Garattoni, Doss Penede (Nago, TN): progettare e costruire un insediamento minore nell’Alto Garda in epoca romana

Figura 1. Ripresa da drone del Doss Penede realizzata alla fine della campagna di scavo 2022.

L’insediamento pluristratificato del Doss Penede, ubicato sull’omonimo dosso a circa 284 m slm nel comune di Nago-Torbole (TN), offre la rara opportunità di poter svolgere ricerche sistematiche su costruzioni di epoca romana appartenenti ad un contesto prealpino a carattere non urbano. Il sito, grazie al protocollo di intesa stretto tra Università degli Studi di Trento, Soprintendenza dei Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento e Comune di Nago-Torbole, è indagato dal 2019 e le quattro campagne di scavo ad oggi condotte hanno restituito importanti evidenze che attestano la lunga frequentazione dell’area; è stato possibile ricostruire la sequenza insediativa del sito, collocando le tracce più antiche nel Bronzo Recente e quelle più recenti alla fine del III- inizio del IV sec. d.C., anche se sono emersi sporadici e labili indizi che suggeriscono frequentazioni successive. I dati rilevati configurano il Doss Penede come un insediamento minore dotato di una notevole estensione (si ipotizza ca 3 ha), collocato in una posizione strategica per il controllo del Lago di Garda e delle vie terrestri che lo mettevano in comunicazione con le valli del Sarca e dell’Adige e per la gestione delle risorse agro-silvo-pastorali del territorio. Queste caratteristiche inseriscono il sito nell’articolato panorama insediativo che contraddistingue l’area alpina tra età del Ferro e età romana, caratterizzato da un complesso mosaico di abitati installati su alture, che mostrano una certa continuità di frequentazione (se pur con variazioni agli assetti planimetrici e agli schemi costruttivi) e di persistenza delle tradizioni culturali indigene1. La maggior parte delle strutture riferibili all’età romana che si conservano in alzato (anche fino a 3 m di altezza) si imposta al di sopra di ciò che rimane dell’abitato retico, motivo per il quale pare assai complesso riuscire ad ascrivere ad un orizzonte cronologico certo le testimonianze riferibili alle operazioni preparatorie che di norma precedono l’erezione degli elevati. Nel caso del Doss Penede si è stati in grado di individuarne solo alcune: le più significative in tal senso consistono nelle tracce di rettifica impresse nel substrato roccioso, che è stato possibile rilevare una volta esaurita la stratigrafia interna degli edifici. Le azioni di modellazione e di asportazione della roccia naturale affiorante hanno il duplice scopo di realizzare superfici abbastanza ampie da ospitare edifici e ambienti a diversa destinazione d’uso e di fornire il materiale da costruzione per le stesse.

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1 Maggi P., Zaccaria C.1999, p.18.

Figura 2. Ripresa da drone delle aree di scavo 1000 Est e 1000 Ovest all’inizio delle indagini 2022.

La giacitura inclinata del calcare di cui il dosso è composto, infatti, fa sì che questo si sfaldi in blocchi poligonali sufficientemente integri da poter essere impiegati come elementi da costruzione senza che questi debbano essere sottoposti a ulteriori processi di lavorazione e rifinitura. Le evidenze archeologiche confermano che, nella seconda età del Ferro, i versanti sono già organizzati secondo un sistema di terrazzamenti isorientati caratterizzati da abitazioni di dimensioni notevoli. Gli edifici retici sono in parte seminterrati e vengono costruiti in appoggio alla parete di roccia rettificata verso monte; questi accorgimenti assicurano una certa stabilità alla struttura, nonché protezione dai dilavamenti di versante. Le maestranze indigene non disponevano di tecniche costruttive che contemplavano l’uso di malta di calce, motivo per il quale gli zoccoli in materiale lapideo delle strutture murarie sono perlopiù messi in opera a secco e, in alcuni rari casi, i giunti e gli interstizi vengono colmati da una mescola di terra e limo; le parti superiori degli elevati, i soppalchi e le coperture, invece, venivano realizzati in materiale deperibile2. All’arrivo dei costruttori romani, presumibilmente tra la seconda metà del I a.C. e l’inizio del I sec. d. C., si verifica una cesura: le logiche progettuali e strutturali mutano e vengono introdotti elementi di evidente novità rispetto al passato, come i materiali fittili da costruzione per la realizzazione delle coperture o la malta di calce. I Romani riusano gli spazi della seconda età del Ferro e utilizzano i medesimi materiali lapidei, ma gli conferiscono nuova forma e nuova logica. Alcuni dei dati acquisiti sono più indiziari di altri in termini di ideazione e di applicazione progettuale e la loro analisi permette di cogliere con maggiore immediatezza i caratteri della ratio alla base degli interventi edilizi compiuti. Nello specifico, ci si riferisce all’unità di misura adottata per la realizzazione delle strutture, ai moduli spaziali impiegati per la deduzione dell’assetto planimetrico dell’insediamento e alla scelta di soluzioni costruttive dal forte impatto decorativo e assieme simbolico. Osservando la disposizione dei corpi architettonici finora messi in luce, si può notare che gli edifici sono sistemati a schiera lungo un’asse orientato Nord-Sud. Ogni edificio misura3 pressappoco tra i 20 e i 30 mq, ha forma quadrangolare ed è delimitato a Nord, Sud e a Ovest da muri a doppio paramento spessi circa un piede e mezzo (dai 42 ai 45 cm)4, mentre a Est viene perimetrato da una struttura muraria ad unico paramento costruita contro terra. L’utilizzo del piede romano è attestato anche nelle scalinate monumentali che collegano i terrazzi e che fungono da viabilità interna: l’ampiezza complessiva del vano si attesta, infatti, sui 180 cm circa, ovvero 6 piedi. Pur essendo riusciti ad individuare l’unità di misura utilizzata, bisogna precisare che questo dato non è, al momento, soddisfacente. Oltre all’assenza di fonti scritte e alla mancanza di studi di genere condotti nel territorio alto gardesano con cui confrontarsi, il susseguirsi di interventi edilizi, restauri, modificazioni e rimaneggiamenti che ha investito il sito nel corso dei secoli limita una più ampia lettura del dato e impedisce di assicurare l’effettiva applicazione del piede romano anche nelle ultime fasi di frequentazione romana dell’insediamento.

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2 Sulle strutture della seconda età del Ferro si rimanda a Migliavacca M. 1993.
3 Le misure escludono l’ingombro delle strutture murarie.
4 Fanno eccezione i muri perimetrali Ovest di Edificio 5 e del Settore Meridionale, i quali sono stati costruiti rispettivamente contro una struttura muraria precedente e contro terra.

Figura 3. Ripresa da drone. In evidenza la scalinata monumentale di Area 1000 Est.

Per quanto riguarda la distribuzione planimetrica degli edifici, invece, si reputa significativo evidenziare che il caso di Nago presenta una schematizzazione degli spazi non consueta rispetto agli insediamenti d’altura altogardesani noti. Considerando il sito di San Martino ai Campi di Riva5 per la sua stretta prossimità geografica e il sito di S. Martino di Vervò6 per l’analoga tipologia insediativa come termini di confronto, è possibile notare come questi non dispongano di un’articolazione topografica simile. Il numero di edifici di San Martino ai Campi che si addossa lungo i muri di terrazzamento, ad esempio, è decisamente più limitato rispetto a quelli del Doss Penede o ancora, quelli scavati a San Martino di Vervò rioccupano superfici già definite durante la seconda età del Ferro, ma adattandovisi senza compiere sostanziali modificazioni. Un’altra differenza piuttosto indicativa riguarda le scalinate che collegano tra loro i terrazzamenti. A San Martino di Vervò non ne sono state trovate, mentre ne sono venute alla luce più di una sia a San Martino ai Campi, che a Doss Penede. In entrambi i casi le strutture hanno caratteristiche metriche notevoli, ma solo nel caso del Doss Penede, si ravvisa l’utilizzo consapevole di lastre lapidee di colore diverso e tra queste emergono delle lastre di Rosso Ammonitico. Tale scelta, chiaramente compiuta con intento decorativo, sottintende anche la precisa volontà di imitare quei pregiati contesti urbani che possono permettersi di importare marmi preziosi dall’oriente. Alla luce di quanto appena considerato, sembra plausibile sostenere che maestranze italiche siano state coinvolte nella realizzazione del progetto edilizio di Nago, dato che ne usano i tipici principi costruttivi. Le iniziative edilizie a cui si è appena fatto cenno, ascrivibili al progetto di monumentalizzazione del Doss Penede, manifestano il passaggio dell’insediamento all’orbita di influenza romana; passaggio che potrebbe essersi verificato all’interno di quel processo di ridefinizione amministrativa, e urbanistica di conseguenza, che investe tutta la Cisalpina in età augustea.

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5 Ciurletti G. (a cura di) 2007.
6 Endrizzi L. 2018.