Susanna Luppi
Chi si vuole addentrare nella fantascienza anni '80 non può che inciampare nel cavo di rete cyberpunk e rimanere avviluppato. Tra i fondatori del genere spicca Bruce Sterling, autore di Giro di Vite Contro gli Hacker (1992) e numerosi romanzi fantascientifici. Il cyberpunk esplora infatti scenari futuristici e in genere distopici, proponendo spunti stilistici e tematici che oggi hanno in parte preso forma.
Oltre alla fiction, Sterling si è addentrato in profondità nella questione che lega tecnologia e ambiente, divenendo un esponente del design sostenibile.
Stando a Sterling, il cyberpunk è “un'estensione naturale di elementi già presenti nella fantascienza”.
Nei primi anni '80 Bruce Sterling faceva parte di un gruppo di scrittori nominato writers workshop, e viveva appieno il fermento della controcultura texana. Insieme all'amico scrittore Lewis Shiner amava definirsi “bohémien della scena punk di Austin” e, allo stesso tempo, ambizioso scrittore di fantascienza.
Disquisizioni e dibattiti sulla fantascienza erano all'ordine del giorno, finché non prese piede l’idea per cui “dovevamo usare il punk per allargare i limiti della fantascienza e la fantascienza per allargare i limiti del punk”: ed ecco il cyberpunk. Le personalità di spicco di questo movimento spaziano dai componenti del gruppo di Sterling, primo tra tutti Lewis Shiner (scrittore poliedrico e voce scettica del gruppo), a Rudy Rucker (il poeta matematico) John Shirley (il punk dei cyberpunk) e l'allora sconosciuto, ma capitale, William Gibson.
La rete di autori si è in seguito espansa grazie alla diffusione di fanzine culturali underground e riviste specializzate in fantascienza (ruolo decisivo per la britannica Interzone).
I cyberpunk hanno così creato nuovi scenari, (scettro e corona sono riservati al cyberspazio di Gibson, ndr), progettando nuovi ambienti urbanizzati dalle problematiche globali e concretizzato una nuova sensibilità che connette realtà virtuale e realtà tangibile. E per la prima volta hanno sovrapposto due mondi: il campo dell'high-tech e il moderno underground della cultura pop. Tutto questo, servendosi di una prosa visionaria e formalmente connotata.
La scrittura cyberpunk presenta infatti alcuni tratti distintivi e stilisticamente definiti, quali crammed prose, eyeball kicks einventory of perception.
L'espressione crammed prose (prosa sovraccarica) indica l'inclusione di troppi concetti in una una frase di senso compiuto, rendendola complessa e nebulosa. È come cucire tanti frammenti di vestiti (diversi tra loro e potenzialmente innovativi) su un'unica semplice tunica. rendendo difficile identificare di che capo si tratti. Una prosa di questo tipo costringe il lettore a saltare da un frammento a un altro, quindi da un'idea all'altra, cercando di afferrarne il contesto.
Con il termine eyeballe kick (sballo ottico) si indica invece l'inserimento di un elemento stravagante e inspiegabile ma che catalizza l'attenzione indirizzandola al surreale. Questa tecnica è stata presa in prestito dal fumetto dove incarna l'oggetto (o gadget) che pare non aver alcuna attinenza con la vignetta che lo ospita. Nel cyberpunk lo sballo ottico si fa esplosione bizzarra e futuristica di non-sense che combatte la prevedibilità attribuendo identità.
Si arriva dunque al concetto di inventory of perception (inventario della percezione) che è relativo al punto di vista della narrazione. Il personaggio narra le vicende nel momento stesso in cui le vive, sperimentando il mondo futuro in cui si trova con i propri sensi. L'interesse di questa strategia non è la funzione ma la percezione.
In ambito tematico, il cyberpunk ha un raggio d'azione ampio e variegato. Ci sono però argomenti ricorrenti, come il tema dell'invasione del corpo (membra prostetiche, circuiti impiantati, chirurgia cosmetica, alterazioni genetiche) e il tema, sempre più forte, dell'invasione della mente (interfacce cervello-computer, intelligenza artificiale, neurochimica). Tutte tecniche che ridefiniscono radicalmente la natura umana, la natura dell'Io.
Dunque, il cyberpunk si definisce per il suo carattere visionario e caleidoscopico e per essere un pastiche di immaginari globali pieno di contrasti e ossimori.
Il cyberspazio entra ufficialmente in scena in Neuromancer di William Gibson. Romanzo manifesto del movimento cyberpunk, Neuromancer racconta la storia di Case, hacker alla deriva in cerca di un’identità e di intelligenze artificiali incomplete, che mirano a qualcosa di più. Le varie vicende si snodano in un futuro distopico e decadente, molto simile alla rappresentazione visiva di Blade Runner (1982) in cui corporation e multinazionali sono i poteri dominanti. E proprio qui, prende forma il cyberspazio, una realtà virtuale alternativa classificabile tra internet e Matrix (2000).
La voce narrante di Case lo descrive così:
Cyberspace. A consensual hallucination experienced daily by billions of legitimate operators, in every nation [...]. A graphic representation of data abstracted from the banks of every computer in the human system. [...] Lines of light ranged in the nonspace of the mind, clusters and constellations of data. Like city lights, receding… (Gibson, 2000: p. 51)
Il cyberspazio mette in primo piano il ruolo cruciale svolto dallo scenario. Questo è il luogo eletto all'azione mentale dei personaggi che varcano la sua soglia e mostra una realtà inclusa in quella materiale; come un sotto-insieme, ma altrettanto vasta e più rapidamente percorribile.
Questa dimensione implica un salto concettuale: fin dalla partizione delle attività in “Arti liberali” e “Arti meccaniche” avvenuta nell'Alto Medioevo, si è radicata un’idea di realtà costituita dall’interazione tra sfera mentale e sfera concreta. Con il cyberspazio, Gibson ha scavalcato un qualsiasi periodo di transizione per raggiungere l'apice di una realtà nuova, basata sulla mente e su comunicazioni virtuali. Il cyberspazio esclude completamente l'ambito materiale, poiché lo ha trasposto in quello mentale e convertito in informazioni.
L’utente (o cowboy) che si addentra nel cyberspazio è trasformato in impulsi; impulsi connessi al suo encefalo e che richiamano immancabilmente l'energia elettrica:
Con l'avvento della tecnologia elettrica l'uomo estese, creò cioè al di fuori di se stesso, un modello vivente del sistema nervoso centrale. (McLuhan, 2011: p. 60)
Queste parole dal saggio Capire i media. Gli strumenti del comunicare (1967) di Marshall McLuhan calzano perfettamente con la rappresentazione letteraria del cyberspazio di Gibson. La definizione di “a consensual hallucination” seguita da “a graphic representation of data abstracted from the banks of every computer in the human system” implicano l'estensione nella sfera virtuale di una sorta di coscienza umana onnicomprensiva e collettiva; elemento cruciale se accostato alla teoria mecluhaniana che vede il mondo come estensione di sistema nervoso, diramatasi in più contesti della nuova era a cui appartiene, ormai assunta come oralità secondaria. Oralità al posto di visione. Una visione, stando a McLuhan, radicatasi nell'età appena superata (una cultura alfabetica e lineare) come senso dominante ed esclusivo. Un'oralità che, al contrario, pone le sue basi in un'ancestrale cultura acustica e tribale (dunque correlata a un atteggiamento collettivo) ora riproposta e trasformata dalle nuove tecnologie in una nuova cultura orale, frammentaria e “polifonica”.
Il concetto di polifonia sottintende la molteplicità e contemporaneità di sensi coinvolti nella percezione e nell'interazione dell'individuo con la realtà in cui è situato. Con una simultaneità percettiva il soggetto può raggiungere la consapevolezza dei diversi ruoli svolti in primo luogo da se stesso, poi dalla tecnologia posta alle basi di questo processo.
In questo senso, è interessante citare una riflessione di Paolo Rosa (fondatore di Studio Azzurro) nella cui opera L'Arte fuori di sé. Un manifesto per l'età post-tecnologica (2011) pare trasporre in ambito comunicativo e artistico lo stesso punto di visita, espresso in versione teorica da McLuhan e in campo letterario da Gibson:
Il concetto di polisensorialità è tipico di un'era tecnologica che incrocia mondi reali e mondi virtuali, ed esprime un uso polifonico dei linguaggi, dove cadono le gerarchie dei sensi e allo stesso tempo si fluidificano differenti confini disciplinari. Inoltre, operando sulle sensibilità, si va a toccare la parte interiore, silenziosa, archetipica. Si manifesta la componente invisibile. (Rosa, 2011: p. 68)
In Neuromancer la concezione di polisensorialità può ritrovarsi anche soltanto nella sinestesia di alcuni appellativi, come “Screaming Fist”, o “Wintermute” (rispettivamente il nome di un'operazione militare e un' IA). Inoltre, la componente invisibile esposta da Rosa sembra allinearsi con il carattere del cyberspazio definito da Gibson “the nonspace of the mind”. La dimensione virtuale del cyberspazio presuppone quindi l'esistenza di un luogo, o meglio, di un nonluogo, articolato nella mente dell'essere umano. Marc Augé ne ha definito bene il senso nel saggio dal titolo Nonluoghi (2009):
È chiaro, dunque, che con «nonluogo» stiamo indicando due realtà complementari ma distinte: quegli spazi costituiti in rapporto a certi fini [...] e il rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi. [...] Se i luoghi antropologici creano un sociale organico, i nonluoghi creano una contrattualità solitaria. (Augé, 2009: pp 87-88)
Il nonluogo di Augé e il nonspazio di Gibson condividono due connotati : la dualità e l'isolamento. La dualità in Augé si manifesta nella funzione del nonluogo, dal momento in cui esso può configurarsi in funzione di un fine o di un rapporto. Per quanto concerne Gibson, la dualità del nonspazio è primariamente legata all'opposizione tra la concretezza dell'encefalo e l'astrattezza della coscienza da cui paradossalmente è originato.
Il secondo connotato, è l'isolamento. Già per definizione, il nonluogo, o il nonspazio, presuppongono una sorta di barriera se rapportati a ciò che si definisce “luogo”; nei primi l'individuo partecipa ad altre tipologie di realtà e di rapporti senza concedervisi interamente, poiché mantiene simultaneamente una condizione costante di dissociazione. Case, in Neuromancer, è spesso solo (o del tutto estraniato) in una stanza, allacciato a dispositivi tecnologici e intento a confermare la sua esistenza nel cyberspazio. Ciò significa che entra a contatto mentalmente con la realtà virtuale ma è completamente isolato dalla realtà tangibile in cui fisicamente vive. Solitudine nel luogo contrapposta a partecipazione nel nonluogo.
Tuttavia, Neuromancer offre anche una possibilità di riscatto: il sim-stim.
Sim-stim è l'abbreviazione di Simulator-Stimulator e indica uno strumento in grado di conferire le percezioni sensoriali da un individuo situato nella realtà tangibile, a un altro connesso al cyberspazio. Il sim-stim costituisce forse ciò che l'immaginazione di Gibson ha originato per supplire al problema della dissociazione, fornendo al soggetto le percezioni fisiche di cui è privato al momento della connessione al cyberspazio. Insomma, una polisensorialità meccanica che si fa ponte tra realtà tangibile e virtuale.
Con il cyberspazio Gibson è riuscito a dare agli anni ‘80 un assaggio di ciò che sarebbe divenuta la realtà virtuale di oggi, immaginando uno scenario tecnologico e le sue implicazioni sociali.
A differenza di Gibson, Sterling non si è limitato a immaginare scenari alternativi, li ha anche progettati. Nel 1999 fondò Viridian (viridiandesign.org), un progetto che unisce tecnologia e cultura, un movimento green che gioca, a partire dal suo nome, con natura e tecnologia. La parola Viridian indica infatti un tono di verde abbastanza artificiale da non essere associato ai classici movimenti ambientali. Sterling dichiara Viridian come “an art movement that looks like a mailing list, an ad campaign, a design team, an oppo research organization, a laboratory…”. L’obiettivo del progetto era di rivoluzionare il sistema economico e sociale attraverso l’environmental design, il tecno-progressismo e la cittadinanza mondiale. Sterling pose formalmente fine al movimento nel 2008, asserendo che Viridian aveva portato a termine la sua missione di portavoce, ora che le problematiche ambientali risultano emerse a livello mondiale. Sterling scrisse inoltre il manifesto di Viridian (consultabile all’indirizzo viridiandesign.org ) e la prefazione del Worldchanging's book (Worldchanging: A Users Guide for the 21st Century), tra i principali volumi che trattano di pensiero green.
Rimanendo nel dominio dell’arte, Vincenzo Trione propone un’interessante disamina sulla sensibilità ambientale di alcune correnti artistiche, tanto da parlare di Artivismo. Con artivismo si intendono tutti i movimenti artistici politicamente connotati che utilizzano la dimensione estetica per veicolare messaggi con impatto sociale, sia genuini che manipolati dallo stesso art-system. Come nel caso dell’artista Ai Weiwei, divenuto icona cinese prima del tempo, il caso Banksy e il progressivo “impegno” ostentato dalle varie Biennali.
Spettacolare miscela tra arte sostenibile e cibernetica è la Mutoid Waste Company. I Mutoids sono un collettivo di artisti, performer e professionisti del settore tecno-meccanico che dagli anni ‘90 vive stabilmente a Mutonia, un campo autogestito a Santarcangelo di Romagna. La loro storia inizia negli anni ‘80 quando Joe Rush e Robin Cooke fondarono ufficialmente la compagnia nella zona di Shepherds Bush a Londra. Il collettivo ha scelto di vivere in modo sostenibile ridando vita a ciò che la società scarta (dalla plastica ai motori) anelando a qualcosa di più: un recupero creativo del rapporto dell'uomo con la natura in un'ottica post-industriale. L’immaginario mutoide è molto vicino ai film di Mad Max e altri scenari palesemente cyberpunk. Il loro nome deriva infatti da Blake’s7, una serie TV britannica in cui i Mutoids erano esseri umani ricondizionati e privi di personalità. Mutonia è aperta a tutti e offre in modo costante attività performative e visual. Una loro performance è stata inserita nella cerimonia di chiusura delle Paralimpiadi di Londra nel 2012.
Tornando alla base cyberpunk, ambiente hacker per eccellenza, inizia a farsi strada un altro atteggiamento: il mutuo appoggio. Ne parla Carlo Milani nel suo saggio Tecnologie Conviviali (2022), in cui la figura dell’hacker non è più alla deriva (come in molte distopie cyberpunk) ma si fa promotore di azioni concrete per ridurre l’alienazione tecnica. L’hacker contemporaneo (e impegnato) intende conoscere la tecnologia e gli esseri tecnici per vivere armoniosamente con loro, nell’ottica del mutuo appoggio, per ampliare la libertà e l’uguaglianza reciproca.
Gibson W., Sterling B., Stephenson N., Cyberpunk. Antologia assoluta, Mondadori, 2021
Sterling B., Mirrorshades, Bompiani, 1994
Gibson W., Neuromancer, Ace Books, New York, 2000
McLuhan M., Capire i media. Gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, 2011
Rosa P., L'Arte fuori di sé. Un manifesto per l'età post-tecnologica, Feltrinelli, 2011
Augé M., Nonluoghi, Elèuthera, 2009
viridiandesign.org (data utlima consultazione: 04/04/23)
Trione V., Artivismo, Einaudi, 2021
santarcangelodiromagna.info (data di ultima consultazione: 06/04/23)
Milani C, Tecnologie conviviali, Elèuthera, 2022
Foto 2: da Neon Dystopia (art by Josen Gonzalez)
Foto 4: da tumblr (art by Josen Gonzalez)
Foto 5: da Neon Dystopia (art by Josen Gonzalez)
Foto 6: scultura al Campo Mutoid