Milena Fumagalli
Nata nel 1908, Ann Petry è stata una delle prime scrittrici afro-americane a vendere milioni di copie con il suo romanzo di debutto intitolato The Street, uscito nel 1946. La strada a cui si fa riferimento è la 116ª di New York, più precisamente ad Harlem, dove la protagonista Lutie Johnson va a vivere insieme al figlio di 8 anni dopo aver lasciato il marito infedele.
Giovane donna nera e madre single nell’America degli anni ’40, Lutie è costretta a lavorare tutto il giorno, provvedendo alle finanze e alle faccende domestiche completamente da sola. Tutto ciò che può permettersi è un angusto appartamento in uno squallido quartiere dove le persone, per la stragrande maggioranza afro-americane, faticano a tirare avanti. Eppure, lei è speranzosa. Si fa forza con le parole di Benjamin Franklin, che risuonavano nella villa di una ricca famiglia di bianchi, i Chandlers, per cui ha lavorato come domestica:
“The belief that anybody could be rich if he wanted to and worked hard enough and figured it out carefully enough.” (Petry, 2020:32)
È lo spirito americano, il Sogno, che porta con sé la convinzione che chiunque, attraverso il duro lavoro e la determinazione, ha la possibilità di raggiungere il benessere economico e sociale. È ciò che spinge Lutie a risparmiare i soldi del treno ed evitare di tornare a casa da suo marito, finché quest’ultimo la tradisce.
L’ossessione di Lutie per il denaro si sviluppa nel libro attraverso l’uso pervasivo del gergo economico, con termini come budget, bollette, salario, menzionati ripetutamente. È un’ossessione che cresce tanto da influenzare anche il figlio, che farebbe di tutto per aiutare la madre a guadagnare qualcosa in più. Quando, però, Lutie lo scopre a lucidare le scarpe agli estranei viene accecata dalla rabbia e dalla paura che il suo bambino possa passare il resto della vita in una simile condizione di miseria.
L’iconografia del Sogno Americano in The Street passa anche attraverso la rappresentazione dei luoghi. Più di una volta nel libro, gli spazi di quell’appartamento e di quella strada diventano soffocanti, come una trappola claustrofobica da cui Lutie teme di non poter mai uscire. Al contrario, la villa dei Chandlers è il simbolo del benestare dei bianchi e dei loro privilegi, nonostante le sue stanze immense non contengano alcuna reale felicità e nascondano, invece, molta sofferenza.
Poi, finalmente, anche per Lutie arriva l’occasione che tanto aveva desiderato: Boots Smith, anche lui afro-americano, una sera la sente cantare in un bar e le offre un lavoro nella sua band. Purtroppo, si tratta solo di un’illusione che presto svanisce. Entrambi capiscono che il loro destino non è affatto nelle loro mani ma in quelle di Junto, un uomo bianco che gestisce non solo il bar dove Lutie ha cantato quella sera ma anche il casinò dove Boots lavora.
Non importa con quanto duro lavoro e determinazione siano arrivati dove sono adesso, nell’America razzista il potere è dei bianchi. Un potere che può persino controllare il Sogno Americano degli altri. Così, pur essendo Junto l'antagonista della trama, è lui che esce illeso alla fine della storia. Per Lutie e Boots, invece, non può esserci alcun lieto fine - anzi, nemmeno il figlio di Lutie viene risparmiato.
Junto ordina a Boots di convincere Lutie ad andare a letto con lui, se vuole ottenere il lavoro, e Boots può solo accettare perché il rischio di perdere tutto è troppo grande. Quando Lutie intuisce cosa è successo, abbandona l’idea di diventare una cantante, rifiutandosi di abbassarsi a un tale livello, ma la situazione non è così semplice.
Soprattutto negli ultimi capitoli, la velocità degli avvenimenti nel romanzo aumenta in un misto di ansia e suspense degne di un vero thriller. Il bambino di Lutie viene arrestato e lei si ritrova costretta a dover chiedere aiuto a Boots per avere il denaro necessario a pagare un avvocato. Boots approfitta dell’occasione per combinare l’incontro tra lei e Junto, in modo da soddisfare l’ordine di quest’ultimo, ma Lutie di nuovo si rifiuta di accettare le sue condizioni. Al culmine della tensione, il climax finale arriva quando Lutie, in uno scatto d’ira, uccide Boots, che però in quel momento non è più l’uomo che ha conosciuto, ma incarna tutte le persone che l’hanno tradita e usata. Ancora di più, Boots arriva a personificare quella strada, quella trappola da cui Lutie non può liberarsi.
La conclusione a cui ci porta Ann Petry è la realtà crudele di una società ingiusta, in cui le persone nascono con un cammino già segnato, simboleggiato dal biglietto di sola andata che Lutie acquista alla fine del libro per tentare un’ultima volta di fuggire dal suo incubo. Nessuna menzogna può cambiarlo, tanto meno il miraggio del Sogno Americano.
A. Petry, The Street, Londra, Virago, 2020.
Tayari Jones on the Necessary American History of Ann Petry’s The Street, lithub.com (data di ultima consultazione: 5/08/2022).
Foto 1 da Connecticut Women’s Hall of Fame (data di ultima consultazione: 05/09/2022).
Foto 2 da PBS (data di ultima consultazione: 05/09/2022).