Elvis: l’uomo, il Re, il mito

Milena Fumagalli

Il 16 agosto 1977 si spense una stella che aveva illuminato il mondo della musica e dello spettacolo, ma il ricordo di quella luce ha continuato ad attraversare generazioni e generazioni, creando un vero e proprio mito. Elvis Presley aveva 42 anni e, nonostante i gravi problemi di salute, si stava preparando per un nuovo tour quando fu trovato senza vita nel bagno di casa. Lo shock della notizia superò di gran lunga i confini dell’America.

 

1. L’uomo di cui non si poteva non parlare

2. Il titolo di Re

3. Il mito immortale

4. Bibliografia e sitografia

 

1. L’uomo di cui non si poteva non parlare

Dopo la sua morte, persino l’allora presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter non poté fare a meno di esprimere il suo pensiero e parlò di Elvis come “un simbolo per le persone di tutto il mondo della vitalità, ribellione e buon umore di questo paese”, ricordando, inoltre, che

la sua musica e la sua personalità, fondendo gli stili del country bianco e del rhythm & blues nero, hanno cambiato permanentemente il volto della cultura popolare americana”.

Quest’uomo, il cui nome completo era Elvis Aaron Presley, nacque l’8 gennaio 1935 a Tupelo (Mississippi, USA) in una famiglia con diverse difficoltà economiche che in seguito si trasferì a Memphis. Già da bambino i contatti con il mondo della musica non mancarono e a dieci anni si esibì per la prima volta in un contest musicale, vincendo un premio. In seguito, ricevette in regalo dalla madre una chitarra. Da teenager, cantò e suonò per la prima volta al talent show organizzato dalla scuola, ottenendo ottime reazioni che nemmeno lui si aspettava. Nel 1953, dopo essersi diplomato, portò avanti alcuni lavoretti e decise di presentarsi al Memphis Recording Service, dove ebbe la possibilità di incidere “My Happiness” e “That’s When Your Heartaches Begin” al prezzo di 4 dollari. Queste saranno solo alcune delle prime prove di registrazione per Elvis.

Elvis giovane

Mentre continuava a lavorare come camionista, formò un gruppo con altri due musicisti: Scotty Moore e Bill Black, con i quali iniziò a esibirsi in diversi locali. Non si fermarono a tanto: tra il 1954 e il 1955, i tre parteciparono a un radio show del sabato sera che trasmetteva in molti stati e da lì la popolarità di Elvis cominciò a crescere sempre di più.

Arrivarono i primi agenti, il contratto con la RCA Records, i singoli e i primi dischi tra cui Heartbreak Hotel, (1956) che raggiungeranno in poco tempo le vette delle classifiche musicali. Inoltre, Elvis cominciò ad apparire in importanti show televisivi, conquistando milioni di giovani americani e lanciò anche la sua carriera cinematografica con la Paramount.

Il modo in cui appariva, in cui si muoveva, il suo stile, sono tutti tratti unici che contribuirono alla sua immagine di successo e quindi anche al suo mito. Elvis sapeva come stare su un palco e come scatenarsi, soprattutto con le sue mosse considerate provocatorie e volgari: la famosa “rubber legs” (far tremare le gambe con le ginocchia piegate), “windmill” (movimento rotatorio delle braccia) e il modo in cui agitava il bacino (da qui il soprannome “The Pelvis”). Lo sapevano bene i cameraman che lo riprendevano durante le sue esibizioni in TV e ai quali venne chiesto di inquadrare il cantante solo dalla vita in su per evitare di mostrare i suoi movimenti. La sua performance di “Hound Dog”, per esempio, è ritenuta una delle più controverse: da un lato fece impazzire i giovani, mentre dall’altro cominciò a scatenare le critiche moralistiche e della comunità religiosa.

 

2. Il titolo di Re

È impossibile determinare l’enorme quantità di materiale scritto a proposito di Elvis Presley, sia durante la sua vita sia dopo. Il cantante ha sicuramente rappresentato una svolta dell’universo musicale a lui contemporaneo: era l’anticonformista, il giovane ribelle, il ragazzo che attirava i ragazzi – ma soprattutto le ragazze – con un linguaggio carismatico e una personalità nella quale la sua stessa generazione poteva rivedersi. Oltre al suo fascino e al suo atteggiamento da “cattivo ragazzo”, Elvis possedeva anche una grande sensibilità e un talento naturale nel mischiare generi diversi. In lui si univano l’anima della musica nera con quella bianca. Tutto ciò lo portò a diventare l’idolo del genere rock and roll, fino a esserne incoronato Re.

Elvis il re

La biografia scritta da Albert Goldman inizia proprio con una riflessione critica sulla “regalità” di Elvis. Lui non è stato né il primo né l’ultimo personaggio che la cultura americana ha venerato come un monarca dalle origini divine e, secondo il biografo, non aveva problemi a comportarsi come tale.

Più che alle esibizioni dal vivo e alle apparizioni in TV, gran parte della scalata di Elvis verso il successo è stata dovuta alla radio. Come scrive Goldman, questo mezzo “fu la grande voce evangelizzante non solo per Elvis Presley ma per il rock in generale” (A. Goldman, 1983:202). È la radio che accompagnava la vita quotidiana di milioni di adolescenti, formando un nuovo pubblico,e proprio su di loro diversi musicisti iniziarono a fare presa. È così che in pochissimo tempo un uomo come Elvis cominciò a essere acclamato come il Re del Rock 'n' Roll quando non aveva nemmeno raggiunto l’età per essere spedito nell’esercito.

Tuttavia, la musica è anche un business e la fama che il Re ha conquistato si deve anche all’uomo che ha gestito la sua immagine e la sua carriera da dietro le quinte: il colonnello Tom Parker, suo manager a partire dalla metà degli anni Cinquanta. È lui che si occupò di tenere viva la frenesia del pubblico per Elvis durante la sua assenza.

Infatti, la carriera di Elvis fu interrotta temporaneamente quando nel 1958 fu chiamato a prestare servizio militare nell’esercito degli Stati Uniti. Durante questo periodo venne mandato in Germania ma ebbe anche la possibilità di visitare altre parti dell’Europa e prese lezioni di karate da un maestro giapponese. Fu promosso a grado di sergente nel gennaio del ‘60.

Elvis in uniforme

Un tragico avvenimento sconvolse la sua vita proprio in quei mesi: la morte della madre, alla quale era estremamente legato. Dopo il congedo, molte cose cambiarono. Elvis sembrava aver perso la sua guida e con essa anche la sicurezza che aveva mostrato negli anni precedenti. Fu un periodo buio per il Re, che si rifugiò nel suo “palazzo” di Graceland (a Memphis) circondato dalla sua “corte”, un gruppo esclusivo di amici conosciuti semplicemente come “Guys” o “Memphis Mafia”. Isolato dal resto del mondo, Elvis riempiva le sue giornate organizzando feste private, invitando belle ragazze e anche facendo uso di droghe, che lo avrebbero portato a una lenta autodistruzione. Si abbandonò quasi completamente al volere del colonnello, che firmò diversi contratti per nuovi film come G.I. Blues (1960), Flaming Star (1960) e Blue Hawaii (1961), ma non tutti ebbero il successo sperato. Nel frattempo, il primo maggio 1967 a Las Vegas, Elvis sposò Priscilla, che aveva conosciuto durante i mesi in Germania e dalla quale ebbe una figlia, Lisa Marie Presley. Il matrimonio, però, si sciolse alcuni anni dopo, lasciandogli un’altra ferita mai rimarginata.

La seconda metà degli anni Sessanta fu segnata dall’invasione sul palcoscenico musicale americano di nuove tendenze e nuovi personaggi provenienti anche dal Regno Unito, come i Beatles. Elvis tornò sulle scene solo sul finire di quel periodo. A ciò contribuì anche lo strategico special televisivo a lui dedicato e che andò in onda nel dicembre del ’68. L’anno successivo è ricordato nella storia statunitense per vari motivi, tra cui la missione Apollo 11 che portò i primi uomini sulla Luna e il ritorno del Re del Rock a Las Vegas. Molti giornalisti lo avevano già dato per morto, ma Elvis non era mai stato un artista come gli altri. Andò alla riconquista degli States e del mondo con una serie di concerti fatti di vecchie e nuove canzoni, rituali come il lancio del foulard alla fine dello show e il pezzo di chiusura che doveva rigorosamente essere “Can’t Help Falling in Love”.

Eppure, per il Re fu impossibile tornare veramente quello di prima. Il suo stato psico-fisico era piegato da diete improponibili e farmaci di vario tipo, di cui non poteva più fare a meno. Ciò che gli restava era solo il personaggio che aveva creato (ormai l’ombra di se stesso) e l’affetto del pubblico. Negli anni Settanta iniziò il declino dell’uomo, mentre il mito di Elvis vedeva la luce.

 

3. Il mito immortale

In quanto dimora ben custodita del Re del Rock 'n' Roll, Graceland divenne un vero e proprio monumento nazionale, la seconda casa più conosciuta negli USA dopo la Casa Bianca, simbolo di un mito e ancora oggi meta di pellegrinaggi.

L’ultima esibizione di Elvis risale al 26 giugno del 1977 all’Indiana’s Market Square Arena di Indianapolis. Poco dopo tornò a Memphis e si riposò a casa sua in attesa di partire nuovamente per altri concerti, ma non ne ebbe mai l’occasione.

Elvis mito

Il pomeriggio del 16 agosto, a un’ora dall’annuncio della sua morte, migliaia di fan si erano radunati davanti alla sua villa. Due giorni dopo, circa ottantamila persone parteciparono al suo funerale e ai fiorai di Memphis arrivarono infinite ordinazioni da tutti gli Stati Uniti e non solo. Il mondo intero voleva rendere omaggio al Re.

Da tempo, però, Elvis Presley non apparteneva più solo a se stesso. Come spesso accade alle grandi celebrità che segnano un’epoca, la sua fine gli portò, se possibile, ancora più fama e venerazione, a cominciare dallo speciale “Elvis in Concert” che la CBS mandò in onda a meno di due mesi dal funerale. Non solo: fin da subito in molti si chiesero se Elvis fosse morto davvero e nacquero varie teorie cospirazioniste che pretendevano di indagare più a fondo sulle circostanze della sua “presunta” scomparsa.

Nessuno voleva arrendersi all’idea che il Re del Rock avesse lasciato questo mondo. Era qualcosa di inconcepibile. Goldman, alla fine della sua biografia, propone una spiegazione di questo fenomeno paragonando ancora una volta Elvis a un re che muore e lascia i suoi sudditi a elevarlo a un grado superiore, un mito, una divinità, così da poter resuscitare e vivere per sempre.

 

4. Bibliografia e sitografia

Albert Goldman, Elvis Presley, Milano, Oscar Mondadori, 1983;

Antonio Lodetti, Danny Dickson, Elvis Presley Story, Milano, Gammalibri, 1988;

Biography, graceland.com (data di ultima consultazione 05/08/2021);

Citazioni famose su Elvis Presley, greelane.com (data di ultima consultazione 05/08/2021);

Elvis Presley: 10 facts about The King, love.stylight.co.uk (data di ultima consultazione 09/08/2021);

ELVIS VIVO?, Le curiosità di Elvis, elvis.it (data di ultima consultazione 09/08/2021).