Giulia Regoli
Nel 1971, nel suo Sputiamo su Hegel, Carla Lonzi definiva l’emergere del soggetto femminista come lo spuntare di un “soggetto imprevisto”, che ha le potenzialità di rompere dei pattern di potere prestabiliti di matrice patriarcale per creare soggettività alternative e non pronosticate. Questa definizione si adatta particolarmente bene alla figura di Valerie Solanas: donna, femminista, lesbica, psichiatrizzata, che è stata tutto fuorché prevista nella sua complessità e nella sua indole rivoluzionaria. Troppo spesso ricordata unicamente come colei che sparò a Andy Warhol, in realtà la sua figura e le sue opere hanno offerto spunti di riflessione interessanti che contestano il dominio maschile e provano a immaginare una nuova libertà priva di esso.
Valerie Solanas nacque il 9 aprile del 1936 nel New Jersey. La sua infanzia fu costellata di abusi sessuali da parte del padre. Fin da piccola, perciò, Valerie conobbe la violenza patriarcale in maniera becera e iniziò a formare il suo spirito critico anche attorno alle esperienze che fu costretta ad attraversare. Non mancarono nemmeno delle gravidanze indesiderate: la prima, frutto degli stupri in ambito familiare, la portò a partorire mentre frequentava un collegio in cui era stata mandata dal nuovo marito della madre; la seconda avvenne in seguito alla relazione con un marinaio più grande di lei, sposato e con tre figli, che - ricevuta la notizia - la lasciò e propose di dare il figlio in adozione a una coppia di suoi amici che in cambio avrebbero finanziato gli studi universitari di Valerie.
Oggi - molto spesso - chi parla della sua figura si sofferma su questa parte della sua vita in maniera quasi scrupolosa, rinforzando l’equazione per cui una donna che ha subito abusi fin dalla tenera età non può che diventare la tipica figura disturbata e “pazza”. In realtà, la pericolosità di questa sovrapposizione sta proprio nel fatto che le reazioni - considerate apparentemente assurde - di queste donne non vengano considerate come risposte a una società patriarcale violenta, ma come atti folli in sé che derivano unicamente dalla scarsa responsabilità personale delle malcapitate. Secondo una lettura più stratificata, la situazione è più complessa, proprio come per la figura di Valerie Solanas.
Durante l’adolescenza, infatti, la scrittrice fece anche coming out come lesbica, subendo numerosi episodi di bullismo per il suo orientamento sessuale, in degli Stati Uniti estremamente conservatori. Nonostante ciò, nel 1954 si iscrisse all’università di psicologia nel Maryland, laureandosi poi e ottenendo l’ammissione a un master presso l’università del Minnesota. Dopo un anno, però, abbandonò gli studi denunciando l’ambiente estremamente sessista dell’università e si trasferì a New York dove provò a sopravvivere guadagnando soldi come poteva - facendo vari lavori, dalla cameriera alla prostituta.
Valerie quindi sperimentò in prima persona le ingiustizie strutturali che sono alla base della società, subendo violenza sessuale, economica e bullismo. Proprio da questi presupposti partì la sua ricerca di idee per la stesura della sua opera più famosa: il suo manifesto.
“In questa società la vita, nel migliore dei casi, è una noia sconfinata e nulla riguarda le donne: dunque, alle donne responsabili, civilmente impegnate e in cerca di emozioni sconvolgenti, non resta che rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l'automazione globale e distruggere il sesso maschile” (Solanas, 1993: 11).
Questo è l’incipit dello SCUM Manifesto, che venne inizialmente autoprodotto e distribuito da Valerie stessa nel 1967, per poi essere pubblicato negli Stati Uniti nel 1968. Il titolo significa letteralmente “feccia” e fa riferimento al fatto che le donne ricoprono una posizione subordinata rispetto agli uomini, relegate ai margini della società. Nel testo, non si propone di modificare lo stato delle cose, né si vuole analizzare gli errori del sistema per provare a risolverli: l’intento è quello di distruggere, di radere al suolo le strutture portanti della società per poi - magari - ricostruirla da zero, giusta ed equa come dovrebbe essere. In questo caso, gli uomini sono il simbolo di tutto ciò che c’è di sbagliato, avendo costruito un meccanismo globale basato sulla guerra, sul denaro, sul lavoro mercificato e su tutto ciò che causa e reitera l’oppressione verso chi è escluso. L’unica soluzione è l’eliminazione di tutto questo.
Nel suo manifesto estremamente provocatorio, Solanas ribalta il pregiudizio per cui la donna è inferiore all’uomo, indicando quest’ultimo come soggetto mancante (essendo privo di gene x) e rovesciando una credenza millenaria - parlando per iperboli - allo scopo di far nascere la scintilla della rivoluzione. Infatti, lancia una critica serrata a moltissimi aspetti della società capitalista e patriarcale: dall’egemonia maschile ai rapporti familiari; dalla considerazione del lavoro alle relazioni sociali connesse al potere. Solamente la cancellazione degli uomini in quanto portatori di un sistema intrinsecamente marcio può portare, tra le altre cose, alla completa liberazione femminile e a una rinascita che comprende la ridisegnazione dello spazio pubblico, nuovi programmi educativi e l’automazione del lavoro. Sarà, quindi, proprio la scum (feccia, ndr.) - trascurata e considerata sacrificabile, a organizzarsi e ad agire clandestinamente per far crollare la società e ricostruirla finalmente equa.
Nonostante il testo faccia riferimento a un femminismo della seconda ondata e, nel tempo, siano stati fatti ulteriori passi avanti, specialmente per quanto riguarda l’abolizione del binarismo di genere, il testo ha il merito di aver portato all’attenzione pubblica delle tematiche su cui ancora oggi si discute molto, come l’uso della tecnologia anche a livello riproduttivo, l’esclusione delle donne dal mondo della cultura e dall’economia e il lavoro di cura non retribuito.
Valerie Solanas viene spesso ricordata, nei vari rendiconti sulla sua vita o negli articoli che la riguardano, come la donna che sparò ad Andy Warhol. Nonostante questo sia vero in sé, il fatto che la sua intera personalità venga ricondotta a questo avvenimento è una violenza che riguarda l’appiattimento della sua complessità di persona e di donna, tralasciando il fatto che spesso le sue motivazioni non vengono analizzate né prese in analisi. Come riferisce Stefania Arcara, docente di Letteratura Inglese e Gender Studies all’Università di Catania e curatrice di Trilogia SCUM (2017), in un’intervista:
“In una situazione di normalizzazione diffusa della violenza etero-patriarcale, di cui è parte integrante la cancellazione dell’attività intellettuale delle donne, la memoria del ‘grande pubblico’ opera in maniera selettiva e per questo mette in primo piano il gesto aggressivo di Solanas nei riguardi di un uomo, per di più ammantato di prestigio sociale e culturale.”
Il dislivello di potere che esisteva tra Solanas e Warhol ha portato a uno schiacciamento della figura della donna, vista come persona che, durante un raptus di follia, ha tentato di uccidere un uomo innocente. In realtà, la sua era una reazione alle continue discriminazioni subite anche dall’artista stesso, che non va condonata ma sicuramente inquadrata per comprenderne i risvolti più complessi e spesso nascosti a livello di risonanza mediatica.
Infatti, Valerie aveva precedentemente proposto a Warhol di pubblicare un suo pezzo teatrale, Up Your Ass, che aveva come protagonista Bongi Perez, una prostituta attraverso il cui personaggio veniva criticato il sessismo vissuto quotidianamente dalle donne. In quegli anni, Warhol era famoso per portare in scena delle opere provocatorie e a tratti scorrette - e le sue biografie sottolineano spesso quanto avesse apprezzato questa particolare pièce. Nonostante ciò, però, rifiutò Up Your Ass dando come giustificazione la volgarità del linguaggio e l’oscenità che conteneva, temendo che fosse una trappola della polizia per arrestarlo con la scusa di indecenza. Eppure, all’epoca, molto spesso le sue rappresentazioni venivano interrotte dall’arrivo delle forze dell’ordine o addirittura censurate per gli stessi motivi. Inoltre, nei teatri off-off Broadway venivano spesso messi in scena degli spettacoli con atti estremamente controversi da questo punto di vista. L’opera di Valerie, però, venne da lui considerata eccessivamente provocatoria e questo fu il presunto motivo del rifiuto.
Il problema fondamentale era perciò la figura di Valerie: una donna lesbica, povera ed emarginata, che non poteva trovare spazio in un mondo culturale prevalentemente maschile. Perciò, Warhol le disse di no, ma allo stesso tempo si tenne il testo - nonostante le numerose richieste di restituzione - e ne usò varie battute nei suoi lavori, senza mai chiedere il consenso alla scrittrice.
Questo è il background spesso trascurato dell’avvenimento del 3 giugno 1968, quando Valerie Solanas sparò tre colpi di pistola ad Andy Warhol, ferendolo gravemente. Warhol sopravvisse, mentre le opportunità di vita di Solanas, proprio in quel momento, morirono all’istante.
Il gesto valse una condanna a Valerie Solanas, per il resto della sua esistenza, alla violenza e alla ancora più dura marginalizzazione. Infatti, la conseguente psichiatrizzazione e l’ospedalizzazione per diagnosi di schizofrenia contribuirono largamente al suo declino sociale. Avendo considerato le sue azioni non alla luce della sua storia personale e delle violenze patriarcali subite anche dallo stesso Warhol, ma solo come atti di follia individuale di una donna che odiava gli uomini, le istituzioni la fecero ricoverare nell’ospedale psichiatrico femminile di Matteawan, all’epoca noto per la perpetrazione di abusi ai danni delle prigioniere. In seguito, venne trasferita nella divisione di Bellevue, dove nel 1969 subì un’isterectomia forzata. Il centro, infatti, era famoso per la sperimentazione senza consenso sulle proprie pazienti.
Anche molti movimenti femministi si distanziarono da lei dopo l’attentato del 1968 e la sua storia venne presto dimenticata - proprio come la sua persona - mentre, nel frattempo, Solanas continuò a entrare e uscire da varie strutture psichiatriche, abbandonata a se stessa e senza alcun tipo di supporto nemmeno dagli ambienti militanti a cui apparteneva. L’opinione pubblica rese presto il caso marginale e Valerie continuò a subire violenza psichiatrica per gran parte della sua vita, fino poi alla sua morte, avvenuta in un motel di San Francisco dove si incontravano persone reiette della società - specialmente prostitute e malati terminali di AIDS, anche loro lasciati soli da un sistema che li stigmatizzava al punto da costringerli a nascondersi.
La morte di Valerie Solanas è parallela alla sua vita: persino negli ambienti marginali, per lei non c’era spazio né cura. Per questo motivo, è stata sempre relegata allo stato di outsider e discriminata dalla stessa società che l’ha traumatizzata e resa tale.
Valerie Solanas è andata oltre gli schemi sociali incarnando la marginalizzazione e provando a ribaltarla. La sua figura controversa e complessa è stata spesso appiattita e silenziata, principalmente perché appartenente a delle categorie sociali discriminate. Ultimamente, però, specialmente negli ambienti femministi, che dalla sua opera hanno avuto numerosi spunti di avanzamento, ci sono stati vari tentativi di narrare davvero la sua storia, per troppo tenuta all’ombra di un uomo bianco ricco privilegiato, dando un riscatto alla sua persona nel bene e nel male.
La voglia di ridare vita a Valerie Solanas traspare in maniera cristallina, per esempio, nell’opera di Chiara Fumai, che nella videoinstallazione Chiara Fumai legge Valerie Solanas dà voce alle parole di SCUM Manifesto, fondendo il passato al presente e rendendo evidente l’urgenza di basarsi sulle istanze femministe del nostro tempo per dare una nuova forma al mondo in cui viviamo. La storia di Valerie è proprio l’emblema di ciò e sarebbe una grande eredità artistica, politica e personale essere in grado di conoscerla e leggerla attraverso la sua prospettiva, non solo da quella di chi la considerava scomoda.
Bonomi Romagnoli, Barbara. “La vera storia di Valerie Solanas”, su Il Corriere della Sera (data di ultima consultazione: 16/04/2023).
Bosisio, Elisa ed Elena Mistrello. Craving for a reason, su Anarco Queer (data di ultima consultazione: 16/04/2023).
D’alessandro, Sandra. “Valerie Solanas”, su Enciclopediadelledonne.it (data di ultima consultazione: 16/04/2023).
Dinsdale, Emily. “Valerie Solanas was more than just the woman who shot Andy Warhol”, su DAZED (data di ultima consultazione: 16/04/2023).
Macrì, Teresa. “Chiara Fumai, dalla misoginia positivista alle eroine scomode”, su Il Manifesto (data di ultima consultazione: 16/04/2023).
Solanas, Valerie. S.C.U.M Manifesto per l’eliminazione dei maschi. ES, 1993.
Foto 1 da SwashVillage.
Foto 2 da The Bookish Explorer.
Foto 3 da ThoughtCo.
Foto 4 da Bust Magazine.