L’arte speculativa di Joseph Kosuth

Susanna Luppi

Joseph Kosuth è riconosciuto come l’esponente di punta dell’arte concettuale, movimento artistico emerso dalle neoavanguardie degli anni Sessanta.  Il fine ultimo dell’arte concettuale è  valorizzare l’espressione dell’idea rispetto al risultato formale ed estetico dell’opera. Kosuth ne esplora soprattutto la dimensione linguistica, estendendola alla speculazione filosofica. Così  facendo, conferma  l’eredità dell'arte concettuale dal Dadaismo e ne mette in luce altri ascendenti, come  le sperimentazioni musicali di John Cage.

 

1. Arte concettuale: un'idea con più anime

2. Joseph Kosuth

3. Tra musica e ready-made

4. Bibliografia e sitografia

 

1. Arte concettuale: un'idea con più anime

Nei primi anni Sessanta, il terreno dedicato alle esplorazioni artistico-musicali era piuttosto fertile, attraversato dalle Avanguardie, ancora bisognoso di sperimentare estensioni e sviluppare discorsi nuovi.

L’arte concettuale nasce proprio in questo contesto. Tuttavia rimane difficile indicarne chiaramente sia i confini sia una data d’inizio. Se si sceglie di prendere come riferimento una localizzazione spaziale, sicuramente l’ambiente newyorkese del periodo ospitò tre eventi che possono definirsi inaugurali: nel 1966, la mostra Working Drawings and Other Visible Things on Paper not Necessarily Meant to be Viewed as Art, una compilation di sketch, appunti e altri artefatti relativi alla fase di studio degli artisti coinvolti; nel 1967, la pubblicazione di Paragraphs on Conceptual Art da parte di Sol LeWitt, artista minimalista; nel 1969, l’esposizione January 5-31 che ospitò le opere di Barry, Huebler, Kosuth e Weiner.

ArteConcettuale_NewYork_1966_SusannaLuppi_Canadausa

Spostandosi in territorio europeo, nell’ottobre del 1969 presso lo Städtisches Museum di Leverkusen (Germania) si inaugura Konzeption/Conception, la prima rassegna museale dedicata all’arte concettuale. Gli artisti ospitati sono numerosi e spiccano nomi come John Baldessari, Robert Barry, Marcel Broodthaers, Stanley Brown, Jan Dibbets, Edward Ruscha, Lawrence Weiner, Sol LeWitt e Joseph Kosuth.

Il denominatore comune di queste esposizioni e trattati teorici non è tanto legato a novità tecnico-formali quanto più a una proposta radicale che va a minare direttamente la struttura della nozione “arte”. In un certo senso, al centro dell’attenzione non è più il come si veicola la rappresentazione artistica ma il perché a una determinata idea corrisponda una detta rappresentazione, mettendo a nudo il processo che ha portato al risultato finale. 

Nel testo introduttivo a Konzeption/Conception, il curatore Rolf Wederer scrive:

 

La designazione di arte concettuale apre a forme artistiche che non possono essere giudicate e comprese sulla base di creazioni concrete e manifeste, ma che si basano – così come avviene per altri media – su procedure e processi. In altre parole, il cambiamento che questo termine introduce non riguarda solo la forma e il soggetto dell’arte, ma la sua stessa struttura.

 

Dunque, l’arte concettuale si distingue principalmente per il suo processo di de-estetizzazione e semplificazione della produzione a vantaggio di una riflessione sulle idee e sulla loro diffusione.

Questo atteggiamento è figlio del rinnovato interesse per le posizioni di Marcel Duchamp in merito alla negazione dei contenuti estetici della produzione artistica, un rifiuto per l’arte figurativa. Allo stesso tempo, tra le pratiche pittoriche e scultoree moderniste si fecero strada tendenze autoriflessive e riduzioniste, sfociate poi nel minimalismo, nella pop art e nell’arte povera.

SolLewitt_ArteConcettuale_1979_SusannaLuppi_Canadausa

L’arte concettuale ha avuto vari sviluppi e diverse genealogie. Alcune l’hanno portata a favorire l’analisi di logiche spaziali e cronologiche, come nell caso di Sol LeWitt, On Kawara, Douglas Huebler e Alighiero Boetti. Altre si sono concentrate sull’identificazione tra arte e linguaggio, includendo speculazioni filosofiche, indagate da (primo tra tutti) Joseph Kosuth, poi Lawrence Weiner e il gruppo Art & Language. Altre ancora hanno sviscerato il rapporto tra l’enunciazione artistica e il tessuto istituzionale che la legittima, in altre parole, analizzare il processo che, all’interno della struttura sociale, riconosce quando una manifestazione di qualche genere può essere definita “arte”. 

Per questo motivo è difficile dare una definizione univoca a questa corrente artistica. L’arte concettuale ha sì un solo nucleo ma, allo stesso tempo, una molteplicità di declinazioni tanto diverse quanto lo sono le influenze che l’hanno definita. Basta osservare le sfaccettature già presenti in forma embrionale nella genesi della sua denominazione.

Inizialmente, le opere ora riconosciute come concettuali erano designate in più modi, quali “idea art”, “information art” e “conceptual art”. Quest’ultima, più pertinente ed efficace rispetto alle altre, è stata introdotta da Henry Flint, musicista e matematico influenzato da John Cage. Nel 1969 Flint pubblicò Essay: Concept Art, testo contenuto in un’antologia di scritti poetici e musicali curata da La Monte Young.

L’autore definisce un aspetto importante della concept art, ovvero il suo rapporto con il linguaggio. Il primo rigo del testo recita infatti,

 

 "Concept art" is first of all an art of which the material is "concepts," as the material of for ex. music is sound. Since "concepts" are closely bound up with language, concept art is a kind of art of which the material is language”.

 

Dunque, il materiale dell’arte concettuale è costituito da “concetti”, spiega Flint, come per la musica valgono i suoni. E, se i concetti appartengono alla sfera del linguaggio, allora anche l’arte concettuale può utilizzare il linguaggio come materiale della sua ricerca. Ed è proprio ciò che fa Joseph Kosuth.

2. Joseph Kosuth

Joseph Kosuth nacque a Toledo (Ohio) nel 1945 e intraprese fin da subito studi artistici. Dopo aver viaggiato in Europa e Sud Africa, nel 1965 si stabilì a New York, iscrivendosi alla School of Visual Arts. Kosuth iniziò a farsi un nome in questa scuola per le sue idee innovative e controcorrente, tanto da essere rimosso dal corpo studentesco per essere insignito della carica di docente. L’elevazione a insegnante fu in parte dovuta alle attività collaterali di Kosuth, come la co-fondazione del Museum of Normal Art (che espose le opere di Robert Ryman, On Kawara, Hanne Darboven) e l’organizzazione di un gruppo di artisti, poi identificati nel movimento dell'arte concettuale

JosephKosuth_ConceptualArt_neon_SusannaLuppi_CanadaUsa

Lo scopo dell’arte concettuale, per come la intende Kosuth, è quello di trasformare la ricerca artistica in una ricerca sul significato stesso dell’arte, abbandonando il terreno della semplice innovazione stilistica, mirando invece a rivelare visivamente la complessità dei codici culturali.

L’arte di Kosuth era quindi guidata dalle idee. L’artista rifiuta il preconcetto secondo cui l’arte debba basarsi sull’estetica. Al contrario, l’arte assume significato seguendo un percorso autoriflessivo e tautologico per cui vale il principio “art is art”.

In una prima fase Kosuth concepì Proto-Investigations (1965), alcuni gruppi di opere che opponevano elementi fisici ad elementi testuali basandosi sul principio della tautologia. È il caso di Clear Square Glass Leaning, parole inscritte singolarmente su quattro lastre di vetro trasparente appoggiate alla parete. 

In seguito, Kosuth si occupò della serie One and Three, altri gruppi di opere in cui un oggetto prelevato dal quotidiano era presentato attraverso tre codici differenti. La più nota è indubbiamente One and Three Chairs, dove sono giustapposte una sedia fisica, la fotografia di quella stessa sedia in scala 1:1 e il fac-simile della relativa definizione tratta da un vocabolario. Oggetto, immagine e parola. Medium distinti che conducono alla stessa idea. Ed ecco il punto di Kosuth: a costituire l’opera è l’idea piuttosto che gli elementi formali. Nell’era della riproducibilità, l’opera d’arte può essere ricreata ovunque e da chiunque. Non a caso, le sedie esposte nelle diverse gallerie cambiavano e di conseguenza, anche le foto ad esse scattate. L’idea è quindi ciò che soggiace a tutto, esistendo per sé, attraverso rimandi tautologici.

JosephKosuth_OneandThreeChairs_MoMA_SusannaLuppi_Canadausa

Dal 1968 le successive Investigations impegnarono Kosuth a diffondere voci e lemmi enciclopedici fuori dallo spazio sacrale delle gallerie, sfruttando manifesti, inserzioni sui giornali e così via. Il fare arte in uno spazio riservato alla pubblicità, avrebbe sottolineato quanto fosse importante non affidarsi a forme artistiche legittimate a priori, come la pittura e la fotografia. Questa forma d’arte site-specific fu in seguito definita il prodromo della cosiddetta arte pubblica – espressione artistica presentata in luoghi insoliti del contesto urbano,  e resa fruibile al tessuto sociale. 

Tra gli scritti teorici di maggior rilievo di Kosuth spicca Art after Philosophy (1969), in cui l’artista traccia una serie di distinzioni tra filosofia e scienza, tra arte ed estetica, e tra analitico e sintetico. Considerato un manifesto poiché funge da cornice teorica per le pratiche di arte concettuale dell’epoca, Art after Philosophy può essere letto anche come critica al formalismo di Clement Greenberg, visto da Kosuth come ultimo baluardo del modernismo istituzionalizzato. Al formalismo, Kosuth contrappone il lascito di Duchamp: così facendo, dichiara la discendenza diretta dell’arte concettuale dall’avanguardia Dada, identificando un antenato nel ready-made.  

 

3. Tra musica e ready-made

Benché l'arte concettuale sia esplosa tra esposizioni e apparati teorici nei primi anni Sessanta, il percorso che portò alla sua nascita si estende fino alle Avanguardie. Il retaggio dadaista è evidente quanto dichiarato, soprattutto se si parla di ready-made. Stando a  Kosuth (J. Kosuth, L’arte dopo la filosofia, 1987, p.25):

 

Il ready-made mutò la natura dell’arte da una questione di morfologia a una questione di funzione. Questo mutamento dall’apparenza alla concezione segnò l’inizio dell’arte moderna e l’inizio dell’arte concettuale.”


Fino agli inizi del ‘900, ciò che rientra nella definizione di arte è sempre stato incluso in un formato, ovvero la forma pittorica e quella scultorea.

Fontana_MarcelDuchamp_1917_SusannaLuppi_Canadausa

In seguito alle avanguardie, in particolare il Dada, la delimitazione del confine tra arte e non-arte ha subito un contraccolpo: il velo della rappresentazione formale si è strappato, aprendo il passaggio alla alla presentazione artistica – perfettamente incarnata dal ready-made –  per cui se un oggetto già esistente è decontestualizzato (dunque privato della sua funzione volta all’utile) può assumere una valenza diversa, perfino artistica. Proprio per questo Fontana, il controverso ready-made di Duchamp datato 1917, funziona: si tratta di un orinatoio strappato dal bagno a cui apparteneva, e firmato R.Mutt, pseudonimo fittizio dello stesso Duchamp. Con questa firma, l’artista introduce inoltre il gioco linguistico, stendendo il significato dell’opera su più livelli. C’è chi ritiene che Fontana indichi metaforicamente un utero materno, ipotesi sorretta dalla firma R.Mutt, poiché evoca fonicamente il sostantivo tedesco “Mutt(e)R”, ovvero “madre”. Altri sono più inclini a considerare R.Mutt nella sua pronuncia francese, ottenendo “muter”, dunque mutare.

Il livello di coinvolgimento tra un’ipotesi e l’altra sembra dipendere dalla sensibilità specifica del fruitore. Il significato non è più dato a priori, ma è ora aperto al dialogo e alla speculazione. Com’è riportato nel 1917 dalla rivista Dada The Blind Man,

 

Se Mr. Mutt abbia fatto o no la fontana con le sue mani non ha importanza. Egli l'ha SCELTA. Ha preso un comune oggetto di vita, l'ha collocato in modo tale che un significato pratico scomparisse sotto il nuovo titolo e punto di vista; egli ha creato una nuova idea per l'oggetto.

 

Nell’interesse dell’arte concettuale, l’influenza Dada si miscela perfettamente con quella di John Cage che, tra le sue 26 tesi in merito a Duchamp, inserì la celebre dichiarazione “Un modo di scrivere musica: studiare Duchamp” (J. Cage, 26 tesi in merito a Duchamp in Silenzio : antologia da "Silence" e "A year from Monday, 1971, p.132). Questo, per allontanarsi dal sentiero troppo battuto della notazione e della composizione musicale in senso stretto. Cage era interessato al vuoto, espresso dal valore del silenzio, reso a sua volta presente da strutture ritmiche e sequenze sonore particolari (per lo più mutuate dagli scritti del maestro dadaista).

JohnCage_1966_RowlandScherman_SusannaLuppi_Canadausa

Il caso di John Cage corrisponde appieno alla figura di pioniere e punto di riferimento relativamente al fare musica con approccio interdisciplinare. Cage intreccia il suono al gesto deviando così la convenzionale ricerca di senso dal territorio ormai troppo calpestato della mono-sensorialità a quello più fertile della polisensorialità contaminando la propria scrittura e la musica con le arti performative: danza, arte e video. Una polisensorialità arricchita dalle soluzioni già avallate dalle avanguardie storiche. Del resto, grazie agli sviluppi della tecnologia di registrazione – confluiti nella manipolazione tramite tape recorder – fu finalmente organica la possibilità di estendere il dominio musicale canonico a quello più ampio dell’intervento diretto sul suono.

In quegli anni l’influenza di Cage-Duchamp si estese a macchia d’olio, confluendo anche nella nascente arte concettuale

Lo stesso Joseph Kosuth ha ammesso il suo debito nei confronti di Cage (L. Prandi,  Conversazione con Joseph Kosuth, 1998, p. 533):

 “Quello che ho imparato da Cage [...] è stato un approccio dell’arte come ricerca per trovare il farsi del significato. [...] Se il significato è ciò che interessa, allora la cancellatura, l’omissione, l’eliminazione e lo sbarramento, di un precedente significato, di dati o presunti significati, diventa una parte necessaria di un processo nel quale il significato stesso può essere reso visibile.

Gli anni Sessanta hanno fatto da cornice a un sistema polarizzato sull’esplorazione del ready-made e del suo impatto semantico, dando vita a molteplici movimenti delle neoavanguardie artistiche. Il contesto ha influenzato e si è fatto influenzare a più riprese e in più settori – dall’eredità delle Avanguardie storiche, alle sperimentazioni interdisciplinari coeve – ricordando quanto è importante non accontentarsi del dato a priori e mantenersi aperti a nuove possibili interpretazioni.

 

4. Bibliografia e sitografia

F. Poli (a cura di), Arte Contemporanea. Le ricerche internazionali dalla fine degli anni ‘50 a oggi, 2013, Electa;

L. Prandi, Conversazione con Joseph Kosuth in G. Bonomo e G. Furghieri (a cura di), John Cage, 1998, Marcos y Marcos;

J. Kosuth, L’arte dopo la filosofia, 1987, Costa & Nolan;

J. Cage, 26 tesi in merito a Duchamp in R. Pedio (a cura di), Silenzio : antologia da "Silence" e "A year from Monday, 1971, Feltrinelli;

The blind man, n. 2, New York, maggio 1917, pp. 4-6, in monoskop.org (data di ultima consultazione: 21/01/24);

Joseph Kosuth. One and Three Chairs in moma.org (data di ultima consultazione: 21/01/24);

Joseph Kosuth in liarumma.it (data di ultima consultazione: 21/01/24);

Essay: Concept Art in henryflynt.org (data di ultima consultazione: 21/01/24);

Joseph Kosuth – Quattro risposte a quattro domande in, agalmarivista.org (data di ultima consultazione: 21/01/24);

Kosuth, Joseph in treccani.it (data di ultima consultazione: 21/01/24).

 

Foto 1: artistsbook.info

 Foto 2: lissongallery.com

Foto 3: dreamideamachine.com

Foto 4: moma.org

Foto 5: inchiostronero.it

Foto 6: npr.org (scatto di Rowland Scherman)