Maria Cristina Ianiro
Quando nel 2016 Bob Dylan vinse il premio Nobel per la letteratura, Leonard Cohen dichiarò che per lui dare quel premio a Dylan fosse equiparabile a dare una medaglia al Monte Everest per essere il più alto al mondo. Al di là dell’ilarità e controversia di questa affermazione, è sicuramente innegabile quanto la musica e la poesia di Dylan abbiano influenzato, scosso e provocato generazioni di tutto il mondo.
Louis A. Renza, nel suo saggio “Absolutely Bob Dylan?” (2009) scrive che dalla critica - per esempio, Greil Marcus, Sean Wilentz e, in particolare Martin Jacobi e Eric Lott nel recente The Cambridge Companion to Bob Dylan (2009) - emerge un generale consenso sul fatto che si dovrebbe considerare il "testo" di Dylan come un deposito di vari stili all'interno di una tradizione musicale americana (anche se con rispettose manomissioni).
Se è vero che in questo deposito confluiscono vari aspetti della musica statunitense, un aspetto che oggi non si può sicuramente più trascurare nella cogenza del problema di genere è quello relativo alla misoginia e al maschilismo presente in molti dei brani più belli del cantautore. Il dubbio è lecito: come può tanta misoginia incidere sui cuori di moltissime donne che, pur non essendo talvolta d’accordo coi contenuti, non riescono a separare l’insulto di genere dal contesto meravigliosamente poetico in cui sono contenute? Se è vero, per dirlo alla McLuhan, che la forma è il contenuto, proviamo a dipanare questa complicata matassa su quello che possiamo chiamare “il caso Dylan”.
Molte artiste si sono espresse a riguardo, per capire come sopportare al meglio l’amore per il cantante e la sua poetica poco femminista. Le cantanti-compositrici Suzanne Vega e Kathryn Williams, ad esempio, ma anche la film-maker Carol Morley, per non parlare di giornaliste del calibro di Ellen Willis o Marion Meade. A parlare sono state anche molte delle donne di Dylan tra cui Suze Rotolo. La raccolta di saggi Under My Thumb: Songs That Hate Women and the Women That Love Them (2017) di Eli Davies e Rhian E. Jones raccoglie molti di questi punti di vista. Poiché la musica popolare, come molte forme d'arte, ha a lungo escluso le donne che hanno contribuito a questo genere in quanto compositrici, cantautrici o altro, i grandi venerati e intoccabili come 'Dylan, the man' e 'The Stones', sono stati sempre trattati dai critici (in gran parte maschi) come un vero e proprio canone del genere ed elevati a uno stato di eterna riverenza.
Questo riflette un forte pregiudizio di genere. Oggi potremmo facilmente smentire questa idea, elencando una dopo l'altra tutte le voci femminili di artiste che contribuiscono dignitosamente alla gloria di generi e stili, oppure come produttrici di se stesse. Eppure, questo alone machista continua a farsi strada tra le schiere della critica. Basti pensare alla forte polemica che si è scatenata in occasione dei Grammy del 2018 proprio sul tema dell'invisibilità delle voci femminili e del loro riconoscimento, con annesse forti dichiarazioni da parte del padrone di casa (Portnow) a cui hanno fatto scherno il pubblico e molte artiste presenti (e non) alla cerimonia di premiazione, a colpi di tweet con l'hashtag #GrammySoMale.
Oggi, la maggior parte delle fan di Bob Dylan tra i venti e i trent'anni scopre che i loro primi gusti erano in gran parte formati dalla musica degli uomini. Molto del fandom attuale di figure iconiche del panorama musicale a voce maschile, infatti, possono riflettere con più strumenti su come molti anni fa queste icone fossero più accessibili di altre (magari più femminili) proprio perché celebrate come icone a discapito di altre voci e personalità femminili parimenti meritevoli dello stesso trattamento. Per qualcuna scatta un meccanismo di nuova riflessione, per altre giungere a patti con i contenuti è più difficile, per altre ancora può innescarsi il rifiuto del canone. Ma c'è qualcosa, e la maggior parte di noi lo ammetterà - scrive Davies-, in quei preferiti iniziali che non ci si riesce a scrollarsi di dosso. E proprio parlando di Dylan, analizzando Like a Rolling Stone (1965), Jones scrive:
“Songs like this remind us why we need to change the world, and why the ways in which we try to change it need adjustment too” (Jones, 2017:344)
Bob Dylan, al secolo Robert Zimmerman, nacque il 24 maggio 1941 a Duluth, Minnesota. Crebbe a Hibbing dove da adolescente suonò in varie band. Con il tempo il suo interesse per la musica aumentò, soprattutto si sviluppò la sua passione per la musica folk e blues americana. Uno dei suoi idoli era il famosissimo cantante folk Woody Guthrie. Fu anche influenzato dai primi autori della Beat Generation, così come dai poeti modernisti.
Dylan si trasferì a New York City nel 1961 e iniziò a esibirsi nei club e nei caffè del Greenwich Village dove incontrò il produttore discografico John Hammond, con il quale firmò un contratto per il suo album di debutto, Bob Dylan (1962). Negli anni seguenti, ha registrato una serie di album che hanno avuto un enorme impatto sulla musica popolare: Bringing It All Back Home e Highway 61 Revisited nel 1965, Blonde On Blonde nel 1966 e Blood On The Tracks nel 1975. La sua produzione è continuata nei decenni successivi, sfociando in capolavori e cambiando tante volte pelle, proprio come un serpente, con album come Oh Mercy (1989), Time Out of Mind (1997) e Modern Times (2006).
I tour di Dylan nel 1965 e nel 1966 attirarono molta attenzione. Per un periodo, infatti, è stato anche accompagnato dal regista D. A. Pennebaker, il quale ha documentato la vita sul palcoscenico in quello che sarebbe diventato il film Don’t Look Back (1967). Dylan ha registrato un gran numero di album che ruotano attorno ad argomenti come le condizioni sociali dell'uomo, la religione, la politica e l'amore. I testi sono stati continuamente pubblicati in nuove edizioni a partire dal 1973, con il titolo WritingsandDrawings, successivamente modificato in Lyrics. Come artista, è straordinariamente versatile: è stato attivo come pittore, attore e sceneggiatore.
Oltre alla sua vasta produzione di album, Dylan ha pubblicato lavori sperimentali come la raccolta di poesie in prosa Tarantula (1971). Ha scritto un'autobiografia, Chronicles (2004), che descrive i ricordi dei suoi primi anni a New York e che offre scorci della sua vita al centro della cultura popolare. Dalla fine degli anni '80, Bob Dylan è stato costantemente in tour, suonando oltre 3000 concerti negli ultimi venti anni. Dylan ha così assunto lo status di icona: la sua influenza sulla cultura contemporanea è profonda ed è oggetto di un flusso costante di analisi letterarie e musicali.
In un articolo per indipedent.ie Tom Kavanagh scrive che, così come il presidente John F. Kennedy prima di lui, Bob Dylan è stato talvolta accusato, non sempre ingiustamente, di avere un problema con la figura femminile, sebbene uno dei suoi problemi sia stato sicuramente l’eccessiva attenzione rivolta alle sue relazioni da parte dei media.
Nel 1967, Ellen Willis scrisse sulla rivista The New Yorker che il punto di vista di Dylan sulle donne - ricavato dall'ascolto della loro rappresentazione nella sua musica - era che fossero donne-bambine, stronze, inaffidabili, a volte vulnerabili, di solito un passo avanti, o dee come Johanna e la signora delle pianure dagli occhi tristi, dalla bocca di mercurio e dalla carne di seta, o delle vere e proprie Beatrici del pop che diffondono immagini non solo luminose ma caleidoscopiche.
Sulla stessa scia, nel 1971, Marion Meade sul New York Times scrisse:
“Non esiste un catalogo di insulti sessisti più completo di Just Like a Woman di Dylan, in cui definisce i tratti naturali della donna come avidità, ipocrisia, piagnistei e isteria”.
Eppure, non tutte le critiche femminili sono dello stesso avviso quando si approcciano alla produzione di Bob Dylan. La femminista americana Camille Paglia crede, infatti, che gli 11 minuti di Desolation Row di Dylan da Highway 61 Revisited del 1965 siano la poesia più importante in lingua inglese scritta dai tempi di Howl di Allen Ginsberg.
A rafforzare questa ambivalenza nell’approccio alla produzione musicale di Dylan contribuisce anche il fatto che moltissime artiste hanno interpretato alcune sue canzoni nel corso degli anni: da Patti Smith con A Hard Rain's A-Gonna Fall, PJ Harvey con Highway 61 Revisited a Emmylou Harris con Every Grain of Sand; Nina Simone con The Ballad Of Hollis Brown; Adele con Make You Feel My Love; Tracy Chapman con The Times They Are A Changin'; Nico con I'll Keep it with Mine e Chrissie Hynde con I Shall Be Released.
Quando Dylan ha ricevuto il Premio Nobel per la letteratura nel 2016, Suzanne Vega ha detto a The Guardian che sua madre ha sempre pensato che Dylan fosse un po' misogino, ma che lei non ha mai visto questo aspetto nelle sue canzoni, anzi lei vede, all’interno degli album del menestrello del rock un'intera gamma di personaggi femminili, delle dee, regine e donne venerate, ma poi anche donne usate, maltrattate:
“Dylan was a big influence for me. He opened up this incredible, imaginary world. I was 9 or 10 when I first heard Mr. Tambourine Man and I had a vision of him dancing “beneath a diamond sky with one hand waving free”. It sounded so beautiful, so free. I thought that’s a world I want to be in.” (Vega, 2016)
Nella stessa occasione si è espressa anche la pittrice Elizabeth Peyton. Per lei, al contrario di Vega, non è stato così facile apprezzare la sua musica. Un po’ come fumare, all'inizio non ha avuto un sapore così eccezionale, dice. Poi durante un periodo difficile ha improvvisamente cambiato approccio verso la sua musica e le canzoni di Dylan l’hanno davvero aiutata. Parafrasando Todd Haynes, Bob Dylan è lì quando si ha bisogno di lui. Per Peyton, la sua riscoperta di Dylan è stata fortissima: la sua integrità come artista è molto stimolante. Lei infatti dichiara di ammirare chiunque cerchi di fare arte direttamente su una situazione di attualità, per trasformarla in qualcosa di poetico.
La diciassettenne Suze Rotolo si innamorò del ventunenne Bob Dylan nel 1961. Furono fotografati insieme per la copertina del suo album Freewheelin' nel febbraio 1963, in una strada innevata vicino al loro appartamento all'ultimo piano di 161 West Fourth Street. Rotolo proveniva da una famiglia comunista di New York e, parlando con lo scrittore David Hajdu per il suo libro Positively 4th Street (2001), ha dichiarato che molto di quello che ha dato a Bob Dylan è stato insegnargli a guardare come viveva l'altra metà, insegnargli le “cose di sinistra che non sapeva”:
"He knew about Woody [Guthrie] and Pete Seeger, but I was working for CORE [Congress of Racial Equality] and went on youth marches for civil rights, and all that was new to him." (Hajdu, 2001:108)
Se quello che Rotolo ha dichiarato è vero, è innegabile pensare che senza la presenza femminile Dylan non avrebbe scritto, fatto, cantato molti dei pezzi che lo contraddistinguono. Senza mettere in dubbio le affermazioni di Rotolo, è innegabile che probabilmente Dylan non avrebbe potuto scrivere di questo e di quello.
Il punto centrale è che, tornando a Don’t Look Back (1967), il regista D. A. Pennebaker ci propone forse la più grande visione per comprendere una personalità complessa, totalmente poetica e (in quanto tale) totalmente anarchica, come quella di Robert Zimmerman.
Non c’è dubbio che il poeta sia un vate e in quanto tale ha il dono/dovere di essere sempre distante e di non accalorarsi mai per le singole questioni umane. È forte quello che si sta affermando, ma vale per tutti i grandi poeti e per tutti i grandi artisti che hanno di fronte a loro il compito/condanna di trascendere l’umano e ogni questione che esiste sotto il celeberrimo wittgensteiniano tetto del linguaggio. Quando ci troviamo di fronte a questi giganti, siamo in presenza di personalità che attraversano, raccontano, cantano e vivono pezzi, brandelli della nostra condizione umana cercando di innalzarli a questioni primarie senza mai farle diventare una loro bandiera.
Questo è tipico dei poeti, mal digerito dagli intellettuali engagés i quali vorrebbero che un talento come quello di Dylan fosse sempre al servizio di questo o quell’altro pensiero. Si sa bene che ciò non è possibile, perché come sostiene il grande Spinoza: “una teoria della pioggia non ha bisogno di essere bagnata per essere vera”.
Quanto a misoginia, dunque, Bob Dylan può veramente essere giudicato da un tribunale del femminismo o del socialismo o di qualunque altra opinione e battaglia politica in corso nel mondo civile? L’umile risposta che ci si sente di dare è no. Il tamburino scandisce il tempo che passa e scorre attraverso le umane grazie e disgrazie senza parteggiare mai intimamente per nessuno. Il tamburino è un cantastorie e applica quella che i grandi fenomenologi chiamano epoché: sospensione del giudizio. Se la poesia non è capace di fare questo, non è poesia, è scrittura militante, è giornalismo di impegno, è letteratura prezzolata, ma un sommo, di nuovo un vate, non può in alcun modo accalorarsi sulla questione umana perché, rispetto all’ingiustizia, citando Gaber: “la distanza è l’unica vendetta, è l’unico perdono”.
Non c'è dubbio che siano vere tutte le discrepanze, evidenti e nascoste, nel ginepraio/caos che è il mondo degli ‘-ismi’. Nello specifico, il rapporto Bob Dylan-femminismo ne può essere un esempio. Non è possibile concludere se non accogliendo queste discrepanze come un dato di fatto che vale nella misura in cui concerne la vita dei poeti puri, che ci piace pensare simili alle figure degli sciamani antichi.
In questo specifico caso è necessario lasciarsi a un finale aperto, perché è bello pensare che figure come quella di Dylan siano la congerie di una lunghissima e antichissima scia di viaggiatori del tempo e dello spazio, in una visione del verso che non può, suo malgrado, partecipare attivamente a ogni singola battaglia ideologica.
Pur nella singola sacrosanta giustezza, delle singole battaglie ideologiche che noi tutti combattiamo per migliorare la nostra vita, non possiamo chiedere al poeta se non di cantarne una sostanziale gloria, lasciarla lì per noi e andare via.
Quello che però possiamo chiedere a noi stessi è di leggere, partecipare e combattere per tutte le ingiustizie, che tali sono e tali restano. Possiamo altresì chiedere, tuttavia, di farlo senza essere accecati dal piccolo orizzonte che come esseri umani ci appartiene e ci limita.
Questo orizzonte ci illumina e talvolta ci guida da visioni più alte, che non sempre condividono e compartecipano (per noi sbagliando) dell’umano ma hanno la capacità di, citando Pasolini, “poggiare un raggio di luce sulla polvere”, e permetterci di vederla, e di dissolverla nel nulla.
In estrema conclusione, femminismo e misoginia sono problemi reali e importanti ma quando un poeta accusato di misoginia ci canta Shelter from the Storm, ci dice che il compito di ogni anima è quello di accogliere e proteggere tutto, anche ciò che è distante e diverso da lei.
Coonet, Samantha. “Only One Woman Won a Major Grammy Award. The Internet Is Sounding Off With #GrammysSoMale.” (2018), Time.com (data di ultima consultazione 28/08/2021)
Dettmar, Kevin JH, ed. The Cambridge Companion to Bob Dylan. Cambridge University Press, 2009.
Dylan, Bob. Chronicles. Feltrinelli Editore, 2005.
Dylan, Bob. Tarantula, Znak 742 (2017): 90-93.
Hajdu, David. Positively 4th street. Sonatine, 2018.
Jones, Rhian, Eli Davies, and Tamar Shlaim. Under My Thumb: Songs That Hate Women and the Women Who Love Them. Watkins Media Limited, 2017.
Kavanagh, Tom., "Byron reborn - Bob Dylan's relationships, yes it's complicated…”, (2020), Independent.ie (data di ultima consultazione 28/08/2021)
Meade, Marion. “Music MW,Ilta”, (1971), NewYorkTimes.com (data di ultima consultazione 28/08/2021)
Paglia, Camilla. “Camille Paglia's history of music: The politics and poetry of Bob Dylan, Marvin Gaye and hip-hop”, (2016), Salon.com (data di ultima consultazione 28/08/2021)
Renza, Louis A. "Absolutely Bob Dylan?." (2009): 118-134.
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Foto 1 da ansa.it (Ultima consultazione 28/08/2021)
Foto 2 da dzcdn.net (Ultima consultazione 28/08/2021)
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