I child beauty pageants nell’industria della bellezza statunitense

Daniela Bruno; Giulia Regoli

I child beauty pageants sono un tratto molto inquietante dell’industria della bellezza statunitense: concorsi di bellezza a cui partecipano soprattutto bambine costrette dalle loro famiglie a conformarsi a standard adulti per guadagnarsi la vittoria. 

Il business frutta ogni anno miliardi di dollari, a discapito della salute mentale e fisica di chi vi partecipa. Gli aspetti più critici sono stati indagati tramite inchieste, documentari e produzioni multimediali, con l’obiettivo di far uscire allo scoperto cosa si nasconde dietro al glamour e allo spettacolo che portano avanti.

 

1. Cenni storici

2. Danni psicologici e fisici

3. Documentari e casi di cronaca

4. Invertire la narrativa

5. Bibliografia e sitografia

 

1. Cenni storici

L’ipersessualizzazione femminile non esclude neanche le bambine: i concorsi di bellezza per minori hanno una storia radicata e ben più profonda di quanto si possa immaginare. Già nel 1854, P.T. Barnum, losco uomo d’affari e famoso circense, provò a indire un concorso di bellezza femminile. Anche se il progetto fallì a causa delle troppe critiche ricevute, Barnum ha avuto un ruolo chiave nella creazione delle competizioni di bellezza: nel suo circo, The Greatest Show on Earth, era solito esibire animali e minori senza farsi alcuno scrupolo. L’impresario, però, non si arrese, infatti, un anno dopo il fallimento della prima sfilata si trasferì in New Jersey, ad Asbury Park, dove fece sfilare 143 bambini attirando più di 30.000 spettatori. 

Lo scopo della sfilata era quello di scegliere il bambino genuine original American stock, cioè chi tra i partecipanti avesse più mostrato - a livello fisico e di performance - il concetto di americanità. Dalla competizione vennero dunque esclusi i bambini reputati non abbastanza americani e anche quelli appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. Il National Baby Show di Barnum si estese velocemente e nel paese si cominciò a capire quanto redditizia potesse essere l’esposizione dei minori, considerata l’inizio di un business discutibile che ancor oggi frutta agli americani denaro e visibilità. 

Daniela Bruno e Giulia Regoli parlano dei child beauty pageants su CanadaUsa

Nel 1908, Mary de Garmo, un’insegnante della Louisiana, indisse un concorso chiamato Better Babies. Lo scopo del concorso doveva essere quello di incrementare lo stato di salute dei bambini, spingendo i genitori a occuparsene attraverso una sana competizione. Purtroppo, i risultati sul lungo termine non sono stati certamente quelli sperati: gli effetti collaterali delle competizioni tra minori hanno sempre avuto un peso più rilevante rispetto alle buone intenzioni iniziali. I bambini venivano giudicati in base alla loro condizione psicologica e fisica, mentre un team di medici e pediatri si riuniva per eleggere il bambino dall’aspetto più sano e bello

La competizione si estese velocemente in tutti gli Stati Uniti e le regole del concorso diventarono sempre più dure: se un bambino avesse presentato evidenti malformazioni fisiche, non sarebbe stato ammesso al concorso; se un partecipante mostrava segni di sentirsi sotto pressione, gli venivano scalati dei punti. Nonostante ciò, nel 1916 più di 47.000 bambini ne presero parte.

Ad Atlantic City, nel 1921, debuttò un concorso per eleggere la ragazza più bella d’America: erano gli esordi del celebre Miss America, principale fonte di ispirazione per i concorsi di bellezza che hanno per protagoniste le bambine, a cui sono richieste le stesse capacità fisiche e di intrattenimento di donne adulte. L’interesse generale degli americani nei confronti delle reginette bambine iniziò a farsi sempre più forte negli anni ‘60, ma l’apice della popolarità arrivò negli anni ‘90, quando in tutti gli Stati Uniti si contarono circa 290.000 concorrenti e almeno 16.000 gare diverse

 

2. Danni psicologici e fisici

Al centro del dibattito pubblico intorno ai concorsi di bellezza per bambini c’è la costante e asfissiante presenza di figure genitoriali che spingono i figli non a vivere l’infanzia, ma a calarsi nella parte di grandi star del cinema o della musica. 

Recitare il ruolo di una celebrità è essenziale per creare un legame affettivo con il pubblico e quindi sperare in un risultato positivo, ma spesso gli effetti di queste azioni risultano inquietanti e problematici. Uno dei tratti più allarmanti del business è certamente quello dell’oggettificazione delle bambine che, private dell’innocenza infantile, si ritrovano a identificare il proprio valore con le caratteristiche estetiche positive o negative che la giuria assegna loro, portandosi dietro per lungo tempo la convinzione che la bellezza estetica per una donna sia un requisito indispensabile per essere apprezzata. 

È essenziale sottolineare il ruolo che i genitori hanno in questo contesto, infatti accade spesso di vedere madri bisognose di riversare la propria identità nei figli, con un atteggiamento che non si cura dei pensieri del bambino ma soltanto delle proprie ambizioni.

Daniela Bruno e Giulia Regoli parlano dei child beauty pageants su CanadaUsa

I sogni e le aspirazioni di un bambino di otto mesi o di quattro anni sono estremamente lontane dal mondo dei concorsi e, quando i genitori si ritrovano a dover giustificare la presenza dei propri figli sotto i riflettori, ricorre spesso la giustificazione dellautostima. Le competizioni aiuterebbero i bambini a credere maggiormente in loro stessi, ad accrescere le proprie capacità di adattamento e a reggere la pressione e lo stress, tutti elementi che non sono richiesti quasi mai a un bambino in un contesto normale. 

Non è raro perciò vedere bambini in preda a crisi isteriche o a interminabili pianti, sfoghi naturali per chi subisce la pressione di un’intera famiglia che cerca successo e popolarità alle sue spalle. La pressione psicologica che vivono le reginette dei concorsi non viene gestita affatto dalle famiglie se non attraverso dei mezzi discutibili come ad esempio il crack dei concorsi, ossia una bevanda somministrata ai bambini per tenerli svegli e attivi durante gli spettacoli, a base di caffeina ed enormi quantità di zuccheri

La vita dei concorrenti viene totalmente stravolta, i ritmi non sono consoni a quelli di una vita infantile: diete improvvisate pur di non prendere chili per rientrare nei costumi del concorso che aprono le strade a disturbi alimentari, sonnellini mancati e attività quotidiane che girano sempre intorno allo show. 

Non è raro che i genitori superino ogni limite per far raggiungere il successo: è esemplare il caso di Kerry Campbell che ha iniettato a sua figlia di 8 anni del botox perché a suo dire la bambina aveva già delle rughe che non la rendevano adatta a vincere i concorsi. Britney, la piccola, ha detto che durante le iniezioni soffriva molto, ma che questa sofferenza era necessaria per apparire più bella, affermazione ancor più inquietante se si pensa che a farla è stata una bambina. Dopo molte proteste, Britney è stata portata via dalla famiglia, ritenuta non in grado di provvedere a lei in maniera sana. 



3. Documentari e casi di cronaca

I child beauty pageants sono stati anche molto indagati nell’ambito della produzione multimediale attraverso la creazione di documentari e reality show, vengono spesso mostrate le vite delle bambine partecipanti e delle loro famiglie, nel tentativo di svelare soprattutto i lati oscuri di questo business.

In particolare, il più famoso è Living Dolls: The Making of a Child Beauty Queen prodotto dalla HBO come parte della serie di film America Undercover, che indaga appunto le tematiche più controverse degli Stati Uniti.  

Daniela Bruno e Giulia Regoli parlano dei child beauty pageants su CanadaUsa

Il lungometraggio ci mostra la vita di Swan Brooner, bambina di cinque anni che partecipa a questo tipo di concorsi, e della madre Robin, che ha tre lavori per poter permettere alla figlia di sfondare in quel mondo. Le spese economiche sono enormi, tanto che il resto della famiglia ne risente molto: per esempio, il fratellino Devon di due anni dorme sul pavimento. Swan è costretta a passare intere giornate a fare pratica nel garage di casa, e sua madre la porta in macchina dalla Florida fino all’Alabama per aumentare le sue chance di vittoria. Inoltre, il documentario mostra anche altre famiglie coinvolte in questo circuito, tra cui una madre che ha comprato alla figlia di diciotto mesi delle extension per capelli per renderla più carina.

Sulla stessa linea si colloca il reality show Toddlers & Tiaras, andato in onda per quattro anni (dal 2009 al 2013) e a cui è stato aggiunto poi un sequel nel 2016, oltre a vari spin off. Anche qui, le telecamere registrano ogni aspetto delle vite delle bambine e delle loro famiglie, mostrando come tutto sia volto a raggiungere il successo nei concorsi di bellezza. In particolare, lo show ha generato molto scandalo negli Stati Uniti per l’evidente sessualizzazione delle bambine stesse: se la loro vita viene scandita dai ritmi dei child beauty pageants e tutto il loro tempo viene dedicato a esercitarsi per la competizione, non si può semplicemente trattare di un gioco per loro, o di un role play divertente - scusa che spesso viene usata per giustificare la loro partecipazione. Invece, la vita di queste bambine è improntata a essere ciò che gli adulti vogliono. Molti genitori sono stati criticati per le loro scelte proprio per questo motivo: c’è chi ha dato alla propria figlia sigarette finte da fumare sul palco o chi le ha imbottito la parte superiore del petto per farla assomigliare a Dolly Parton.

Se si parla di filmografia nell’ambito, bisogna citare Casting JonBenét: un documentario sull’omicidio (ancora irrisolto) della reginetta di bellezza di sei anni JonBenét. La pellicola ha una forma particolare, perché si presenta come un vero e proprio casting di attori che vogliono interpretare le persone coinvolte nel caso: la bambina, i genitori, il fratello, ecc. L’obiettivo è quello di mostrare non gli avvenimenti in ordine cronologico, né tantomeno di ricostruire gli eventi dell’omicidio, ma di mostrare la visione distorta che ognuno ha degli eventi e di denunciare il furto dell’infanzia: furto che in questo caso coinvolge JonBenét, ma che è una teoria che potrebbe benissimo essere applicata a tutte le bambine come lei.

 

4. Invertire la narrativa

Molti film che inseriscono all’interno delle loro trame un concorso di bellezza ne mostrano spesso i limiti e le convenzioni sociali imposte alle partecipanti (in gran parte donne). Le reginette di bellezza sono pronte a fare qualsiasi cosa per vincere, e proprio da questo viene preso spunto per pellicole cinematografiche di vario genere - dai thriller ai teen movies. 

Molte volte questi personaggi vengono mostrati come meschini e cattivi, o esasperati al punto di diventare comici - ma è raro che si sciolgano i nodi del complesso sistema in cui sono inseriti: quello dell’industria della bellezza che ha radici patriarcali e discriminatorie ben precise. 

Nel suo The Beauty Myth (2002), Naomi Wolf spiega bene come il concetto di bellezza sia sempre stato usato contro le donne, per costringerle a inseguire un ideale di corpo e immagine ben preciso. Più si esula da questa figura, più si è costrette a subire trattamenti discriminatori che hanno conseguenze psicologiche e fisiche ben spiacevoli. Avendo presente questo contesto, è importante invertire la narrativa anche a livello multimediale per puntare il dito contro una dimensione sociale che intrappola le donne - fin da piccole - nell’inseguimento di una fantomatica perfezione.

Daniela Bruno e Giulia Regoli parlano dei child beauty pageants su CanadaUsa

In ambito cinematografico, vale la pena citare due film che - in modo molto più plateale di altri - provano a rompere questa narrativa mainstream per mostrare cosa esiste dietro al mondo dei concorsi di bellezza. Il primo, è Little Miss Sunshine (2006), incentrato sul personaggio di Olive, bambina di sette anni che sogna di vincere un child beauty pageant, e sulla sua famiglia. L’accento viene messo sulla conformità richiesta alle partecipanti dello show: la vincitrice è colei che performa al meglio delle sue possibilità uno schema preparato, indice di come la bellezza venga considerata uno standard univoco a cui adeguarsi. Olive, invece, nel far uscire la sua individualità, viene fortemente penalizzata già in partenza. Inoltre, il film vuole anche essere una critica ai canoni imposti alle bambine, che crescono pensando di dover aderire a standard fisici e comportamentali ben precisi.

Ancora più recentemente, Dumplin’ (2018) ci porta nel mondo dei concorsi di bellezza, pur non parlando specificatamente di bambine ma di teenager. Infatti, Willowdean è una ragazza grassa che frequenta il liceo e che per il suo aspetto esteriore riceve un pressing psicologico non indifferente, sia in casa che fuori. Per questo, decide di partecipare a una di queste gare per sconfiggere il sistema dall’interno. Il film è uno dei pochi esempi di rappresentazione di persone con corpi non conformi. Ancora più fondamentale è il fatto che Willowdean non rinuncia alla propria unicità per conformarsi il più possibile all’ideale di donna che le viene imposto. Il suo personaggio ci mostra che, sebbene la rappresentazione sia parte del progresso, essa non può essere l’obiettivo: lo scopo non è aprire i concorsi di bellezza a tutte le partecipanti, ma eliminarli per arrivare poi a ridefinire il concetto di bellezza, che ha radici patriarcali, razziste, abilistecome base di merito e di esistenza.

 

5. Bibliografia e sitografia

Day, Elizabeth, Living dolls: inside the world of child beauty pageants. The Guardian (data di ultima consultazione: 27/08/2022).

Gagliano, Susan e Patrizia Santovecchi, Bambole Dipinte. Profili dell'abuso (data di ultima consultazione: 27/08/2022).

Gerais, Reem, Better Babies Contests in the United States. The Embryo Project Encyclopedia (data di ultima consultazione: 27/08/2022).

Henson, Melissa, 'Toddlers and Tiaras’ and sexualizing 3-year-olds. CNN (data di ultima consultazione: 27/08/2022).

King, Elizabeth, A Look Back at the Sexist, Racist History of Beauty Pageants. Racked (data di ultima consultazione: 27/08/2022).

Wolf, Naomi, The Beauty Myth: How Images of Beauty Are Used Against Women, 2002.

 

Foto 1 da Issue Counsel (data di ultima consultazione: 04/09/2022).

Foto 2 da Change.org (data di ultima consultazione: 04/09/2022).

Foto 3 da IMDb (data di ultima consultazione: 04/09/2022).

Foto 4 da Girls on Tops (data di ultima consultazione: 04/09/2022).