Cosa ci resta di Sylvia Plath: tra eredità letteraria e immaginario pop

Giulia Regoli

Ancora oggi, Sylvia Plath rimane una delle scrittrici americane del Novecento che più ha rappresentato – attraverso la trasposizione letteraria della sua vita e la sua poetica – il vissuto delle donne statunitensi di quel periodo, unito all’esperienza della malattia mentale e al sentimento di alienazione dovuto all’oppressione patriarcale. 

Proprio per questi motivi, è ancora una figura centrale nella letteratura americana femminile contemporanea, tanto da essere tuttora studiata e indagata sia riguardo alla sua produzione testuale, sia riguardo alla sua biografia. L’alone di dolore e di mistero che permea la sua scrittura viene però spesso semplificato: questa polarizzazione la rende mero simbolo dell’angoscia femminile nel mondo – osservata da uno sguardo maschile – e porta a leggere le sue poesie e le sue opere solo nell’ottica della sua sofferenza. In realtà, le sfumature sono molteplici.

 

1. Dopo la morte di Sylvia Plath

2. L’effetto Sylvia Plath

3. Il tema della malattia mentale nella critica

4. The Bell Jar  nella cultura pop

5. Conclusione

6. Bibliografia

 

1.  Dopo la morte di Sylvia Plath

Sylvia Plath si è suicidata l’11 febbraio del 1963, mettendo la testa nel forno e accendendo il gas: aveva una lunga storia alle spalle di diagnosi di malattia mentale, ricoveri psichiatrici e tentativi di togliersi la vita. 

Fin dal momento della sua morte, la scrittrice è stata resa simbolo di ribellione femminile contro la cultura patriarcale. Prima di vivere i suoi ultimi istanti, infatti, Plath aveva preparato delle tazze di latte e un piatto di pane per i suoi figli – come se, persino alla fine della sua vita, non potesse in nessun modo trovare via di fuga o sollievo dal suo ruolo di moglie e madre in una società in cui il potere era maschile e le scelte per le donne erano mere illusioni. 

Ciò che la affliggeva da viva, ha continuato a perseguitarla anche da morta: l’impossibilità di uscire dai ruoli relegati alle donne; la continua lotta interiore di fronte all’impossibilità di avere scegliersi un futuro in cui poter stabilire chi essere; doversi ridimensionare per rientrare nella concezione femminile dell’epoca. Proprio per questo motivo, dopo il suo ultimo episodio depressivo, è iniziata quasi una collettiva caccia al motivo del suicidio, che spesso faceva ricadere le ragioni del suo gesto sugli uomini che più le avevano fatto del male

Sylvia Plath

Per esempio, il suo rapporto molto ambivalente di amore e odio col padre non era un mistero – come lei stessa aveva scritto nella poesia Daddy – e suo marito Ted Hughes l’aveva recentemente abbandonata a crescere da sola i loro due figli. Dopo la sua morte, moltissime persone hanno cercato di liberarla dalla costrizione che aveva sempre vissuto sulla sua pelle: persino sulla sua tomba, con su scritto il suo nome completo da sposata, “Sylvia Plath Hughes”, la parte “Hughes” del cognome è stata più volte cancellata dai visitatori, in un simbolico atto liberatorio – forse anche in uno slancio empatico, figlio della connessione che Plath era capace di creare con chi la leggeva.

Infatti, la trasparenza con cui la scrittrice parlava dei suoi sentimenti e cercava di identificarne le ragioni – sia attraverso la sua storia personale che l’analisi lucida del contesto socio-culturale in cui era nata – ha sempre rappresentato un punto di contatto tra lei e chi ancora oggi la incontra tra le sue pagine. 

La sua capacità di raccontarsi tramite la creazione di alter ego a tratti mitici, che trascendono le forme temporali e spaziali, rendono le sue poesie e i suoi scritti opere che tuttora parlano forte e chiaro – specialmente a chi si ritrova in lei e nelle sue esperienze. Allo stesso tempo, il suo immaginario letterario ha molteplici spunti e porta verso moltissime direzioni che – al contrario di quanto spesso detto dalla critica che riconduce tutto alla sua biografia – esistono a prescindere dalla sua esperienza dei disturbi mentali e del suo vissuto di donna. 

Infatti, Plath non va ridotta a semplice esempio di cosa significhi essere una figura marginalizzata che soffre per i propri problemi: al contrario, la scrittrice e le sue opere sono esistite ed esistono – a livello letterario – nonostante il dolore. Anzi, hanno trovato un modo sincero di raccontarlo, che ha qualcosa da dire anche e soprattutto a chi, di questi temi, non ha mai fatto e forse mai farà esperienza.

 

2. L’effetto Sylvia Plath

L’influenza di Sylvia Plath a livello sociale è stata notata quasi subito dopo la sua morte, analizzando i risvolti psicologici che le sue opere e il suo suicidio hanno avuto a livello culturale e prendendola come caso anche per degli studi particolarmente mirati.

Sylvia Plath

Per esempio, nel 2001, lo psicologo James C. Kaufman ha coniato l’espressione “the Sylvia Plath effect” (“l’effetto Sylvia Plath”, ndt.): Kaufman credeva che i poeti, più che gli altri scrittori in generale, fossero più propensi a sviluppare un disturbo mentale. Sono stati effettuati poi degli studi a supporto di questa tesi: analizzando un totale di 1629 scrittori, è stato scoperto che le poetesse sono più soggette a sviluppare un disturbo mentale rispetto alle scrittrici di altri generi o a tutti gli scrittori maschi in generale. La teoria è stata poi più recentemente contrastata, in quanto non tiene conto di altri molteplici fattori discriminatori e di disparità che possono contribuire alla sofferenza. Inoltre, tende alla romanticizzazione della depressione o altri tipi di problematiche – la malattia non aumenta la creatività e pensare ciò significa sottostimare la situazione di dolore con cui è costretta a convivere questa parte di popolazione. Comunque, la centralità della figura di Sylvia Plath è evidente anche dal fatto che la sua storia sia stata presa da modello e pretesto per approfondire anche a livello psicologico il contesto socio-culturale generale in cui vivevano persone simili a lei per genere, professione o stato mentale.

Un altro esempio è stato il caso chiamato da psicologi e psichiatri come “the bell jar syndrome” (“la sindrome della campana di vetro”, ndt., dal titolo del romanzo semi-biografico La Campana di Vetro). Dopo la pubblicazione dell’unico romanzo scritto da Sylvia Plath, l’opera divenne quasi un oggetto di culto e si trasformò in un vero e proprio fenomeno sociale. La storia di Esther – alter ego della scrittrice – rappresentava quasi alla perfezione un sentimento comune tra le giovani donne statunitensi degli anni ’50: l’impossibilità di conciliare il proprio essere donna (quindi costretta ad adattarsi a uno dei ruoli previsti dalla società) con le proprie ambizioni e i propri sogni. Questa sensazione scatenò una serie di suicidi di ragazze che frequentavano il college, tutte accomunate da ciò che Betty Friedan chiamava “il problema che non ha nome” e che Plath aveva descritto così bene: il sentirsi in qualche modo mutilate dalla nascita, private della libera scelta e della possibilità di costruirsi una vita soddisfacente per dover adempiere ai doveri imposti dalla società patriarcale.

 

3. Il tema della malattia mentale nella critica

La discriminazione di genere nell’ambito delle malattie mentali esiste da moltissimi secoli: si è sviluppata diversamente in epoche e contesti sociali differenti, ma le donne sono comunque sempre state più soggette ad avere questo tipo di diagnosi – usata anche come strumento di oppressione nei confronti di persone che non aderivano perfettamente allo stereotipo che la società voleva per loro. 

Al contempo, le donne sono sempre state più propense a sviluppare questa problematica per via della marginalizzazione subita. In ogni caso, il discorso psichiatrico è sempre stato prevalentemente un campo maschile e solo recentemente si è iniziato a notare e studiare questo tipo di complessità in ottica di genere.

Sylvia Plath

Nel caso di Sylvia Plath, il fatto che lei soffrisse di un disturbo mentale e che si sia suicidata ha avuto delle conseguenze anche nel modo in cui la critica ha letto le sue opere: spesso, sono state analizzate solamente alla luce di ciò, considerando tutto ciò che aveva scritto nell’ottica della sua duplice sofferenza. Come nel caso di altre scrittrici famose – basti pensare a Virginia Woolf o a Sarah Kane – la sua morte è diventata la lente con cui filtrare tutto il suo operato di scrittrice e spesso, la sua figura viene raccontata come se il punto focale della sua storia sia il modo in cui è morta e il suo dolore

Quando si parla di autori uomini, la scomparsa prematura viene osservata come una tragedia: si piange un evento visto come ciò che ha impedito a un grande genio di continuare a impiegare la sua creatività nella composizione di grandi scritti. Quando, invece, il soggetto di questa narrativa sono le donne, si tende a ricondurre tutto alla malattia mentale: il vissuto, le opere, le azioni diventano parte della follia e vengono rilette come una lunga lettera d’addio al mondo. Tutto ciò fa parte della più ampia tematica della discriminazione di genere in letteratura, e contribuisce a creare il grande divario letterario per cui i grandi scrittori sono solamente uomini. Secondo l’ottica patriarcale che opera anche in questo campo, le donne scrivono solo per le donne e le loro opere vengono svalutate a priori rispetto ai corrispettivi maschili e vengono relegate tutte a un solo genere, dispregiativamente definito come “femminile”.

Questo è ciò che è successo nell’ambito della critica alla figura di Plath: spesso, viene vista (in maniera sessista) come l’emblema della ragazza arrabbiata e triste, polarizzata al punto da perdere tutti i magnifici spunti che il suo immaginario poetico offre per rielaborare il mondo e i sentimenti. 

Lo sguardo maschile ha influito molto sull’interpretazione delle sue opere e ha contribuito a una semplificazione che spesso coinvolge le autrici donne: le sue opere sono state considerate da femmina – espressione usata in senso dispregiativo dal discorso dominante maschile – e, in più, a livello di rappresentazione (come per esempio in alcune copertine del suo romanzo La Campana di Vetro) lei o le protagoniste delle sue storie sono state sessualizzate, ignorando ogni atto di rivendicazione della condizione femminile espresso dalle sue parole. 

Proprio per questi motivi è importante ricordare che, nelle parole di Sylvia Plath, vengono sviscerate molteplici tematiche: dalla malattia alla sopravvivenza; dall’ambizione alla disperazione, contemplando un’esistenza a tutto tondo che non deve essere semplificata sulla base di stereotipi od opinioni inficiate dalle discriminazioni sociali.

 

4. The Bell Jar  nella cultura pop

Questo tipo di polarizzazione dell’opera di Sylvia Plath l’ha portata a farsi portavoce di un simbolo – di per sé assolutamente non negativo – che è quello della rabbia femminile mista alla tristezza e alla rassegnazione. Per questo motivo, molti dei personaggi femminili che rispecchiano questa immagine in film o serie tv considerati pop leggono o parlano della scrittrice.

Sylvia Plath

In particolare, il romanzo The Bell Jar (La Campana di Vetro) è diventato un indicatore per descrivere il trope della ragazza giovane che rifiuta gli standard sociali femminili, che ha spesso una storia burrascosa o si definisce come outsider non ritrovandosi nel contesto in cui vive. Date le tematiche del libro, è facile capire come mai ci sia stata questa connessione tanto immediata: finché essa viene rivendicata dalla stessa categoria marginalizzata e diventa il tramite attraverso cui le donne ritrovano parte della propria esperienza e la usano per cercare di ribellarsi alla visione che il patriarcato ha di loro, lo strumento è potente e può creare una rete di empatia. Il problema si crea nel caso in cui questa stessa associazione diventi un modo per sminuire questi personaggi, le loro volontà e le loro aspettative nei confronti della realtà.

Ovunque appaia il libro The Bell Jar in un prodotto mediatico, chiunque lo stia leggendo è sicuramente un personaggio femminile forte, introspettivo, anticonformista e in qualche modo triste. Esempi di ciò si possono ritrovare in grandi classici cult della cultura pop o anche in uscite più recenti: Katarina, protagonista del film 10 cose che odio di te, si presenta da subito come sprezzante del giudizio altrui e con dei gusti musicali sicuramente non banali; Lisa Simpson, ragazza più matura dei suoi compagni dal punto di vista della consapevolezza sui vari problemi del mondo e che per questo tende a isolarsi, viene rappresentata leggendo il libro in un episodio della serie animata; Sabrina, in Sabrina, vita da strega, ha in mano il romanzo in un giorno in cui è particolarmente triste. Altre rappresentazioni di questo tipo sono Maeve di Sex Education, che si dichiara apertamente femminista e ha un’indole scontrosa data la sua infanzia infelice, oppure Rory Gilmore di Gilmore Girls, “diversa” dai suoi coetanei data la sua passione per la lettura in generale e per la storia familiare. La lista delle casistiche continuerebbe ma – in ogni caso – la presenza di quest’opera di Sylvia Plath identifica determinate caratteristiche dei personaggi femminili, tanto che si può parlare di un vero e proprio trope, un tipo di ragazza.

Nei contesti più pop, anche i riferimenti a The Bell Jar attraverso frasi o citazioni sono molteplici, e contribuiscono fortemente alla semplificazione del punto di vista che troviamo nel libro: infatti, il titolo viene sempre usato per indicare la precisa estetica dell’infelicità femminile in maniera negativa. Proprio in questo senso, c’è una patologizzazione morbosa delle donne che leggono Plath e un consequenziale appiattimento del messaggio del romanzo e della figura della scrittrice stessa. 

Riportare tutte le varie sfaccettature della sua opera alla tristezza – vista inoltre come una donna che si lamenta capricciosamente del mondo in cui vive, quasi come fosse una bambina viziata – significa, a livello dell’immaginario collettivo, non restituire a questo tipo di personaggi femminili la complessità che meritano. Si sottovaluta persino la loro rabbia e il loro sentimento di disagio e alienazione, che in fondo ha una matrice molto vicina a quella della sofferenza di Esther Greenwood, la protagonista del romanzo.

 

5. Conclusione

In molti casi, la rilettura di Sylvia Plath da parte della critica e la sua trasposizione nell’immaginario pop – specialmente quello cinematografico e televisivo – hanno subito una semplificazione dovuta sia alla considerazione delle sue opere solo nell’ottica del suo suicidio, sia alla disinformazione e discriminazione che esistono ancora oggi a livello sociale sul tema della malattia mentale e del genere. 

Eppure, la scrittrice rimane tutt’oggi un soggetto importante che viene ancora studiato sia sul piano biografico che letterario: infatti, il suo essere simbolo di ribellione femminile e la sua scrittura fortemente immaginifica ma sincera sono parti indissolubilmente connesse, non solo alla sua presenza nel panorama della letteratura statunitense del Novecento, ma la rendono anche perfettamente attuale nel presente

In questo senso, Plath ha subito una polarizzazione ma è riuscita anche a scavalcarla: è proprio in questa ambivalenza che si colloca tutta la sua produzione, che non può essere definita in un solo senso, ma va letta alla luce di tutto ciò che lei era e pensava. Insieme alla rabbia, troviamo la rassegnazione; insieme all’impossibilità, il movimento; insieme alla morte, la sopravvivenza.

Le limitazioni che ha dovuto subire nella vita in quanto donna affetta da disturbi mentali non l’hanno fermata dal raccontare mondi in cui i limiti non esistono: forse è questo il suo più grande lascito che spesso non si è pronti ad accogliere, letterariamente e personalmente parlando.

 

6. Bibliografia

Arnold Sam H, The Discrimination of Women in Literature. Medium (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Banita, Georgiana, “‘The Same, Identical Woman’: Sylvia Plath in the Media.”, The Journal of the Midwest Modern Language Association, vol. 40, no. 2, Midwest Modern Language Association, 2007, pp. 38–60. JSTOR (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Crawford Lilian, Sylvia Plath: Will the poet always be defined by her death?. BBC Culture (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

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Parker James, Why Sylvia Plath Still Haunts American Culture. The Atlantic (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Staff Harriet, Why Did Sylvia Plath Die?. Poetry Foundation (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

Temple Emily, 15 Covers for The Bell Jar, Ranked from Most to Least Sexist. Literary Hub (data di ultima consultazione: 19/10/2021).

 

Foto 1 da Vogue (data di ultima consultazione: 26/10/2021).

Foto 2 da Interno Poesia (data di ultima consultazione: 26/10/2021).

Foto 3 da The Bloody Island (data di ultima consultazione: 26/10/2021).

Foto 4 da Pinterest (data di ultima consultazione: 26/10/2021).