Conversi et al., The site of Albareto cà Nova

Fig. 1 Cà Nova e Monte Chiaro – Posizionamento dei rinvenimenti (stella: scavo 2017; quadrato: ricognizione Ghiretti).

Roberta Conversi, Maria Bernabò Brea, Silvio Fioravanti, Elisabetta Castiglioni, Alessandra Giumla  Mair, Roberto Maggi, Sergio Martini, Roberta Pini, Cristiano Putzolu, Gianluca Raineri, Ivano  Rellini, Margherita Roncaglio, Mauro Rottoli, Dario Varrone.  

Il sito di Albareto, frequentato dall’età del Bronzo e ripetutamente fino all’età moderna, è stato  indagato nel 2017, durante i lavori di realizzazione del metanodotto Pontremoli-Cortemaggiore  eseguiti da SNAM - Rete Gas SpA, a seguito del procedimento di verifica preventiva dell’interesse  archeologico da parte dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Parma e  Piacenza.  

Lo si propone alla discussione del UAW quale significativo caso di studio per la sua posizione  nell’alto Appennino parmense, in vicinanza di vie di percorrenza, di risorse idriche e minerali  (steatite), ed inoltre per l’eccezionale rinvenimento di una laminetta in oro. L’interesse del sito e la  disponibilità della committenza hanno consentito di mettere insieme un gruppo di studio  interdisciplinare e di affrontare approfondimenti non sempre possibili in uno scavo di archeologia  preventiva. Lo studio, di cui si presenta in questa sede una breve anticipazione, è in corso di  pubblicazione nella collana Origines dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria.  

L’area di Cà Nova è posta su un pianoro nei pressi dell’imponente emergenza rocciosa di Monte  Chiaro, nell’alta valle del fiume Taro, a pochi km dal crinale, a ca. 700 m sul livello del mare; da  essa erano noti pochi frammenti ceramici genericamente ascrivibili all’età del Bronzo (Ghiretti  2000). La culminazione rocciosa, oggi totalmente erosa, assicura una amplissima visibilità sulla  valle, ed è ubicata a poche ore di cammino da alcuni dei passi principali verso le valli del Magra e  del Vara (Passo del Borgallo, Passo dei Due Santi, Passo di Cento Croci). 

 

Fig. 2 pianoro di Cà Nova, strutture e masso ofiolitico con solchi asimmetrici.

Tra i pianori di versante che contornano il roccione, Cà Nova è l’unico in cui, grazie  all’attraversamento del metanodotto, si sono individuate le tracce di ripetute occupazioni, che  sembrano essere state attratte dall’emergenza della falda acquifera superficiale, che in alcuni  periodi e in corrispondenza della morfologia depressa del substrato ha creato un’area umida.  

Questo è particolarmente vero nel momento della prima frequentazione del sito che, pur in  assenza di manufatti, è documentata da una data radiometrica riferibile al Bronzo antico (3472± 29 BP1) e da abbondanti carboni riconducibili ad un incendio diffuso, forse legato a disboscamento  attuato in funzione di attività pastorali.  

In seguito una serie di colluvi, connessi anche al disboscamento citato, hanno in parte interrato il  piccolo bacino, creando le condizioni per un’occupazione più stabile nel corso del Bronzo medio.  Tale fase è documentata da strutture produttive e probabilmente anche insediative, benché  conservate in modo frammentario. Tra esse si leggono buche di palo, lembi di focolari o piani di  terra combusta, canaletti di drenaggio e parte di una possibile struttura abitativa interrata.

 

Fig. 3 frammenti ceramici.

La relativa durata del sito è attestata dal riutilizzo di alcune strutture (un impianto produttivo con  uso del fuoco all’interno di un precedente canale di drenaggio) e dalla abbondanza e tipologia dei  materiali ceramici, che appaiono inquadrabili tra la fase centrale e l’inizio di quella inoltrata del  Bronzo medio, come confermato dalla data radiometrica 3284±28 BP2. L’analisi delle forme e delle  decorazioni ceramiche consente l’inquadramento nella facies occidentale dell’età del Bronzo  (BINO), fasi di Viverone e di Alba-Scamozzina, senza significative influenze terramaricole. 

Rilevante appare la presenza di manufatti di steatite, alcuni dei quali finiti, ma in prevalenza resti  di officina (blocchetti grezzi, scarti di produzione e semilavorati, tra cui fusaiole ed elementi  decorativi), che confermano la connotazione del sito in senso produttivo, a cui forse vanno riferiti  anche due massi ofiolitici venuti in luce ai margini dell’area di scavo, che recano su una faccia  sottili e asimmetrici solchi di cui è incerta l’origine e la funzione, ma che appaiono incisi con  oggetti appuntiti, forse con scopo di rifinirli per sfregamento.  

Gli strati di pertinenza del Bronzo medio, fortemente antropizzati, hanno restituito anche altri  manufatti litici (frammenti di macine, macinelli e lisciatoi in arenaria), ma appaiono di particolare  interesse due inattesi elementi di pregio: una perla d’ambra (ridotta in schegge) e una laminetta  d’oro, in due frammenti accartocciati e piegati (cm 2,2 e 1,7 x 0,35).

 

 

Fig. 4: laminetta d’oro come rinvenuta in scavo e dopo la pulitura e il restauro.

Le analisi effettuate sull’oro hanno determinato percentuali di argento (presente naturalmente) e  rame come elemento in lega. Hanno inoltre riconosciuto un diverso trattamento della superficie  sulle due facce del manufatto, una accuratamente lucidata, l’altra opaca, con tracce di materiale  organico e finissima sabbia, che vengono interpretate come residui di un particolare metodo di  lavorazione. Singolare la precisa analogia di procedimento tecnico che è stata riscontrata con  alcune laminette d’oro minoiche e con altre iberiche (Conversi-Giumlia-Mair-Riccardi 2019). La  dimensione e la presenza di un forellino presso un margine suggeriscono confronti, osservati negli  stessi contesti, relativi a sottilissime lamine originariamente fissate su nastri di tessuto.  

Se tutte le altre testimonianze rinvenute alla Cà Nova di Albareto documentano un sito, forse  stagionale, connesso con attività agro-pastorali, che pur nella sua specificità è coerente con  quanto già noto sull’Appennino emiliano e ligure dell’età del Bronzo (Bernabò Brea et al 1997,  Ghiretti 2000; Maggi 2015; Putzolu 2016), il rinvenimento delle laminette d’oro costituisce un  elemento di eccezionalità, senza confronto in siti analoghi e coevi, e impone -oltre che un attento  studio dello straordinario manufatto- una approfondita valutazione del sito nell’ambito del  sistema insediativo coevo e delle vie di percorrenza transappenniniche che potevano interessarlo.  

Le analisi palinologiche non recano indicatori diretti di coltivazione né di pascolo, attività che  potevano forse svolgersi in altri pianori circostanti, in un sistema insediativo articolato. Va  segnalato che non sono conservati resti faunistici ad eccezione di pochissimi frammenti mal  conservati, pertinenti a ovini e bovini (determinazione per cortesia di Ursula Thun Hohenstein).  

Più tardi, il sito ha visto una ripresa insediativa nel corso dell’età del Ferro (US108), come  testimoniato da frammenti di ceramica vacuolare di tradizione ligure, datanti al IV secolo a.C. e  ben attestati nell’Appennino (Mordeglia 2010-2011), e successivamente nella prima epoca di  romanizzazione (US10), indiziata da una borchia di caligae, i calzari dei soldati romani, di II-I secolo  a.C. (Ghiretti 2016). Anche nell’ Ottocento sono attestate ancora frequentazioni con strutture di  bonifica dell’acqua risorgiva, fino alle coltivazioni agricole e ortive contemporanee.  

La continuità di frequentazione sembra indicare una situazione ambientale e morfologica, oltre  che geografica, con una buona vocazione alla presenza antropica. Lo scavo effettuato per la realizzazione del metanodotto ha consentito di esplorare solo una parte del sito, che con evidenza  stratigrafica si estende oltre l’area indagata. La prosecuzione delle indagini per individuare i limiti  insediativi e approfondire la conoscenza di un contesto così significativo è in programma da parte  dell’Università di Bologna che ha già avviato l’iter per l’ottenimento della concessione di scavo.  

 

Team

Il gruppo di studio per la pubblicazione, sotto il coordinamento di Roberta Conversi e la curatela  scientifica di Maria Bernabò Brea, è costituito da Silvio Fioravanti, che ha condotto lo scavo e  studiato i materiali e le strutture dell’età del Bronzo e dell’età del Ferro, Margherita Roncaglio  responsabile della ditta incaricata Lostudio, per le attestazioni di età romana e le opere di bonifica  ottocentesche, E. Castiglioni , M. Rottoli, R. Pini per datazioni C14 e analisi paleobotaniche e  palinologiche, C. Putzolu, M. Bernabò Brea, R. Maggi per il contesto culturale e l’uso delle risorse,  A. Giumlia-Mair, per analisi sulla lamina d'oro, I. Rellini, S. Martini e D. Varrone per le analisi  gearcheologiche, G. Raineri per l’analisi di un fossile rinvenuto nell’area di scavo.  

 

Bibliografia

BERNABÒ BREA M., CARDARELLI A., CREMASCHI M. (1997) – L’insediamento collinare montano, in BERNABÒ  BREA M., CARDARELLI A., CREMASCHI M., eds. - Le terramare. La più antica civiltà padana. Milano:  Electa: 275-281.  

CONVERSI R. GIUMLIA-MAIR A., RICCARDI M.P. (2019) - Middle Bronze Age Gold Sheet from Albareto,  Parma Italy., 5th International Conference Archeometallurgy in Europe 2019, University of Miscole,  Hungary, 19th-21th June 2019: 147.  

GHIRETTI A. (2000) - L’età del Bronzo nelle Valli di Taro e Ceno (Appennino Parmense), Padusa XXXVI:  31-84.  

GHIRETTI A. (2016) - Alla Scoperta della Cisa Romana. Scavi archeologici alla Sella del Valoria (2012‐ 2015), STEP Editrice, Parma: 103-106, fig. 81.  

MAGGI R., (2015) - I monti sono vecchi. Archeologia del paesaggio dal Turchino alla Magra, Genova:  De Ferrari.  

MORDEGLIA L.I. (2010-2011) - La ceramica ligure dell’eta del Ferro (IX‐III secolo a.C.) nell’Italia nord‐ occidentale, Tesi di Dottorato,in Etruscologia, Università La Sapienza, Roma.  PUTZOLU C. (2016) - La valle del Taro nell’età del Bronzo. Insediamenti ed organizzazione territoriale,  BAR - International Series, 2814, Oxford: Archaeopress.