Susanna Luppi
Nel panorama del cinema contemporaneo, Joel e Ethan Coen sedimentano nell’immaginario collettivo un cinema ambiguo ed esilarante allo stesso tempo, la cui cifra stilistica si dirama dal grottesco, al senso di inadeguatezza, dall’ironia al disorientamento.
I motivi ricorrenti nella filmografia dei Coen sono parte integrante della loro poetica che, ammiccando alla logica midcult, decostruisce gli standard sociali occidentali.
L’analisi del film cult Fargo (1994) sarà il pretesto per esplorare i punti salienti e i principali nuclei discorsivi della loro filmografia.
Joel e Ethan Coen nascono a Minneapolis (Minnesota) negli anni ‘50 e si formano in una famiglia di intellettuali (i genitori sono due professori universitari, ndr.) ricevendo un’educazione ebraica.
Da adolescenti decidono di acquistare una telecamera usata dividendo la spesa con un vicino e iniziano a girare in super8 alcuni remakes dei film visti in televisione (come La preda nuda e Tempesta su Washington).
Dopo aver frequentato il college, Joel si laurea in cinematografia alla New York University mentre Ethan si iscrive alla Princeton University, laureandosi in filosofia con una tesi su Wittgenstein.
Nel 1980 i due fratelli si ricongiungono a New York dove ha inizio la loro fruttuosa collaborazione assieme a un giovane regista di film horror indipendenti, Sam Raimi. Fresco di successo per il suo The Evil Dead (1981) – su suolo italiano, La Casa, ndr. – a cui, peraltro, Joel partecipa in qualità di addetto al montaggio, Raimi convince i fratelli a scrivere e dirigere un film. Da qui, prende vita Blood Simple (1984), un lungometraggio dai toni noir probabilmente ispirato dalla lettura di crime fiction, in particolare i romanzi di James M. Cain. Nonostante il low budget, che ha impegnato i Coen a curare direttamente diverse fasi della produzione, il cast vede nomi di attori professionisti come Frances Mcdormand, futura moglie di Joel. Blood Simple conquista pubblico e critica e ottiene legittimazione grazie ai riconoscimenti dei festival (vince il gran premio della Giuria al Sundance Film Festival, ndr.).
Nello stesso anno Joel ed Ethan lavorano a Crimewave (1985), film commissionatogli da Raimi che non riscuote il precedente successo, ma che contiene già i principali ingredienti che definiranno in modo inequivocabile il cinema dei due fratelli: da personaggi sopra le righe, all’utilizzo del grottesco, fino a una trama sfilacciata ma in qualche modo unita da strambe coincidenze.
Nel 1987 esce Raising Arizona, più vicino al filone della commedia familiare (piuttosto in voga alla fine degli anni ‘80) e a cui partecipano Nicholas Cage e Holly Hunter, attori emergenti del circuito mainstream. Ora, la macchina Coen è in piena attività tanto che nel 1990, ancora impegnati con la stesura di Miller’s Crossing, Ethan e Joel iniziano a lavorare al soggetto di Barton Fink, uscito nell’immediato 1991. Quest'ultimo non fa faville al botteghino, ma vince la Palma d’oro a Cannes in due categorie (miglior regia e miglior interpretazione maschile) e un David di Donatello (portato a casa da John Turturro come miglior attore straniero).
Il 1994 è la volta di The Hudsucker Proxy (Mister Hula Hoop in italiano), un film ad alto budget ma dal successo modesto, scritto a sei mani con Sam Raimi. La vera consacrazione arriva due anni più tardi con Fargo (1996), un vero e proprio cult movie che si autoproclama “tratto da eventi realmente accaduti” ma che allo stesso tempo lo nega nei titoli di coda, con la classica frase “ogni riferimento è puramente casuale”. Una crime story dai confini torbidi, che sconfina nella commedia nera, nell’horror grottesco e in cui l’onnipresente senso di casualità cela una struttura profonda, che si addentra in questioni socio-filosofiche. Valso ben due Oscar (miglior sceneggiatura originale e attrice protagonista) e una Palma a Cannes (migliore regia), Fargo introduce i Coen a un’età più matura, solidificando la loro poetica pur conservando l'attitudine eclettica.
Siamo alla fine degli anni ‘80 e il film si apre su un paesaggio invernale, lattiginoso, in cui è impossibile scindere il cielo dal terreno. L’atmosfera si rompe con la comparsa di un’auto con rimorchio, che ricorda dove sono i punti cardinali, ma trasferisce alla scena una certa inquietudine, quasi premonitrice. Dopodiché, lo spettatore è scaraventato nella vicenda.
La trama di per sé è abbastanza lineare: Jerry Lundegaard, padre di famiglia bianco e borghese, recluta due criminali per il rapimento della moglie Jean allo scopo di spartirsi il riscatto pagato dal suocero Wade. Il contrasto tra supposta realtà dei fatti narrati (segnalato dagli avvisi di autenticità a inizio film e da cartelli stradali che ne avvalorano la specificità geografica) e la sequenza onirica di apertura, introduce già la dinamica del disorientamento.
Quest’ultimo si manifesta come difficoltà nel definire un oggetto secondo le categorie consuete, dunque riconoscerlo e comportarsi di conseguenza. In questo caso, si tratta innanzitutto di un disorientamento di categoria: si tratta di un thriller? O di una commedia noir piuttosto che un horror?
L’impossibilità di imbrigliare un film dei Coen in una classe precostituita è direttamente proporzionale a quella di definirne i personaggi secondo gli stereotipi di genere. Una costante nella filmografia coeniana è infatti la rappresentazione dell’inadeguatezza. Fargo è popolato da individui che non rientrano nei canoni stereotipati di genere: per esempio, uomini lontani da una mascolinità normativa (virile e tesa all’azione machista) e che falliscono quando tentano di approcciarsi a quel ruolo.
Questo è il caso di Carl, fuorilegge esile e di piccola statura, la cui inadeguatezza nell’uniformarsi a maschio alfa ne determina il ripetuto fallimento, azione dopo azione. L’ambiguità emotiva che ne consegue è messa in scena attraverso il corpo e il linguaggio. Carl è logorroico, non si controlla e ripete le stesse cose al compare Gear, che invece non comunica. Allo stesso modo, Carl non controlla i gesti del suo corpo, riducendo un assassinio a un gesto infantile poiché in preda alla frustrazione. Corpo e linguaggio si fanno voce e sostanza dell'inadeguatezza, ma sono anche veicolo di un altro elemento ricorrente: il grottesco.
Questa caratterizzazione si ripropone con costanza anche in altri personaggi maschili dell’immaginario Coen. Per esempio come accade con Dude Lebowski (in Il Grande Lebowski, 1996) che interpreta il ruolo dell’eroe - ma la voce fuori campo, che lo presenta così, travisa a sua volta la propria funzione di narrazione diegetica, risultando inadatta poiché inaffidabile. L’inadeguatezza è anche sperimentata da Llewelyn nel ruolo di uomo d’azione in Non è un paese per vecchi (2007), fino all’inadeguatezza per antonomasia di chi piuttosto scegli di non esserci, come Ed Crane, tragico protagonista di L’uomo che non c’era, (2001).
Se Carl mette in scena l’uomo che non corrisponde al canone, per contrasto, Gear è invece la rappresentazione della mascolinità tradizionale: silenzioso ed estremamente violento, si definisce con l’azione. La sua brutalità cieca è oltre confine e fuori controllo. Per raggiungere i propri scopi o risolvere problemi imprevisti, Gear è in grado di commettere turpi delitti. Una violenza incomprensibile lo spingerà a uccidere Carl, macinando il suo corpo in un truciolatore. Questo, lo porta a un altro livello di lettura, poiché il connotato di virilità che Gear rappresenta si trasforma in perturbante pericolo. Se si osserva Anton Chigurh (il villain di Non è un paese per vecchi, 2007) si notano le stesse caratteristiche: un uomo di stazza robusta, silenzioso, estremamente violento e senza rimorso. Entrambi i personaggi destano sgomento intorno a loro, soprattutto per lo sguardo vacuo e l’impossibilità di comprendere le ragioni delle loro azioni. Anton persegue il suo obiettivo – anche in questo caso, il recupero di una grossa somma di denaro – eliminando tutto ciò che si frappone tra loro.
Tra Gear e Anton vi è però una differenza: se il primo rappresenta un’aggressività primitiva e autoreferenziale, il secondo sembra far riferimento a un proprio modello di valori. Anton è in grado di capire che gli altri non possono avere un vero dialogo con lui poiché si rifanno a un diverso ordine simbolico, inteso nell’accezione di Lacan: Anton riesce a fuggire, permettendo un finale aperto e allo stesso tempo disilluso; Gear invece viene arrestato, per di più da Marge, una donna incinta.
Il contrasto tra i due personaggi rappresenta simbolicamente uno scontro di antitetico di genere: se Gear rappresenta la dinamica patriarcale, basata su violenza e avidità; Marge incarna quella matriarcale, improntata sull’equilibrio, la mutua solidarietà e la sopravvivenza della specie.
Infatti, Marge è un personaggio femminile solido e rassicurante, abituata a bilanciare personaggi maschili insicuri, ma non per questo frustrati.
In un mondo popolato da modelli tradizionali rigidi e stantii, personaggi come Carl e Jerry non possono realizzarsi poiché non sono in grado di interfacciarsi a un modello che non sia quello della virilità e al successo che, nell'ideologia occidentale, ne deriva .
Definire il cinema di Joel e Ethan Coen è impresa ardua e articolata. Dopo Fargo, si sono susseguiti altri capolavori come Il grande Lebowski, L’uomo che non c’era e Non è un paese per vecchi. Se agli inizi si riconosce una più spiccata matrice noir, nel corso del tempo sono proliferati stimoli tematici differenti che hanno contribuito a decostruire la narrativa dei generi cinematografici classici.
Personaggi e situazioni, seppur di ambiti diversi, tendono a richiamarsi tra loro creando una rete di significanti che rimanda a una poetica ben precisa. Questioni come l’inadeguatezza, la polarizzazione inversa del gender, l'incomunicabilità che deriva da un diverso metro di valori, sono ingredienti che non possono mancare nella fucina Coen. La messa in scena attraverso il grottesco e l’ironia, l’automatismo e la ripetizione sono il loro marchio di fabbrica.
Tuttavia, in barba al corpus di cesure e incompatibilità esibito nella loro opera, i Coen hanno sempre lavorato insieme, creando un sodalizio solido e continuativo. Inoltre, hanno sempre curato ogni aspetto della produzione dei loro film, dalla scrittura al montaggio. Nonostante fino al 2004 (anno in cui esce Ladykillers) si legga la firma di Joel alla regia e quella di Ethan alla sceneggiatura, i due hanno sempre rifiutato la differenziazione di ruolo, preferendo definirsi come unico regista.
Un regista a due teste.
De Palscalis I., Fargo, in Manzoli G. (a cura di), Joel e Ethan Coen, Marsilio, 2013;
Manzoli G., USA Today, etica e politica nel cinema di Joel e Ethan Coen, in Manzoli G. (a cura di), Joel e Ethan Coen, Marsilio, 2013;
King, G., Il cinema indipendente americano, Einaudi, 2005;
Coen Brothers in spietati.it (data di ultima consultazione 24/11/24);
Lunga vita ai Coen Bros.! in cinefiliaritrovata.it (data di ultima consultazione 24/11/24);
COEN, Joel ed Ethan in treccani.it (data di ultima consultazione 24/11/24).
Foto 1 in australianbookreview.com.au
Foto 2 in cinetecadibologna.it
Foto 3 in tiempodecine.co
Foto 4 in screenrant.com
Foto 5 in ranker.com