo corpo per combatterne la sessualizzazione, la portano spesso a essere vittima di una delle dinamiche che il Denim Day ha l’obiettivo di combattere: lo slut shaming, l’atto di far sentire una donna colpevole di avere comportamenti che si discostano dalle tradizionali aspettative di genere. I suoi tre amici, tra cui Tim, il ragazzo per cui ha una cotta, la supportano in ogni occasione, ed è anche per questo che lei si fida molto di loro.

Una sera, però, mentre i quattro sono in taxi insieme, Joey subisce violenza da due di loro mentre Tim rimane in silenzio e fa finta di non vedere. La ragazza non solo ne rimane sconvolta, ma nei giorni successivi deve anche sopportare il fatto che per gli altri sia tutto normale perché, nonostante lei non avesse mai dato il suo consenso e, anzi, stesse piangendo nel taxi, il suo essere sessualmente aperta e anche molto fisica nelle relazioni di amicizia viene usato per giustificare il tutto. In questo caso, la serie prova a sfatare due dei troppo diffusi stereotipi riguardo alla violenza sessuale: che essa sia violenza solamente se perpetrata da una persona sconosciuta (quando invece, nella maggior parte dei casi, le vittime conoscono già il loro abuser) e che determinati comportamenti possano provocare l’abuso (mentre, invece, la colpa è sempre e solo di chi lo compie).

Dopo questo episodio, Joey inizia ad assumere droghe, a isolarsi e a non andare più a scuola finché non confessa tutto ai suoi genitori. Nonostante il suo racconto e la conseguente denuncia, la sua storia non viene però creduta: le accuse vengono fatte cadere e la ragazza viene allontanata dalle persone a lei più vicine, persino dalla sua migliore amica Anna, che preferisce stare dalla parte dei responsabili e di suo fratello Tim. Il fatto che sia lei stessa a essere incolpata per ciò che ha subito ricade nella dinamica del victim blaming, quel meccanismo per cui alla vittima di violenza viene attribuita una certa colpa per l’accaduto attraverso pensieri come il “se l’è cercata”. Questo è uno dei principali fenomeni che le proteste del Denim Day -data anche la sua origine- si propongono di combattere: il modo in cui ci si veste, ci si comporta o si agisce non può mai essere usato come scusante o giustificazione di una violenza sessuale. La rappresentazione dello stupro nella serie contribuisce a sfatare questo mito, mostrando chiaramente come in realtà la responsabilità sia tutta dei due ragazzi e anche di Tim, che non ha agito per fermarli. 

Joey subisce tutte le conseguenze della violenza in sé, ma anche del fatto che i colpevoli siano delle persone a lei molto vicine, di cui si fidava e che la supportavano finché non hanno avuto l’opportunità di approfittarsi di lei. Per questo motivo, il dolore che prova la spinge anche a cercare delle risposte e a chiedere un confronto a loro che, però, continuano a negare il tutto e a sostenere che sia una bugia, perché lo voleva anche lei. Solamente Tim, alla fine, ammette la verità e viene divorato dal senso di colpa. Joey, invece, trova la forza della sorellanza e della validazione quando un’altra ragazza le dice: Io ti credo. A partire da questo punto di svolta, Joey inizia pian piano a ricostruire la sua vita, a cominciare dalla sua passione: torna a una lezione di danza, si riappropria della sua mente e del suo corpo, strappandoli al trauma che se n’era impossessato.

 

2. Unbelievable e le fallacie del sistema giudiziario

 

Una delle credenze che spesso invalidano la violenza sessuale è quella che le vittime in molti casi mentano o testimonino il falso, quando invece solamente una percentuale minima delle denunce si rivela statisticamente non vera. Questo fatto contribuisce a creare uno stigma attorno alle survivors che, anche in ambito giudiziario, non vengono credute: le proteste del Denim Day sono spesso volte anche all’abbattimento di questo pregiudizio che provoca solamente ulteriore dolore nella persona che viene invalidata. Nella miniserie televisiva Unbelievable, uscita nel 2019, viene mostrato proprio come chi riporta una violenza -nella maggior parte dei casi- non riceva accoglienza dallo stesso sistema che dovrebbe garantire protezione. 

La storia della protagonista Marie Adler è stata ispirata da fatti realmente accaduti: tra il 2008 e il 2011, furono perpetrati vari stupri nello stato di Washington e in Colorado da parte di un veterano dell’esercito statunitense, la cui prima vittima non venne creduta dalla polizia e fu persino accusata di falsa denuncia. La serie tv racconta proprio di questa vicenda: Marie è una ragazza di 18 anni che conduce una vita normale finché, una notte, uno sconosciuto irrompe nella sua abitazione e abusa di lei sessualmente. Quando si reca alla centrale di polizia per riportare i fatti, la sua storia non viene creduta a causa di alcune piccole discrepanze nel suo racconto e al suo comportamento non in linea con le reazioni considerate normali, e il detective del caso continua a interrogarla più volte spingendola infine a confessare di non aver davvero subito una violenza. Il suo passato doloroso e complicato viene strumentalizzato per giustificare quella che viene vista come una storia inventata per ricevere attenzioni, quando invece, come si scopre in seguito, non è mai stato così.

Spesso si ha una visione stereotipata della reazione che la vittima dovrebbe avere: spesso disperata, incapace di andare avanti con la sua vita, che non riesce a smettere di piangere. Sebbene questa sia una delle risposte a questo tipo di trauma, lo spettro è molto più ampio e varia da persona a persona: non esiste un modo giusto di reagire a un evento così violento, perché la mente ne viene afflitta in vari modi che sono tutti legittimi, e la sensibilizzazione del Denim Day punta anche a validare ogni tipo di vissuto. Nel caso di Marie, i vuoti di memoria e il suo essere comunque contenuta mentre denuncia, vengono visti, dagli ufficiali inesperti sul tema, come prove schiaccianti del fatto che stesse mentendo. La ragazza, invece di ricevere protezione, viene perciò abbandonata a se stessa e viene persino denunciata per aver detto il falso.

Attraverso le figure di due detective donne che indagano su casi simili a quello di Marie, la prospettiva delle survivors viene mostrata da vari punti di vista: per esempio, vittime dello stesso uomo sono anche Amber, che rimane molto razionale ma al tempo stesso perde il controllo della sua vita, o Lily, alle prese con un disturbo da stress post-traumatico e gravi lesioni fisiche. Proprio grazie al lavoro delle due poliziotte, si riesce a identificare il colpevole e a scoprire che, tre anni prima, aveva violentato anche la stessa Marie, scagionandola quindi dalle false accuse.

Unbelievable mostra chiaramente quanto lo stigma legato alle vittime di abuso che mentono sia dannoso: Marie ha provato a denunciare per poi essere solamente abbandonata, accusata a sua volta, e vedere il suo vissuto invalidato da chi avrebbe dovuto aiutarla. La sua storia è molto più comune di quanto si pensi, e proprio per questo moltissime persone -soprattutto donne- decidono di non raccontare ciò che succede a loro: per evitare di subire l’ulteriore dolore di essere considerate colpevoli o bugiarde, subendo una violenza nella violenza.

 

3. I May Destroy You e la cultura del consenso

 

I May Destroy You è una serie televisiva del 2020, una coproduzione britannica e statunitense, scritta da Michaela Coel che interpreta anche la protagonista Arabella. La sua storia inizia quando, una sera, viene drogata a sua insaputa e viene stuprata nel bagno di un bar. Da quel momento, Arabella cerca di ricostruire i suoi ricordi: all’inizio non crede nemmeno che i suoi flashback riguardino proprio lei, pensando che siano dei video che ha visto, ma poi arriva pian piano ad accettare la verità. La serie mostra molto bene cosa significhi convivere con un trauma di questa portata, con i meccanismi di rimozione che la mente mette in atto per difendersi dal dolore, e anche come la vita di Arabella ne venga sconvolta, nonostante lei continui comunque a cercare un modo per andare avanti.

In questo caso, il suo racconto viene subito creduto sia da chi le è vicino, sia dalle ufficiali di polizia da cui si reca per denunciare. Tutta la serie, però, è volta anche a sfatare uno dei più diffusi miti riguardo alla violenza sessuale: che l’abuso sia solamente di un tipo e che sia sempre immediatamente chiaro e riconoscibile, mentre devono essere considerate tali anche tutte le altre violazioni del consenso che -ancora oggi- non lo sono. L’istituzione del Denim Day è stata volta anche a sensibilizzare su questo tema: laddove manca il consenso, avviene una violenza. Per esempio, una sera Arabella cade vittima di stealthing (l’atto di rimuovere il preservativo senza che il partner lo sappia, ndr) da parte di un suo collega. Nonostante abbia già subito una violenza, Arabella non riconosce anche questa dinamica come tale: solamente tempo dopo, ascoltando un podcast che parla proprio di quell’argomento, realizza che il suo consenso è stato violato proprio nel momento in cui lei non è stata informata, e che quindi lui se ne sia approfittato.

Il tema dell’inganno ricorre anche in un episodio che riguarda la sua amica Terry: dopo aver passato la notte con due sconosciuti che le avevano fatto credere di non conoscersi l’un l’altro, si rende conto che invece sono amici e che le hanno mentito. Un altro episodio riguarda Kwane, uno dei migliori amici di Arabella: dopo aver fatto del sesso consensuale con un uomo, lo stesso commette violenza su di lui approfittandosi del fatto che Kwane aveva acconsentito la prima volta, non rispettando la sua volontà di fermarsi. Il ragazzo, sebbene rimanga subito sconvolto dalla violenza, ha bisogno di tempo per realizzarla come tale, proprio perché solitamente c’è un modo univoco di rappresentare e considerare l’abuso.

Tutti questi episodi contribuiscono a sfatare dei miti riguardo alla violenza sessuale, che può essere considerata uno spettro -purtroppo ampio- che comprende la sua rappresentazione più stereotipata, ma anche tutte quelle violazioni dei confini personali che derivano da una cultura basata sull’abuso e sulla sopraffazione. Per contrastarla, I May Destroy You mostra come sia importante partire dal consenso, che deve essere sempre esplicito, informato e mai dato per scontato. Se manca anche solo una di queste caratteristiche, allora si sta perpetrando una violenza: questo è uno dei punti fondamentali anche delle campagne di sensibilizzazione del Denim Day.

Attraverso la figura di Arabella -ma anche delle persone a lei intorno- si evidenzia quanto sia difficile vivere in un contesto in cui bisogna fare attenzione a difendersi in ogni momento, e quanti e quali danni esso possa causare nelle persone che ne cadono vittime. I May Destroy You è una serie che parla principalmente di violenza -in ogni sua sfumatura- ma anche della sua complessità, sviscerando varie situazioni e vari punti di vista per farlo. Parla di trauma, di accettazione e di consenso, mettendo in discussione tutte le credenze che si hanno riguardo agli abusi e al modo in cui essi vengano elaborati, mostrando chiaramente come ogni storia di ogni persona sia valida e debba essere legittimata.

 

4. Il Denim Day tra consapevolezza e lotta

 

Negli Stati Uniti, il Denim Day ricorre ogni anno l’ultimo mercoledì del mese di aprile. Infatti, sebbene sia stata una sentenza italiana a far scaturire le proteste, la giornata è stata istituita nel 1999 dall’associazione non-profit Peace Over Violence di Los Angeles. In Italia, essa è stata introdotta anni dopo nel mese di maggio, con l’obiettivo di raccogliere fondi per le reti che si occupano di combattere la violenza di genere e offrono sostegno alle vittime.

La principale campagna del Denim Day -come si evince anche dal nome- è sempre stata quella di invitare le persone che vi partecipano a indossare un paio di jeans: sia per solidarietà all’assurda "condanna mancata" della Cassazione italiana, sia per dimostrare che il modo in cui ci si veste non è mai un invito allo stupro, né una giustificazione a esso. Il messaggio di sensibilizzazione si allarga poi anche a tutte le altre false credenze che ancora oggi legittimano una cultura basata sulla violenza: il victim blaming, gli stereotipi riguardo all’abuso, il pregiudizio riguardo alla veridicità delle denunce, l’immagine di come deve essere e comportarsi la vittima. Tutto ciò continua ogni giorno a invalidare il vissuto di chi ha subito questa terribile violazione personale, causando ulteriore sofferenza e rafforzando questo ingiusto sistema.

Negli ultimi anni, le proteste del caso si sono sempre più spostate sui social media: attraverso video, foto e hashtags moltissime persone raccontano la loro storia o esprimono solidarietà su questo tema. L’iniziativa ha raggiunto milioni di persone in moltissime parti del mondo, e anche alcuni personaggi famosi si sono espressi a riguardo (come per esempio la ginnasta Aly Reisman, anche lei survivor, o l’attrice Mira Sorvino), dando ancora più risonanza alla causa.

Sebbene sia molto importante che il messaggio venga trasmesso a più persone possibili anche attraverso i social, bisogna comunque ricordare quale sia l’obiettivo originale della campagna del Denim Day: investire nelle associazioni contro la violenza di genere, nell’educazione e nella divulgazione a questo proposito. Infatti, per decostruire la cultura dello stupro, occorre partire dalle basi, parlando soprattutto di consenso e di rispetto verso ogni persona e in ogni circostanza. Grand Army, Unbelievable e I May Destroy You rappresentano molto bene quali possano essere le conseguenze che una vittima di violenza si può trovare a dover affrontare, ma mostrano anche come le cause di questo dolore personale appartengano alla società in cui viviamo: i pregiudizi e gli stereotipi non fanno che alimentare gli abusi e le loro giustificazioni, quindi -proprio per questo- bisogna puntare a scardinarli.

 

5. Sitografia

 

Broadway, Danielle. Netflix’s ‘Grand Army’ Takes on Conversations on Consent and Fake AllyshipBlack Girl Nerds (data di ultima consultazione: 22/03/2021)

Bruney, Gabrielle. ‘Unbelievable’ Isn’t the Only True Story of a Victim Who Was Charged for Reporting Their RapeEsquire, 14 settembre 2019 (data di ultima consultazione: 01/04/2021)

Denim Day Effect, WorldwideDenimdayinfo.org, 23 maggio 2018 (data di ultima consultazione: 21/04/2021)

Froio, Nicole. ‘I May Destroy You’ Takes on the Messy Reality of RapeBitchmedia, 12 agosto 2020 (data di ultima consultazione 15/04/2021)

Myths and Facts about Sexual Violence. Georgetown Law (data di ultima consultazione: 16/04/2021)

Lonsway, Kimberly, Joanne Archambault e David Lisak. False Reports: Moving Beyond the Issue to Successfully Investigate and Prosecute Non-Stranger Sexual AssaultNSVRC, 2009 (data di ultima consultazione: 10/04/2021)

 

Foto 1 da refinery29.com (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Foto 2 da inlander.com (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Foto 2 da wired.it (data di ultima consultazione: 30/08/2021)