Susanna Luppi
La Statua della Libertà è il simbolo per eccellenza di New York e degli Stati Uniti d’America.
Inaugurata nel 1886, il suo nome completo è “The Liberty Enlightening the World” ed è la prima immagine di New York City che si ha entrandovi via mare – e non solo.
La statua rappresenta una donna che sorregge una torcia con la mano destra e stringe una tavoletta con incisa la data di adozione della Dichiarazione di Indipendenza (4 luglio 1776) nella sinistra. Raggiunge un’altezza di 93 metri, ha una struttura di acciaio rivestita in rame ed è visitabile dai turisti, infatti 354 gradini permettono di raggiungere la sommità della corona e ammirare il suggestivo skyline.
Sorge tuttavia una domanda: perché proprio "Libertà"?
Se il mito di fondazione degli Stati uniti è condensato nel “Melting Pot” (vaso simbolico da cui nasce il nuovo uomo, frutto dell’essenza di tutte le diverse nazionalità che compongono il popolo americano, ndr) allora ha senso che la Statua della Libertà sia di fattura francese. Fu infatti realizzata dallo scultore Frédéric-Auguste Batholdi in collaborazione con Gustave Eiffel, costruttore della celeberrima Tour Eiffel nell’immediato 1889. Immediato, poiché la statua americana fu costruita tra il 1875 e il 1884, trovandosi infine montata nella baia di Manhattan sulla Liberty Island nel 1886.
Anche l’ideazione di Lady Liberty ha madre francese e si parla di Édouard René de Laboulaye, noto intellettuale dell’epoca e acceso sostenitore dell’Unione, nella Guerra di secessione americana. Nello specifico, Laboulaye propose un simbolo per i neo-nascenti Stati Uniti: la libertà. Tema caldo del momento, avrebbe abbracciato nuove politiche sociali come la fine della schiavitù e l’indipendenza americana nei confronti del vecchio continente. Et voilà: ecco servito su un piatto d’argento il dagherrotipo della mitografia di fondazione statunitense, immagine che sarebbe diventata sempre più netta e definita con il passare del tempo, come una fotografia. Se il dagherrotipo si sviluppa in piena luce, la fotografia, però, si forma nel buio della camera oscura. E la genesi americana presenta varie zone d’ombra.
Che si tratti di scelta o coincidenza, nell’antica Grecia il giorno 28 del mese di Ecatombeone era notoriamente il prescelto per festeggiare le Grandi Panatenee, ovvero le cerimonie celebrative della dea Atena Poliade da parte del popolo ateniese. Motivo di festa era la nascita della divinità e, tra giochi ginnici, agoni e gare poetiche, vi era la processione panatenaica: una vera e propria proto-parata in cui tutti i cittadini liberi, donne comprese, si recavano alla statua della dea sull’Acropoli percorrendo la via Panatenaica. Quest’ultima era una strada che attraversava Atene consentendo ai passanti di sostare nei principali luoghi sacri della città fino al raggiungimento dell’Acropoli.
Più di un millennio dopo, anche a New York il giorno 28 del mese di Ottobre è motivo di festa. Si celebra l’identità americana assurta a icona di libertà e democrazia finalmente con un simbolo tangibile, la Statua della Libertà, con un evento cruciale per la storia degli States che ha visto formarsi una processione spontanea da parte dei cittadini, la prima Ticker-tape Parade.
La Ticker-tape Parade è una processione moderna che consiste nel lancio di grandi quantità di pezzetti di carta sul percorso della parata dalle finestre dei vicini palazzi, creando un effetto trionfale simile a una tempesta di neve. Come nel caso di Atene, anche New York ha una strada consacrata alle parate e si tratta di Broadway. Precisamente, Lower Broadway è il percorso che si estende dall’estremità meridionale di Manhattan (Battery Park) fino al municipio. Quella sezione è anche chiamata "Canyon of Heroes" poiché ha delle placche sui marciapiedi, a intervalli regolari, che celebrano alcune Ticker-tape Parade della città. Dal 1886 si sono succedute un totale di 206 sfilate volte a celebrare personalità di spicco ed eventi importanti, dallo sbarco sulla luna ai campionati sportivi.
Ci si potrebbe domandare quanta spazzatura possa essere prodotta da una parata di questo tipo. Una stima recente rivela che il quantitativo di carta per strada è di circa 91,7 metri quadri, pressappoco il volume della Statua della Libertà e la sua base messi insieme. Paradosso interessante che, simbolicamente, sembra rispecchiare uno degli effettivi stigmi della società americana, riassumibile nella frase “the show must go on”. La spettacolarizzazione mediatica vince sul messaggio dell’evento, quindi il mito delle origini deve raggiungere la mistificazione in modo unanime, lasciandosi alle spalle i postumi di un’indifferente spazzatura.
In conclusione, abbiamo un tropo importante per l’identità americana, un simbolo nato da un altro simbolo, che è quello della cultura occidentale. Se nella Grecia Antica la cultura occidentale ha origine, negli Stati Uniti sembra esserci la sua naturale prosecuzione. Emblema impresso nell’immaginario storico da una celebrazione con parata di una nuova nascita, quella del popolo americano, che culmina ai piedi di una nuova divinità, Lady Liberty che, con corona e fiaccola in mano, suggella i diritti di una moderna potenza nello scenario mondiale. Anche se la misura della sua “adorazione” corrisponde all’accumulo di altrettanta spazzatura.
Per il progetto della Statua della Libertà, Bartholdi si recò ad Arona sul Lago Maggiore (Piemonte) per studiare il colosso di San Carlo Borromeo, realizzato da Giovanni Battista Crespi tra il 1624 e 1698. Obiettivo della coppia Bartholdi-Eiffel era infatti di raddoppiare l’altezza del Colosso (23,5 metri senza piedistallo), già noto per essere la più alta statua in lastre di rame mai realizzata. La Statua della Libertà con i suoi 46 metri superò il record.
L’opera mancava però di piedistallo, che fu realizzato in seguito a un crowdfunding sponsorizzato dalle testate dell’epoca grazie alla pubblicazione di un sonetto, The New Colossus, scritto dalla poetessa Emma Lazarus per l’occasione, ma passato in sordina e dimenticato all’effettiva inaugurazione della statua nel 1886. Grazie all’intervento di Georgina Schuyler, amica di Lazarus, i versi sono ora incisi su una placca di bronzo ai piedi della statua – di seguito, riportati in forma integrale:
Not like the brazen giant of Greek fame,
With conquering limbs astride from land to land;
Here at our sea-washed, sunset gates shall stand
A mighty woman with a torch, whose flame
Is the imprisoned lightning, and her name
MOTHER OF EXILES. From her beacon-hand
Glows world-wide welcome; her mild eyes command
The air-bridged harbor that twin cities frame.
"Keep, ancient lands, your storied pomp!" cries she
With silent lips. "Give me your tired, your poor,
Your huddled masses yearning to breathe free,
The wretched refuse of your teeming shore.
Send these, the homeless, tempest-tost to me,
I lift my lamp beside the golden door!"
Nonostante la palese filiazione culturale greca, Lazarus e, per estensione, il popolo americano, prende le distanze rinnegandone valori e comportamenti evocati dall’immagine sempliciotta di un eroe che conquista con la forza. Ad esso è contrapposto lo spirito del “nuovo mondo” investito di valori quali l’indulgenza e l’accoglienza nei confronti di coloro che approdano alle sue rive – principalmente, immigrati ed emarginati europei.
Volendo andare ancora più a ritroso nel tempo, si può tentare una comparazione tra The New Colossus e Ozymandias, sonetto scritto da Percy Bysshe Shelley nel 1817 relativo al faraone Ramesse il Grande. Anche in questo caso si ha a che fare con l’epigrafe posta ai piedi di una statua (quella di Ramesse) e Ozymandias ne ricontestualizza il contenuto mettendo a nudo la pomposità declamatoria rispetto al messaggio veicolato.
Pare così che il monito espresso da Shelley possa ritrovarsi nuovamente attuale nella rielaborazione di un The New Colossus: la società nordamericana, ossia il “nuovo colosso” del contemporaneo, sacralizza la propria essenza in un monumento celebrato da un’epigrafe poetica il cui proposito propagandistico è proporzionale al proposito situato alla base della sua genesi - la raccolta di denaro. Questo rompe l’incantesimo dei concetti espressi nell’edificante sonetto come crea uno strappo sul velo di Maya di cui si ricopre il motore del mercato massmediale. Il risultato promuove una vacuità di parole che corrispondono all’effettivo vuoto della società nei confronti della tanto decantata “massa”.
Per rifulgere nel palco mondiale, è stato creato un vero e proprio sistema di simboli su cui si è edificata l’identità statunitense. La struttura interna (e invisibile) si rifà alla mitografia della cultura occidentale, mentre la parte esterna è rivestita da uno strato di tratti somatici prettamente locali (dalla trasformazione della processione in Ticker-tape Parade all’esaltazione di luoghi-tipo come i “Canyon Heroes”). Il tutto, rappresentato con estrema lucidità e altrettanta sconsideratezza dalla potenza massmediatica: un mito ricoperto di carta, che si libra fiero in cielo per poi accumularsi sul ciglio di un marciapiede. Un biglietto da visita capitanato da una nuova e patinata divinità, la Statua della Libertà.
Harris Jonathan, A Statue for America: The first 100 Years of the Statue of Liberty, 1995
Di Bella Antonio, Gli Stati Uniti, Electa, 2022
Bette Roth Young, Emma Lazarus in Her World: Life and Letters, 1997
Shelley Percy Bysshe, Opere, 1995
"Panatenee", da treccani.it (ultima consultazione: 06/10/22)
"First Ticker-tape Parade Held (1886)", da todayinconservation.com (ultima consultazione: 06/10/22)
Foto 1 da commons.wikimedia.org (ultima consultazione: 11/10/22)
Foto 2 da todayinconservation.com (ultima consultazione: 11/10/22)
Foto 3 da nps.gov (ultima consultazione: 11/10/22)
Foto 4 da pxhere.com (ultima consultazione: 11/10/22)