Maria Cristina Ianiro
La discussione sul sex work (lavoro sessuale) è uno dei pochi tabù internazionali che ha trasceso lo spazio e il tempo. Chi si dedica al sesso a scopo di lucro è spesso considerato indesiderabile dalla società e il suo contributo alla forza lavoro e all'economia in generale non è riconosciuto. Man mano che le nazioni adottano politiche socialmente più progressiste, come la depenalizzazione del lavoro sessuale, il dibattito sul tema dell'impegno degli attivisti nel sesso a scopo di lucro è diventato sempre più divisivo. Il 17 dicembre ricorre la Giornata mondiale contro la violenza sulle/sui sex workers. Questa giornata è stata istituita per richiamare l'attenzione sui crimini d'odio commessi contro i lavoratori del sesso in tutto il mondo. Inaugurata dalla dottoressa Annie Sprinkle e iniziata dal Sex Workers Outreach Project USA, la Giornata nasce allo scopo di porre fine alla violenza contro i sex workers dando visibilità alle lavoratrici e ai lavoratori del settore, che si riuniscono contro la discriminazione e per ricordare le vittime di violenza.
Spesso eufemizzato come "il mestiere più antico del mondo", i confini definitivi di ciò che il lavoro sessuale rappresenta sono cambiati drasticamente, in particolare nell'ultimo secolo.
Le persone che lavorano nell'industria dei servizi sessuali (in prevalenza donne) sono state stereotipate come giovani ragazze povere e indifese, o viziose ladre e adultere. Le implicazioni del tabù che ruota attorno al lavoro sessuale hanno ampiamente oscurato le conversazioni sul consenso, sul progresso economico, legale e sociale e sulla percezione del valore del sesso femminile nella teoria femminista fino alla fine del ventesimo e all'inizio del ventunesimo secolo (Berg, 2014).
Il tema del lavoro sessuale ha causato grandi conflitti e divisioni nel dibattito femminista ed è diventato un importante punto di dialogo all'interno della teoria legale femminista. Molte donne che credono nel diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo sostengono la rimozione delle pene su chi esercita questa professione, pene che risultano essere, a loro dire, discriminatorie e che possono portare a maggiori molestie. Tuttavia, altre femministe ritengono che il lavoro sessuale sia moralmente sbagliato in quanto promuove una percezione della donna sottomessa e ipersessualizzata che incoraggia l'abuso (Jeffreys, 2008).
Mentre il mondo accademico antropologico femminista continua a progredire, considerando le narrazioni interculturali del lavoro sessuale, rimane una domanda: la legislazione sul lavoro sessuale può far progredire il ruolo delle donne? Oppure la sua natura, percepita come sfruttatrice e misogina, ostacola il loro progresso sociale e legale?
Uno degli argomenti più significativi all'interno del dibattito sulla depenalizzazione del lavoro sessuale è il modo in cui questo viene definito.
La comunità antropologica riconosce il lavoro sessuale solo come atti sessuali svolti volontariamente in cambio di denaro o altri beni (Freeman, 1989). Tuttavia, il termine sex work viene spesso confuso con la prostituzione e altre attività.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il lavoro sessuale come un servizio legato al sesso (incluso il sesso penetrativo, il cyber-sex, la pornografia, lo spogliarello, ecc.) inquadrando in generale, i lavoratori del sesso come persone che ricevono denaro o altri beni in cambio di servizi sessuali e che definiscono consapevolmente tali attività come generatrici del loro reddito (Berg, 2014).
L'ampiezza di questa definizione è dovuta al fatto che questo è illegale in molti paesi e culturalmente viene accolto in modo diverso, quindi non è facile stabilire quali pratiche rientrino in questa forma di lavoro e quali ne restino escluse, in una accezione univoca (Jeffreys, 2008).
Proprio per tentare di fare chiarezza, sarebbe opportuno focalizzarsi su un duplice concetto centrale per comprendere il sex work. La natura intrinseca di questo termine è legata infatti all’idea di scelta e di consenso. Quando si discute sui sex worker, il traffico sessuale e la schiavitù sessuale non dovrebbero essere inclusi in questo dialogo. Il lavoro sessuale non riguarda i minori o i bambini, le persone che sono state ingannate o minacciate, quelle che non possono rifiutarsi di lavorare per paura della loro sicurezza personale o quelle che si dedicano all'attività sessuale per un profitto che non sono in grado di mantenere (Doezema, 2002). La questione del consenso è significativa anche quando si considera il ruolo del razzismo e della disuguaglianza di classe tra le lavoratrici e i lavoratori del sesso. Storicamente, il dialogo femminista ha trascurato le prospettive e le narrazioni delle donne di colore.
Stereotipicamente, le donne di colore sono viste come prostitute e donne ipersessuali che partecipano al sesso commerciale più delle donne bianche. Eppure, allo stesso tempo, sono escluse dal dibattito pubblico sulla coercizione nel sesso commerciale e nella sua tratta, poiché la maggior parte del dibattito femminista a sostegno della depenalizzazione del lavoro sessuale si basa sull'esperienza della giovane donna bianca. Le barriere legali ed economiche che spingono le donne di colore verso l'industria del sesso sono molto diverse da quelle delle donne bianche che godono di privilegi sociali spesso diversi. Quindi, molti degli scenari in cui le donne di colore partecipano alla prostituzione o ad altri atti sessuali a scopo commerciale si allineano meglio alle definizioni di tratta moderna.
Le donne di colore sono statisticamente più propense a praticare sesso commerciale dietro coercizione, a prostituirsi senza reale consenso, perché non c'è alternativa concreta, e a considerare il loro lavoro sessuale come una trappola o una forma di sopravvivenza (Butler, 2015).
Dato il peso dell'intersezionalità e le complesse relazioni tra privilegio razziale nell'industria del sesso commerciale, alcuni studi hanno confrontato l'industria del sex work in Messico e nei Paesi Bassi. Questo esempio cerca di mostrare le differenze all'interno dell'industria del sesso globale e spiegare come i livelli di privilegio sperimentati dalle lavoratrici del sesso in contesti socioeconomici diversi influiscano sulla visione femminista del ruolo della legge.
La depenalizzazione del lavoro sessuale ha un forte effetto sulla teoria femminista ma continua a mancare di un valore universale: le sex worker possono non essere definitivamente "consenzienti" secondo la definizione femminista occidentale, ma le loro prospettive culturali sono significative per un dialogo più ampio sull'impatto della legge sulla visione che le femministe hanno del sex work (Gerassi, 2015).
La femminista Kathi Weeks, professoressa associata di Women's Studies presso la Duke University, ha definito le tutele legali per le sex worker come parte di un piano più ampio che, su larga scala, riguarda sex worker, clienti e istituzioni che ne tutelano i diritti.
Gli obiettivi di questi movimenti che sorgono spontaneamente per dare visibilità a queste istanze sono diversi e rientrano nel quadro della giurisprudenza femminista. Lo scopo cardine è la depenalizzazione del sex work e sradicare lo stigma attorno al lavoro sessuale, impegnandosi a fornire trattamenti legali equi a livello locale così come internazionale, senza alcuna discriminazione e tabù (Weeks, 2011).
In termini legali, la depenalizzazione del lavoro sessuale è definita come l'eliminazione delle sanzioni penali per il lavoro sessuale (nello specifico la prostituzione). Il lavoro sessuale è infatti criminalizzato nella maggior parte dei Paesi (Weeks, 2011). La depenalizzazione è quindi considerata uno dei passi iniziali più importanti per arrivare a una legislazione che garantisca una migliore protezione delle donne nell'industria del sex work. I sostenitori della depenalizzazione affermano che questa potrebbe creare un ambiente più sicuro per le lavoratrici del sesso e prevenire il traffico sessuale.
Tuttavia, gli oppositori della depenalizzazione, come la femminista Sheila Jeffreys, sostengono che le tutele per il lavoro sessuale in realtà aumentano il traffico e mettono le lavoratrici del sesso a maggior rischio di danni, e che l'atto di regolamentare il lavoro sessuale potrebbe porre molti problemi ai governi e alle municipalità, come l'applicazione e l'accessibilità economica (Jeffreys, 2010).
La femminista Janice Raymond sostiene che la criminalizzazione del sex work è la più forte espressione sociale di disapprovazione o correzione sociale. Le leggi a favore della criminalizzazione del lavoro sessuale mirano anche a proteggere i gruppi vulnerabili dalla violenza e da altri abusi. Nella maggior parte dei Paesi, i legislatori e i governi creano leggi sul lavoro sessuale mediante la proibizione. Le leggi penali possono proibire attività come le transazioni stesse, ma spesso riguardano altre azioni correlate al sesso commerciale come l'adescamento, il mantenimento del bordello, la comunicazione con il tentativo di scambiare sesso per un profitto e la facilitazione di atti di transazione sessuale. Conseguenze severe come lunghe pene detentive, multe salate e la sospensione dell’ assistenza pubblica o dal lavoro sono tra le forme di punizione più comuni (Raymond, 1999).
La dott.ssa Lynzi Armstrong, criminologa femminista, afferma che il lavoro sessuale può essere perseguito anche in base ad altre forme di leggi antiprostituzione, come l'indecenza pubblica, il bighellonare, l'ostacolare il flusso del traffico o il comportamento disordinato. Sebbene questi reati non comportino in genere lunghe pene detentive, la polizia può avere l'autorità di arrestare e può utilizzare il possesso di oggetti legati al sesso, come i preservativi, come motivo di probabile causa. Le leggi su questi cosiddetti "reati innaturali", che in genere mirano a criminalizzare l'omosessualità, sono state utilizzate anche per perseguire i lavoratori del sesso che non dimostrano un chiaro scambio sessuale, come i lavoratori del cyber-sesso e le escort (Armstrong, 2018).
Le leggi neo-abolizioniste, che puniscono la clientela del sex work, mirano all'abolizione puntando a porre fine alla domanda di lavoro sessuale. Questo obiettivo può essere raggiunto criminalizzando l'atto di acquisto del sesso e imponendo pene severe ai clienti/patroni delle lavoratrici del sesso, cercando, al contempo di proteggere i lavoratori dallo sfruttamento (Armstrong, 2018).
La legalizzazione del lavoro sessuale spesso impone ai sex worker una regolamentazione attraverso restrizioni aggiuntive e requisiti, nonché la registrazione presso gli uffici governativi ufficiali (Mathieson, 2016). L'eliminazione di punizioni come multe, libertà vigilata, arresti e altre pene è sostenuta da molte attiviste femministe. La legalizzazione comporta un'attenzione particolare ai diritti dei lavoratori del sesso, come quelle contro la coercizione a fare o a rimanere nel settore, mentre tutti i contatti sessuali consensuali tra lavoratori del sesso adulti e clienti adulti non sarebbero criminalizzati (Beloso, 2012).
La depenalizzazione è molto sfumata e non richiede la legalizzazione per eliminare le sanzioni penali. Inoltre, può rendere legali alcuni aspetti del lavoro sessuale mentre altri rimangono illegali, e alcune azioni possono ancora essere considerate infrazioni alla legge (Vanwesenbeeck, 2017).
Ancor più importante, la depenalizzazione mira a spostare l'attenzione sulle lavoratrici in quanto persone, quindi, da non sanzionare in alcun modo. Ronald Weitzer, un noto sostenitore della legalizzazione/decriminalizzazione della prostituzione, ha affermato che l'uso di prove non scientifiche sulla prostituzione ha contribuito a creare un "panico morale", perché gli oppositori sostengono che la prostituzione è intrinsecamente violenta e non può essere regolamentata. Tuttavia, sostiene anche che altri governi sono stati in grado di rifiutare questa nozione e di trovare modi per regolamentarla (Weitzer, 2010).
Sebbene la depenalizzazione e la legalizzazione differiscano nelle loro prospettive su come incorporare la legge in relazione al lavoro sessuale, entrambe garantiscono la convinzione che il lavoro sessuale sia una forma di lavoro consensuale (Gerassi, 2015).
Secondo le femministe favorevoli alla legalizzazione, la criminalizzazione delle lavoratrici del sesso non fa che esacerbare i problemi che già affrontano. Pertanto, la depenalizzazione o la legalizzazione possono essere un punto di partenza per affrontare questi problemi. La depenalizzazione è ampiamente sostenuta da accademici, organizzazioni per i diritti umani come Human Rights Watch e American Civil Liberties Union, agenzie delle Nazioni Unite come UNAIDS, OMS e UNDP, organizzazioni LGBT come ILGA e Lambda Legal e organizzazioni anti-tratta come Global Alliance Against Traffic in Women, La Strada International e Freedom Network USA (Weitzer, 2010).
Tuttavia, organizzazioni come Amnesty International, che si battono per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso, sono state oggetto di critiche da parte di gruppi neo-abolizionisti e attivisti che sostengono che i proprietari dei bordelli, i protettori e i compratori dovrebbero essere sottoposti a persecuzione legale. Lo status giuridico dei gestori o dei datori di lavoro, come i protettori o i proprietari di bordelli, varia da paese a paese. Nei paesi che adottano il modello svedese, tutte le parti e/o gli individui coinvolti nell'acquisto di sesso sono perseguitati dalla legge. Tuttavia, altri paesi che hanno depenalizzato o legalizzato il lavoro sessuale, come i Paesi Bassi o la Nuova Zelanda, consentono l'uso di protettori o bordelli. Nonostante questi permessi, i protettori e i proprietari di bordelli spesso non sono regolamentati o tassati dal governo.
I sostenitori della depenalizzazione, come il senatore degli Stati Uniti Brad Hoylman, considerano i protettori e gli altri intermediari come imprenditori dell'industria del sesso commerciale, simili alle lavoratrici del sesso. Tuttavia, persino alcuni degli attivisti che sostengono la criminalizzazione che la depenalizzazione, ad esempio l'avvocata Katie Beran e la studiosa dei diritti umani Berta Esperanza Hernandez-Truyol, temono che i procacciatori di sesso commerciale spesso costringono e abusano delle donne a impegnarsi nel sesso a scopo di lucro e dovrebbero essere perseguiti dalla legge (Beran, 2012).
I sostenitori della legalizzazione o della depenalizzazione ritengono che la vendita e l'acquisto di scambio sessuale continuerà in ogni caso e che l'approccio neo-abolizionista sia più dannoso per le lavoratrici del sesso che utile. Pertanto, l'unico modo per prevenire efficacemente i crimini e le violenze sessuali è quello di riconoscere il sex work e che il governo costruisca politiche e leggi che affrontino il problema attraverso la regolamentazione dell'attività. (Beloso, 2012).
La domanda di un mercato per il sesso commerciale sta crescendo con le possibilità illimitate presentate dal progresso tecnologico e dall'innovazione. Mentre le società di tutto il mondo cercano di introdurre discussioni sui ruoli delle donne e sulla discriminazione di genere, le teoriche femministe dibattono su chi e cosa è protetto dagli obiettivi più grandi di uguaglianza e progresso di genere, senza fornire però un contesto sociale dettagliato. La giurisprudenza femminista è il punto focale in questa discussione: un approccio inclusivo e aperto al confronto tra il lavoro sessuale e le percezioni del lavoro nel suo complesso è essenziale se si vogliono fronteggiare gli stigmi associati al sex work e alle donne che lo praticano.
Il sesso a scopo di lucro è simile ad altri lavori, in quanto le persone che vendono il proprio corpo guadagnano denaro per pagare il costo della vita, si specializzano in diversi aspetti del loro campo, corrono dei rischi ed esercitano dei limiti personali proprio come qualsiasi altro lavoratore. Tuttavia, l'industria del sesso è rappresentata da luoghi di lavoro e aziende molto diverse tra loro.
Si deve tener conto di questioni quali chi decide di partecipare, quando, come e perché, e la variabilità delle spiegazioni per ogni circostanza è significativa per la pratica del lavoro sessuale come istituzione più ampia. Nella depenalizzazione e legalizzazione del sex work si dovrebbe dare più ascolto e attenzione alle ragioni che si celano dietro la scelta di una donna di impegnarsi nel sesso a scopo di lucro. Solo così possono essere evitate concretamente derive quali la sessualizzazione e lo sfruttamento del lavoro femminile.
Inoltre, le lavoratrici del sesso avrebbero un sostegno infrastrutturale che consentirebbe loro di essere considerate alla pari degli altri lavoratori e di godere di simili tutele di base da parte della legge. Il dibattito sulla depenalizzazione del lavoro sessuale ha contribuito quindi a spostare il focus da una semplice questione morale a una più intricata analisi politica e legale. Il femminismo, nel suo complesso, è un grande ombrello di movimenti, teorie, prospettive e ideologie. A prescindere dalle posizioni personali e morali della teoria femminista sul lavoro sessuale, le lavoratrici del sesso e i loro alleati concordano unanimemente sul fatto che il femminismo è la base necessaria per sostenere le campagne per la tutela sul posto di lavoro. Il lavoro sessuale è diverso da molte altre forme di occupazione, ma è un lavoro vero e proprio: implica sia lavoro fisico che emotivo e dovrebbe essere concettualizzato in questo modo. Creare una solidarietà lavorativa è difficile in un campo di lavoro così diverso, tuttavia l'organizzazione di base delle donne impegnate e non impegnate nel lavoro sessuale dimostra che il lavoro sessuale è intrinsecamente essenziale per il discorso femminista.
Le donne criminalizzate per questo subiscono al contempo discriminazioni individuali e sociali, affrontano molestie, persecuzioni, detenzioni e la rimozione dei loro diritti. Devono affrontare l'invisibilità, la mancanza di rappresentanza e di risorse: tutti aspetti che vanno contro le basi stesse del femminismo (Berg, 2014). Secondo questa prospettiva, il femminismo dovrebbe sostenere gli sforzi di depenalizzazione per proteggere tutte le donne (indipendentemente dal loro status sociale) dalla discriminazione e dalla persecuzione di un mondo patriarcale.
La criminalizzazione del lavoro sessuale consensuale tra adulti crea ostilità tra le lavoratrici e i lavoratori del sesso e le forze dell'ordine, lasciandole senza un mezzo per denunciare gli abusi per paura di essere arrestate. Poiché la loro professione è illegale nella maggior parte degli Stati, le lavoratrici del sesso non godono degli stessi diritti lavorativi del resto della popolazione. Sono invece costrette a lavorare in segreto, affrontando situazioni pericolose che non possono denunciare.
Senza accesso a condizioni di lavoro sicure o alla protezione della polizia, le lavoratrici del sesso sono vulnerabili. Questo crea l'ambiente perfetto per le forze dell'ordine che le prendono di mira. Negli Stati Uniti sono innumerevoli i casi di cattiva condotta della polizia nei confronti delle lavoratrici del sesso.
Sono queste circostanze a rendere il 17 dicembre così importante. Ogni anno, i sostenitori dei diritti umani si riuniscono in una potente manifestazione di solidarietà per promuovere i diritti delle lavoratrici del sesso, difendere la sicurezza delle vittime della tratta, piangere le vite di coloro che hanno perso la vita a causa della violenza e celebrare la vivacità e la diversità delle comunità di lavoratrici del sesso in tutto il mondo. Per tutto il mese di dicembre, organizzazioni di tutte le dimensioni lanciano raccolte fondi, marce, veglie e altro ancora per sostenere la salute e la sicurezza dei lavoratori del sesso, portandone le istanze alla ribalta.
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