Fig. 4: laminetta d’oro come rinvenuta in scavo e dopo la pulitura e il restauro.
Le analisi effettuate sull’oro hanno determinato percentuali di argento (presente naturalmente) e rame come elemento in lega. Hanno inoltre riconosciuto un diverso trattamento della superficie sulle due facce del manufatto, una accuratamente lucidata, l’altra opaca, con tracce di materiale organico e finissima sabbia, che vengono interpretate come residui di un particolare metodo di lavorazione. Singolare la precisa analogia di procedimento tecnico che è stata riscontrata con alcune laminette d’oro minoiche e con altre iberiche (Conversi-Giumlia-Mair-Riccardi 2019). La dimensione e la presenza di un forellino presso un margine suggeriscono confronti, osservati negli stessi contesti, relativi a sottilissime lamine originariamente fissate su nastri di tessuto.
Se tutte le altre testimonianze rinvenute alla Cà Nova di Albareto documentano un sito, forse stagionale, connesso con attività agro-pastorali, che pur nella sua specificità è coerente con quanto già noto sull’Appennino emiliano e ligure dell’età del Bronzo (Bernabò Brea et al 1997, Ghiretti 2000; Maggi 2015; Putzolu 2016), il rinvenimento delle laminette d’oro costituisce un elemento di eccezionalità, senza confronto in siti analoghi e coevi, e impone -oltre che un attento studio dello straordinario manufatto- una approfondita valutazione del sito nell’ambito del sistema insediativo coevo e delle vie di percorrenza transappenniniche che potevano interessarlo.
Le analisi palinologiche non recano indicatori diretti di coltivazione né di pascolo, attività che potevano forse svolgersi in altri pianori circostanti, in un sistema insediativo articolato. Va segnalato che non sono conservati resti faunistici ad eccezione di pochissimi frammenti mal conservati, pertinenti a ovini e bovini (determinazione per cortesia di Ursula Thun Hohenstein).
Più tardi, il sito ha visto una ripresa insediativa nel corso dell’età del Ferro (US108), come testimoniato da frammenti di ceramica vacuolare di tradizione ligure, datanti al IV secolo a.C. e ben attestati nell’Appennino (Mordeglia 2010-2011), e successivamente nella prima epoca di romanizzazione (US10), indiziata da una borchia di caligae, i calzari dei soldati romani, di II-I secolo a.C. (Ghiretti 2016). Anche nell’ Ottocento sono attestate ancora frequentazioni con strutture di bonifica dell’acqua risorgiva, fino alle coltivazioni agricole e ortive contemporanee.
La continuità di frequentazione sembra indicare una situazione ambientale e morfologica, oltre che geografica, con una buona vocazione alla presenza antropica. Lo scavo effettuato per la realizzazione del metanodotto ha consentito di esplorare solo una parte del sito, che con evidenza stratigrafica si estende oltre l’area indagata. La prosecuzione delle indagini per individuare i limiti insediativi e approfondire la conoscenza di un contesto così significativo è in programma da parte dell’Università di Bologna che ha già avviato l’iter per l’ottenimento della concessione di scavo.