Perdita e dolore nel Climate Fiction

Maria Cristina Ianiro

Eraclito diceva che nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo. Tutto ineluttabilmente cambia e l'idea stessa del divenire è connaturata a quella dell'essere. 

Il cambiamento non può essere evitato e anche la fisica lo dimostra, con il postulato fondamentale di Lavoisier, per cui nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Come mai allora, se effettivamente niente può essere distrutto, esiste anche l’idea di perdita

Tutto continua a esistere e, da un punto di vista strettamente biologico, nulla rinasce e nulla si perde. Tuttavia, è innegabile che ogni essere umano avverta un senso di perdita nella propria vita. Ad esempio, Eleanor Morgan, in un articolo per The Guardian, ha riportato che, secondo alcuni studi, ogni giorno, milioni di persone chiedono a Google come rapportarsi al dolore e al senso di perdita. A quale "perdita" si fa riferimento? È qualcosa di collegato al mondo della materia o che solo gli umani, in quanto esseri razionali e pensanti, possono sentire?

Nel climate fiction, ad esempio, il cambiamento climatico porta con sé una perdita, prima tra tutte quella di un ecosistema solido su cui basare l'esistenza stessa delle specie viventi del pianeta. Dallo scioglimento dei ghiacciai, alla minaccia per la sopravvivenza di molte specie animali prive ormai dei loro habitat ideali, passando poi per il graduale aumento del livello delle acque pronte a sommergere porzioni di terra e città (anche ben note) in tutto il mondo.

Il Climate Fiction ispeziona proprio questa perdita, ricercando le origini dell'evoluzione del cambiamento che ha interessato il nostro ecosistema e il nostro pianeta e i rimedi da mettere in campo. In inglese, la parola "Loss" deriva dall’inglese antico "los" che letteralmente significa "rovina, distruzione", sfumature del termine "perdita" sicuramente più pertinenti, se consideriamo i temi e le narrazioni messe in campo nel genere del Cli-Fi. 

 

“And now we enter a new terrain, a terrain where children will be born who’ve never heard of many of the creatures, great and small, with whom we’ve always shared the world. To whom these animals will be fantastic figures, ghosts of a faded past. The dinosaurs who once lived by our sides. As we erase these other forms of life, we erase not only their future, and foreclose many of the possibilities of our own, but our history. An unquantifiable dimension of our own being.” (Millet, 2016).


Questo è ciò che Lydia Millet afferma nel suo saggio Good Grief, Style and Story in the age of extinction (2016). Il fatto che nella nostra società non si stia facendo abbastanza per fermare il cambiamento climatico, per l'autrice, significa continuare a perdere gradualmente porzioni intere del nostro ecosistema mondiale. Indubbiamente, la materia, in senso chimico e fisico, non sta scomparendo, ma si sta trasformando in qualcos'altro. E se da una parte la materia è in trasformazione, è innegabile la perdita per l'uomo dei suoi spazi vitali.

Lo scorso maggio, il Breakthrough national centre for climate restoration (Bnccr) ha pubblicato un report in cui si spiega che nel 2100 ci sarà un aumento della temperatura terrestre di circa 5 gradi. Nel report viene presentato un prospetto del cambiamento che interessa il pianeta e il destino delle specie viventi fino al 2050:

 

“By 2050, there is broad scientific acceptance that system tipping-points for the West Antarctic Ice Sheet and a sea-ice-free Arctic summer were passed well before 1.5°C of warming, for the Greenland Ice Sheet well before 2°C, and for widespread permafrost loss and large-scale Amazon drought and dieback by 2.5°C.”(Sprat, Dunlop, 2019: 8)

 

Il resoconto continua, evidenziando come la portata di questi cambiamenti sarà causa del collasso di interi ecosistemi e della diminuzione dell'acqua potabile, innescando a sua volta un grave danno sull'agricoltura e sull'esistenza stessa della popolazione mondiale. Il senso di empatia potrebbe permetterci di entrare in connessione con i bisogni dell'altro e con quelli del nostro pianeta, ma:  

 

“we’re a species that loves individuals best. We’re wired and trained less to love the abstract and the categorical — another species, say — than the personal.” (Millet, 2016).

 

L'egotismo è profondamente radicato in tutti noi. Tuttavia, quando si verifica una perdita, proviamo dolore. L'autrice prosegue, infatti, evocando immagini che dovrebbero smuovere il lettore: quando la spiaggia in cui abbiamo trascorso la maggior parte delle estati della nostra infanzia sembra diversa, proviamo dolore; quando le montagne che eravamo soliti vedere coperte di neve non sono più bianche, proviamo dolore. Il dolore arriva ogni volta che riconosciamo il fatto che non saremo più in grado di vedere e riconoscerci in qualcosa. 

Nella maggior parte dei casi, il dolore segue la perdita come step successivo, intendendo per perdita non una sensazione legata alla scomparsa di qualcosa di strettamente materiale, ma ciò che ci colpisce come esseri umani e innesca in ognuno sentimenti reali e profondi. Sebbene potremmo evitarlo, trovando una soluzione al cambiamento, in realtà gli esempi concreti di un provvedimento serio sono ancora pochi. È qui che entra in gioco il Cli-Fi, che cerca di coinvolgere attivamente il pubblico nel fargli prendere una posizione, stimolando un approccio empatico:

 

“We need stories that are read, and watched, and listened to. We need stories that reproduce themselves, that go viral. We need the collective.” (Millet, 2016).

 

Il potere della letteratura, con la presentazione di scenari utopici e distopici, pronostici e studi, è immenso. Questo perché è possibile provare ancora dolore attraverso le storie e il potenziale dell'immedesimazione che queste innescano nel lettore. È proprio quel dolore fittizio che potrebbe spingere all’azione, prima che utopie, distopie e pronostici si tramutino in dura realtà.

Diversi Climate Novels sono ambientati in un futuro distopico in cui il mondo che conosciamo non esiste più, portando un esempio concreto del senso di perdita e del dolore che ne segue.

 

“Why, of all the rubbings curling on all the refrigerators, all the etchings in all the message kiosks in all the desert repositories of this nation, do none say, we’re sorry?” 

(Watkins, 2015: 224)


Prima o poi, giungerà il momento in cui ci si porrà questa domanda, tratta da Gold Fame Citrus (2015), di Claire Vaye Watkins, un libro in cui la California non è più la terra dei sogni, non è la destinazione finale come lo era The Grapes of Wrath (1939) di Steinbeck, ma è un luogo da cui la gente ha bisogno di fuggire perché non c'è più acqua. La Watkins è in grado di rappresentare una realtà che non sembra affatto inverosimile, ma che piuttosto funge da monito all'uomo: nella lotta contro la natura è  lui a soccombere.

 

“Jack London and Ernest Hemingway, confidence swaggering into the storm: Man against Nature. Of all the possible conflicts, that was the one that was hopeless. Even a slim education had taught her this much: Man loses.”

(Kingsolver, 2012: 244-45)

 

Questo è un passaggio di Flight Behaviour (2012) di Barbara Kingsolver. Dellarobia Turnbow è la protagonista di questa storia ed è consapevole di come, nello scontro tra uomo e natura, a vincere è sempre quest'ultima. Se da una parte la Terra sta perdendo gradualmente parte del suo ecosistema, cedendo il passo a desolazione e distruzione degli equilibri naturali, dall'altra parte sarà proprio l'umanità a perdere il suo posto sul pianeta, in modo irreversibile.

Il Cli-Fi ci aiuta ad aprire gli occhi su questo presente per mezzo di narrazioni distopiche.

 

“You who have come here from some distant world, to this dry lakeshore and this cairn, and to this cylinder of brass, in which on the last day of all our recorded days I place our final words: Pray for us, who once, too, thought we could fly.”

(Atwood, 25/09/09)

 

A dirlo è Margaret Atwood, che ci fa viaggiare nel tempo, ci mostra quanto abbiamo bisogno di sperare che le cose cambino evitando il più possibile di esperire il senso di perdita. Certo: il cambiamento è inevitabile, ma la perdita può assolutamente essere prevista ed evitata. Oltre che essere speranzosi verso un cambiamento, attuarlo potrebbe essere il primo passo per prevenirla. D’altronde, come diceva la famosa scrittrice americana Frances Moore Lappe


“Hope is not for wimps; it’s for the strong-hearted who can recognise how bad things are and yet not be deterred, not be paralyzed.” (Moore Lappe, 2003:260)

 

Bibliografia e Sitografia

Atwood Margaret, theguardian.com (Ultima data di consultazione 28/08/21)

Dunlop, Ian, and David Spratt. "Existential climate-related security risk: A scenario approach." Breakthrough National Centre for Climate Restoration, Melbourne. pdf, local pdf (2019).

Kingsolver Barbara, Flight Behaviour, Harper Collins, New York, 2012

Lappe Frances Moore, Studs Terkel (cured by), Hope Dies Last: Keeping the Faith In Troubled Times, New Press, New York, 2003 

Millet Lydia, lensmagazine.org (Ultima data di consultazione 28/08/21)

Bnccr, wixstatic.com (Ultima data di  consultazione 28/08/21)

Morgan Eleanor, theguardian.com (Ultima data di consultazione 28/08/21)

Online Etymology Dictionary. etymonline.com (Ultima data di consultazione 28/08/21)

Watkins Claire Vaye, Gold Fame Citrus, Riverhead Books, New York, 2015

 

Foto 1 da guernicamag.com (Ultima data di consultazione 28/08/21)

Foto 2 da lithub.com (Ultima data di  consultazione 28/08/21)

Foto 3 da writerunboxed.com (Ultima data di consultazione 28/08/21) 

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