Susanna Luppi
È da poco uscito nelle sale Moonage Daydream (2022), il docu-film su David Bowie diretto da Brett Morgen, un’opera che rende appieno il carattere poliedrico del suo protagonista che si presenta come un viaggio tra ricordi in continuo divenire.
La colossale opera di Morgen ci dà così lo spunto per intraprendere un viaggio nella galassia Bowie, soffermandoci su alcuni dei tanti pianeti che ospita tra caratteri, stile e correnti di pensiero.
Come forse nessun altro al mondo, David Bowie vanta un ventaglio di forme e stili che rientrano a pieno titolo nella modernità liquida di Bauman.
Si passa dal disorientato Major Tom, al mascalzone The Man Who Sold The World, al noto alieno messianico Ziggy Stardust al White Duke e altri ancora.
Aladdin Sane è forse il personaggio più noto di Bowie, o almeno quello che ne ha codificato il simbolo per eccellenza: il volto con impresso un fulmine rosso e blu.
Ciò che forse è meno noto al grande pubblico è che Aladdin Sane era, come spiegò l'artista, “Ziggy in America”. L’album è nato, infatti, come impressioni di viaggio di David, che percorse la nazione in treno e in bus nell’autunno del 1972. L’idea di diario musicale è poi rafforzata dal fatto che a ogni traccia corrisponde una località (scelta palesata sull’etichetta dell’album): New York ("Watch that man"), Seattle-Phoenix ("Drive in Saturday"), Detroit ("Panic in Detroit"), Los Angeles ("Cracked Actor"), New Orleans, ("Time"), Detroit e New York ("The Jean Genie") e RHMS Ellinis, nave che riportò David in UK ("Aladdin Sane").
Realtà e aspettative possono rivelarsi, però, piuttosto differenti: le variopinte ambizioni in terra straniera di Ziggy si scontrano inevitabilmente con quell’America violenta, bizzarra, claustrofobica e dai ritmi incessanti esperita da Bowie.
Così, prende forma un Aladdin Sane disgiunto ed evanescente, caratteri che ne hanno plasmato anche l’aspetto: la folgore rossa e blu sul suo volto fu ideata per rappresentarne la personalità scissa.
“Aladdin Sane era la mia idea dell’America rock and roll. Ero coinvolto in quel grande circuito di concerti e non mi piaceva molto. Perciò inevitabilmente la mia scrittura rifletteva il tipo di schizofrenia che attraversavo. […] Così Aladdin Sane era diviso a metà.”
Anche la scelta del nome richiama l’ambivalenza del personaggio: Aladdin Sane è la maschera del vero titolo, ovvero A lad insane (un ragazzo pazzo). Un gioco di parole in piena linea con alcuni stratagemmi cari all’avanguardia Dada, come nel caso di L.H.O.O.Q, trabocchetto linguistico di Duchamp che funge da titolo alla sua Monna Lisa baffuta. Se pronunciate in francese (lingua madre dell’artista), queste lettere generano il malinteso linguistico “Elle-a-chaud-au-cul”; una frase volgare e intrisa di scandalo con cui Duchamp si burla del rapporto che intercorre tra significante e significato.
C’è da dire che dal prolifico pozzo Dada, Bowie ha attinto anche altre tecniche e stimoli che ha poi saputo trasformare in carburante per la propria creatività, uno di questi è il cut-up.
Nel 1920 Tristan Tzara, (tra i fondatori del movimento Dada), pubblicò una breve poesia in cui consigliava al lettore di ritagliare le parole da un articolo di giornale e di estrarle a caso da una borsa: il risultato lo avrebbe reso "a writer of infinite originality and charming sensibility".
Da qui prese gradualmente forma la tecnica creativa del cut-up, pratica che si fonda sul ritagliare frasi e/o parole da un testo, mischiarne i frammenti e ricomporre un nuovo testo che, anche se privo di sintassi, può racchiudere un significato.
Oltre allo scrittore W. Borroughs, anche Bowie si avvalse del cut-up sia per la produzione creativa di testi (Diamond Dogs, 1974), sia come spunto per suggerire prospettive narrative alternative.
Nel tempo, questo interesse mutò la sua forma (un po’ come lo stesso Bowie) trasformandosi nella sua estensione tecnologica. Negli anni ’90, David lavorò con lo sviluppatore Ty Roberts per realizzare un software in grado di generare cut-up: The Verbasizer. Questa applicazione fu utilizzata da Bowie per l’album Outside (1995) giungendo fino a Blackstar (2016), il suo ultimo album.
Nel sacchetto dei ritagli di cut-up, si annidano anche altre questioni come l’esplorazione psicologica del sé che, in un certo qual modo, sottende tutta la pratica.
Introdotto da Jung, il concetto di individuazione intende sintetizzare i vari caratteri della personalità in un sé più olistico e unitario. Obiettivo ultimo è quello di sincronizzare al meglio i caratteri più soggettivi della propria personalità con gli archetipi dell'inconscio collettivo.
Questi archetipi possono essere interpretati come maschere che filtrano la nostra comprensione della realtà. E le maschere sono la specialità di Bowie.
Una delle sue ultime maschere lo ritrae nel video musicale di Blackstar, traccia dell’omonimo album che è riuscito a immettere la sua esistenza artistica nel tempo dell’eterno ritorno nietzschiano, pur mantenendo un carattere di transitorietà.
Blackstar (2016), ultimo album di David Bowie ma il primo a non ritrarre il cantante in copertina, sembra portare con sé un pulviscolo luminoso, un messaggio tra l’ermetico e il profetico.
Siamo al capolinea dell’esistenza terrena dell'artiista (malato da qualche tempo di tumore al fegato) e siamo anche alla sintesi totale del suo percorso artistico confluito in un’icona: la stella nera.
Unica immagine ma dal design curato, la stella nera è affiancata da sei segmenti di stella che formano la parola "B O W I E" in lettere stilizzate.
Siamo al cospetto di un estratto dagli innumerevoli riferimenti (dalla scienza all’occulto) votato all’innesco di una serie di rimandi concettuali.
In astronomia, blackstar indica un ipotetico tipo di stella, simile al buco nero ma con qualche differenza. Se si è profani in campo astronomico ma buoni conoscitori di Bowie, c’è un carattere che può colpire di più: le radiazioni emesse da una stella nera, a differenza delle radiazioni dei buchi neri, trasportano informazioni.
Così, si torna all’inizio, quando da David Jones è nato David Bowie: “Bowie” è la trasposizione del “coltello Bowie” (presente ne I Ragazzi Selvaggi, 1971, di Borroughs) in un “mezzo per creare un conglomerato di dichiarazioni e illusioni”. Bowie dunque buca per irradiare informazioni.
Profetizzato dalle sue stesse parole:
“I just pulled myself in and decided to use the easiest medium to start off with, which was rock’n’roll, and then add bits and pieces to it over the years so that by the end of it I was my own medium.”
(Divine Symmetry, 2022)
Altro riferimento importante è Elvis Presley (ammirato da Bowie). Blackstar potrebbe dunque rimandare al primo titolo di una vecchia canzone del Re scritta nel 1960 per Flaming Star (film western di Don Siegel) la cui prima strofa recita che ogni uomo porta con sé una stella nera e che potrà vederla alla fine del suo tempo:
“Every man has a black star
A black star over his shoulder
And when a man sees his black star
He knows his time, his time has come.”
La stella di Presley pare chiaramente rimandare alla morte, in questo caso instaurando un parallelismo con la condizione di Bowie, ma c’è un altro legame importante condiviso dai due: il giorno di nascita.
Mercoledì 8 gennaio 1947, mentre Elvis Presley compiva dodici anni, David Robert Jones aprì per la prima volta gli occhi a Brixton (Londra).
Decisamente un “Big Wednesday” se vogliamo dirla in gergo surfista.
Torniamo così al nostro Brett Morgen e al suo magistrale Moonage Daydream, dove tutto ha inizio e si estingue nello spazio, al cospetto di un monolite nero posizionato su una blackstar.
Il monolite sembra essere direttamente prelevato da 2001: A Space Odyssey (1968) di Kubrick e incarna perfettamente la metafora dell’eterno ritorno come presa di coscienza del Postmoderno e del pensiero di Bowie.
Assistiamo così al trip psichedelico di David Bowman in Space Odyssey che si trasforma nella personale e vorticosa Space Oddity di David Bowie.
Un viaggio partecipato in stile flusso di coscienza, sempre presente e sempre passato, che trova nel caos il suo continuo divenire. Uno svolgimento di ricordi che si richiamano tra loro per analogia, passando dal passato al presente e garantendo così un futuro.
Un futuro che vede la sua fine dove tutto ha inizio: al monolite nero su di una blackstar.
N. Pegg, The complete Bowie, Arcana, 2005
What is the cut-up method?, su bbc.com (data di ultima consultazione: 03/01/23)
C. Rae, William S. Burroughs e il culto del rock’n’roll, Jimenez Edizioni, 2020
C. G. Jung, Seven Sermons to the Dead, 1916 su gnosis.org (data di ultima consultazione: 03/01/23)
C. Barceló, S. Liberati, S. Sonego ed M. Visser, Black Stars, Not Black Holes, Scientific American (October 2009)
Divine Symmetry (box set), Parlophone 2022
D. Ascoli, David Bowie. Il divino alchimista, Arcana, 2022
J. Soligny, David Bowie Rainbowman: 1967-1980, 2019