Giulia Regoli
Squali al tempo dei salvatori (2020) è un romanzo dell’hawaiano Kawai Strong Washburn, la cui terra natia fa da sfondo alle vicende del libro stesso, ma ne è anche grande protagonista. Infatti, la storia è quella di una famiglia, di tre fratelli che crescono tra le Hawaii e il continente statunitense alla ricerca di una propria identità, della salvezza, di qualcosa in più della povertà a cui per lungo tempo sono stati costretti. Il racconto riprende la tradizione del romanzo familiare americano ma la stravolge per adattarla a una narrazione strettamente connessa alla tradizione, alla spiritualità e alla terra. Nainoa, Kaui e Dean - questi i nomi dei tre fratelli - sono legati e al tempo stesso profondamente separati dalla loro appartenenza alle Hawaii.
Nainoa è un ragazzo speciale: fin da quando i genitori l’hanno concepito osservando da lontano le fiaccole degli dei nella valle di Waipi’o, è stato subito evidente che aveva un dono, una sorta di magia dentro di sé che gli permetteva di entrare incredibilmente in contatto con la forza vitale più sconosciuta, con la natura e con il funzionamento del mondo. Il suo modo di essere è ciò che lo innalza e al tempo stesso lo distrugge, è ciò che si insinua tra le crepe familiari e le allarga, provocando frustrazioni e separazioni. Al tempo stesso, però, è anche il simbolo di una profonda resistenza, di un territorio e della sua essenza che lentamente soccombe cercando di non morire mai:
“Era questo che credevo all’inizio: che tu fossi fatto della stessa sostanza degli dèi, che saresti diventato una nuova leggenda, in grado di cambiare tutto quello che faceva male alle Hawaii. L’asfalto che schiacciava le piante di kalo, le navi militari che ruttavano sporcizia nel mare, il fiume velenoso di soldi haole, California Texas Utah New York, fino a che niente è stato più come avrebbe dovuto essere, tra gli ingorghi e gli accampamenti dei senzatetto con le tende da spiaggia e le catene di ipermercati. Ero convinta che tu fossi capace di sconfiggere tutto questo.” (p. 73 - 74)
Il mito si fa resilienza contro le imposizioni, contro una colonizzazione che avanza e che divora tutto ciò che non è profitto e sfruttamento. Attraverso la leggenda e la spiritualità, le isole delle Hawaii possono continuare a opporsi alla loro distruzione. Tutto ciò avviene tramite la figura di Nainoa, ma anche in realtà di tutta la famiglia: questa connessione quasi ultraterrena con la terra madre è presente, sebbene in maniera meno immediata, anche negli altri membri e nel rapporto che esiste tra loro.
Per esempio, Kaui, l’unica ragazza dei tre, si sente trascurata e invisibile agli occhi dei genitori a causa della particolarità di Noa. Si sente sola e non vede l’ora di potersene andare per costruirsi una nuova vita, eppure l’emozione che prova di fronte alla tradizionale hula non ha eguali:
“Erano ragazze normali, con addosso vestiti normali. Non era la prima volta che ascoltavo un canto hula. Ma questo era diverso. Ci sentii dentro qualcosa di autentico e di antico, qualcosa che mi si apriva dappertutto e mi dava la pelle d’oca.” (p. 47)
Il rapporto tra i tre, nel corso della loro storia, si incrina, si rompe e si riaggiusta continuamente: è un legame che trascende il tempo e lo spazio, ma è anche fragile nel suo essere vulnerabile alla gelosia, alle incomprensioni e alle distanze interiori. Dean si mette continuamente in competizione con il fratello; Kaui cerca in tutti modi di distaccarsi da quell’ambiente in cui si sentiva ignorata; Nainoa si sente irrimediabilmente solo perché il suo sentire a volte è dono ma anche condanna a farsi carico del dolore del mondo. C’è sempre un alone di frustrazione nel loro modo di parlare e rapportarsi, ma contemporaneamente un affetto invisibile che - quando liberato - travolge tutto:
“Ma non riuscivo mai a colmare la distanza tra dov’ero io e dov’era lui. Non lo so perché. Potessi tornare indietro attraverserei quel confine in un secondo, a costo di fare un discorso strappalacrime da mahu, dargli una specie di abbraccio per telefono. Potessi tornare indietro adesso, lo farei subito.” (p. 91)
Le assenze diventano presenze ingombranti, dolorose e necessarie, sullo sfondo di un magico potere rappresentato dagli dei, dalla tradizione e da una connessione indelebile con le proprie origini. Il tutto viene descritto da una scrittura estremamente delicata ma sincera in ogni passaggio, da un ritmo lento che presta attenzione a ogni minimo cambiamento. Ed è così che la storia di questa famiglia si srotola sulla pagina: con una potenza straordinaria, che è in fondo la stessa che si ritrova nel loro amore capace di scavalcare ogni confine - perfino quello tra cielo e terra, tra vita e morte.
Le Hawaii non sono solamente ambientazione, ma prendono il sopravvento e parlano attraverso i personaggi che soccombono o combattono, che si dilatano o si restringono di fronte alle difficoltà della vita. La terra condiziona e indirizza, sia vicino che lontano: è parte di Nainoa, di Kaui, di Dean e di tutti gli altri, che essi la vogliano o che la respingano con tutto il cuore.
Squali al tempo dei salvatori narra la storia di come l’amore - quello più profondo, quello sentito a tal punto da diventare quasi magico nella sua prorompenza - sia una delle più grandi forme di resistenza: la tradizione spirituale contro il capitalismo più bieco, i legami familiari contro la lontananza e i colpi scagliati dalla vita, l’empatia verso tutte le cose contro il più cieco cinismo. Racconta di un popolo, di una famiglia, di tre persone che ricercano il loro posto nel mondo, ma si espande anche all’universalità: la consapevolezza - delle proprie emozioni, delle proprie radici, dei propri confini - e i legami che si hanno, sono spesso l’unica arma per contrastare il male che il mondo impone. Finché ci sono, finché si sentono, niente si perde - col tempo tutto si ritrova.
Foto 1 da Books are magic (data di ultima consultazione 18/08/2021)
Foto 2 da New York Times (data di ultima consultazione 18/08/2021)
Foto 3 da StarTribune (data di ultima consultazione 18/08/2021)