Monticone et al., Un approccio di archeologia museale al ri-studio del sito neolitico di Chiomonte-La Maddalena (Piemonte, Italia). Revisione ed aggiornamento dei dati dal 1988 al 2023.

A museal and archaeological approach to restudy the Neolithic alpine site of Chiomonte-La Maddalena (Piedmont, Italy). Review and integration of data: 1988 to 2023.

Alessia Monticone (a,b), Elisa Panero (b), Cynthianne Spiteri (a), Beatrice Demarchi (a)

a. Università degli Studi di Torino, Dipartimento Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi, Via Accademia Albertina 13, 10123, Torino, Italia.
alessia.monticone@unito.it, beatrice.demarchi@unito.it

b. Ministero della Cultura, Musei Reali di Torino, Piazzetta Reale 1, 10124, Torino elisa.panero@cultura.gov.it

Key words: Neolithic, Chiomonte-La Maddalena, Biomolecular archaeology

Premessa

Nel 2019 una convenzione di ricerca tra i Musei Reali (MRT) ed il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi (DBIOS) dell’Università di Torino ha creato l’occasione per una campagna di ‘scavo museale’ tra i materiali in deposito, dei quali alcuni rappresentano attestazioni neolitiche di occupazione degli ambienti montani. Oggetto della convenzione è l'applicazione dei metodi dell’archeologia biomolecolare su resti organici museali nell’ottica di “smobilitare” conoscenze che possono essersi sedimentate lungo l’arco di creazione delle collezioni e che oggi possono essere ridiscusse ed implementate da informazioni derivanti da metodi sviluppati e consolidati nell’arco dell’ultimo decennio sia per l’interpretazione del dato, sia per la conservazione (Boivin e Crowther 2021; Peters et al. 2022). Non solo, il museo e le collezioni biologiche costituiscono in sé un tipo di archivio specifico che, per esempio, rende possibile ragionare su alcuni tipi di risorse animali ed il rapporto tra comunità umane ed ambiente su scala locale e profondamente diacronica (Hofreiter, Collins, and Stewart 2012; Branch et al. 2005; Zeder 2012). Si è quindi proceduto ad un vaglio preliminare degli oltre 1.416 record di registrazione dei depositi MRT che riguardano materiale organico (dato desunto dall’incrocio delle tabelle di consegna dei reperti dalle Soprintendenze ai Musei Reali nel 2016 e dai successivi riscontri fatti). Data la vastità di patrimonio coinvolto, con l’avvio del progetto di dottorato di chi scrive, dal 2020 si sono selezionati alcuni casi studio
rappresentativi delle diverse scale dell’esperienza umana, seguendo una traccia consolidata nella archeologia ambientale di stampo anglosassone
(Branch et al. 2005).

Il caso di Chiomonte-La Maddalena

Uno dei casi selezionati, nell’ottica di un aggiornamento nei metodi di indagine, è stato quello di Chiomonte-La Maddalena, le cui circa 150 cassette di materiale da scavo sono conservate nei depositi dei Musei Reali. Questi materiali furono divisi, tra la fine degli anni ‘90 e gli anni 2000, in due lotti principali: uno studiato e pubblicato (Bertone e Fozzati 2002), che poi ha costituito materia di ulteriori ricerche sino ad anni più recenti (Padovan 2016; Restano, Ferrero, and Padovan 2018; Giustetto et al. 2020) ed uno di materiali considerati ‘non diagnostici’, pertanto lasciati in disparte.
Il dibattito su quali e quante archeologie siano possibili nella stessa occasione è vivace dagli anni in cui il sito di Chiomonte-La Maddalena venne scavato ed iniziato a studiare. Una effettiva integrazione di scienze naturali e scienze umanistiche fu chiara sin dall’impianto della prima quadricola di scavo (Bertone 1988) ed era altrettanto esplicita una forte propensione ad una lettura processuale dell’evento archeologico, tale da fornire la chiave per una più ampia riflessione sulle dinamiche di popolamento dell’arco alpino occidentale (Fozzati et al. 1984; Bertone et al. 1986; Bertone e Fozzati 1998; Bertone e Fozzati 2002). Ora, l’evoluzione dell’approccio teorico archeologico, sia per quanto riguarda il rapporto uomo-ambiente, sia uomo-faune e le specie domesticate in ambiente montano (i.e.Zeder 2012, 2015; Boivin et al. 2016; Carrer 2016), sia una forte spinta verso una integrazione di metodologie, possibile grazie alle scienze archeologiche, e nello specifico di questo studio l’archeologia biomolecolare e la paleoproteomica (Pollard e Bray 2007; Brown e Brown 2013; Torrence, Martinón-Torres, e Rehren 2015; Pilaar Birch e Szpak 2022; Demarchi 2023), stabilisce stimolanti presupposti per rimettere mano ai materiali. L’intenzione della campagna di ri-studio che in questa sede presentiamo, è perciò di provare, quanto più possibile, a ricostruire la posizione originaria dei reperti al momento del loro scavo; affiancare allo ‘scavo in deposito’ una ricerca negli archivi pubblici e privati che possano aver conservato della documentazione (appunti, relazioni, lettere, negativi fotografici, etc.) per chiarire determinati aspetti e riuscire, selezionando materiali archeologici precedentemente scartati, a recuperare dei capisaldi per valutare la dimensione diacronica dell’occupazione.

Storia degli scavi a Chiomonte

Nel 1984 ai competenti uffici della Soprintendenza venne comunicata la presenza di alcuni materiali ‘preistorici’ in località La Maddalena di Chiomonte in occasione di prospezioni antecedenti alla realizzazione di un troncone dell’Autostrada Torino-Bardonecchia. Tali segnalazioni riguardavano il versante che dalla frazione Ramat scendeva verso il bacino del torrente Clarea ed una area visibilmente interessata da eventi franosi ripetuti nel corso del tempo. Dopo le verifiche preliminari, lo scavo vero e proprio si chiuse di gran lena nel 1987. Con l’incalzare dei lavori autostradali, tre diverse società si trovarono a condividere il lavoro e si dovette provvedere a concertare e coordinare i lavori sotto un'unica direzione scientifica in carico a Luigi Fozzati, con Aureliano Bertone e Francesco Fedele a dirigere tecnicamente due differenti parti di cantiere, consistenti in ripari sotto roccia configurati in una sorta di villaggio, ed in un’area sepolcrale (Bertone 1988; Fedele 1988; Bertone e Fozzati 2002).
La documentazione di scavo venne consegnata, ma durante i 36 anni intercorsi, una parte è andata perduta, mentre altri documenti risultano di difficile esegesi. Si è però mantenuta leggibile, nel lotto scartato come non diagnostico, l’associazione tra materiali (insacchettati separatamente in base alla classe di appartenenza, i.e ceramica, faune, campioni di terra), quadricola di scavo (con indicazione cartesiana x in lettere e y in numeri) e tagli, ovvero le unità di profondità non stratigrafiche (di circa 15 cm di potenza) che vennero adottate per ovviare alla, a tratti insuperabile, difficoltà di individuare precisamente le US. Questo “stato di conservazione” della documentazione permette quindi oggi di applicare nuove analisi e rileggere i dati di scavo sotto una nuova luce.

La convenzione DBIOS-MRT Bones ed il progetto APICI (Prodotti fermentati nelle Alpi PIemontesi tra Cambiamento Climatico e Innovazione)

Sulla base di tali premesse, il progetto in corso tra MRT e DBIOS, laboratorio di AcrchaeOBiomics, ha già portato avanti una intensa campagna di ricognizione dei depositi museali ed avviato una iniziativa finanziata dalla Fondazione CRT dal titolo APICI che ha permesso la ricomposizione di un quadro unitario relativo ai lotti di materiale provenienti da Chiomonte (tutte le frazioni del Comune e tutti i numeri di ingresso in deposito, anche successivi al 1987, anno di chiusura dello scavo). La ricerca si è poi concentrata, più che sul canonico vaglio tipologico dei materiali, come detto per la maggior parte non diagnostici, sull'analisi dell'apparato documentario relativo. Ad esempio è stato possibile attraverso i cartellini originali, il recupero delle indicazioni topografiche di scavo (i.e. il numero di quadrato) e di quelle para-stratigrafiche (il numero di taglio) che hanno lasciato intravedere la possibilità di ricucire la relazione tra materiali e ulteriore documentazione d’archivio. Al momento sono state individuate almeno tre quadricole dalle quali sono stati estratti materiali ceramici e faunistici associati, relativi a tre diverse profondità di taglio di cui una ‘superiore’, una ‘al tetto del deposito chasseano’ ed una ‘inferiore’. Tale disposizione relativa, permetterebbe oggi di ragionare sulla possibilità di ridatare tramite radiocarbonio alcune delle faune, essendo possibile valutare le percentuali isotopiche del radiocarbonio presenti nel collagene, la proteina che meglio persiste nei reperti osteologici (Buckley e Wadsworth 2014).
Oltre a considerare l’ancoraggio di questi tagli a nuove datazioni assolute, stiamo, per questo gruppo di reperti, procedendo con le analisi di Zooarcheology by Mass Spectrometry (ZooMS) (Buckley et al. 2009; Collins et al. 2010; Buckley 2018) con il duplice intento di asseverare lo stato di conservazione del collagene per ciascun campione osseo (rilavato, siglato, pesato e catalogato) in modo da guidare la strategia di datazione, e per assegnare ad un taxon anche i frammenti non diagnostici. L’intenzione è di verificare se emerga qualche specie non precedentemente identificata oppure se possa variare lo spettro faunistico complessivo Un ulteriore metodo di archeologia biomolecolare che intendiamo utilizzare in questo approccio di ri-scavo museale, è la Organic Residue Analyses (ORA) (Craig, Saul, e Spiteri 2020; Chasan et al. 2022) su frammenti ceramici, selezionati come sopra descritto, in modo da valutare se sia possibile proporre una associazione tra contenuti e contenitori su base molecolare. Se le analisi ZooMS al momento sono a buon punto, la parte di ORA prenderà presto avvio.
Con tale impianto metodologico, aspiriamo a fornire rinnovati spunti di riflessione su un sito alpino di nord-ovest che sinora ha rappresentato il più eclatante caso delle Alpi Cozie di
colonizzazione e frequentazione stabile di area montana e di valico, ma che ha ancora molto da offrire per quanto riguarda la storia e l’organizzazione della vita quotidiana di questa significativa comunità umana.

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