Gospel: canti di libertà ben oltre il Natale

Maria Antonietta Bertacco

Quando oggi ascoltiamo una canzone natalizia cantata da un coro Gospel ci appare estremamente naturale, quasi come se il genere fosse nato apposta per questa festività. Questa sensazione, però, è ben lontana dalla realtà: è solo attorno al 1930 che i cori universitari negli Stati Uniti cominciarono a cantare brani Gospel, rendendo sempre più popolare questa musica e, di conseguenza, diversi cantanti del genere si avvicinarono anche alle canzoni natalizie. Una dei primi fu Sister Rosetta Tharpe (1915 - 1973), una musicista proveniente da Cotton Plant in Arkansas, che registrò nel 1939 una versione Gospel della famosissima Silent Night.

 

1. Le radici del Gospel: gli Spiritual
2. Nascita ed evoluzione del Gospel
3. Diffusione popolare e Christmas Carol
4. Bibliografia e sitografia

 

1. Le radici del Gospel: gli Spiritual

Gli Spiritual sono un tipo di musica popolare religiosa, nata all'epoca dello schiavismo negli Stati Uniti. Il termine spiritual deriva da un versetto della Lettera agli Efesini della Bibbia di Re Giacomo (traduzione inglese della Bibbia, autorizzata da Giacomo I), in cui si spiega come pregare attraverso salmi, inni e “spiritual songs” (canzoni spirituali, ndr), cantando e creando melodie per il Signore. 

La schiavitù venne introdotta nelle colonie europee in America nel diciassettesimo secolo. La maggior parte degli schiavi proveniva dalla costa occidentale dell’Africa e serviva a sostituire i lavoratori salariati con una nuova forza lavoro, decisamente più economica. Gli schiavi venivano impiegati per i lavori più faticosi nelle piantagioni dei proprietari terrieri o nelle ricche case di città, per lo più negli Stati del Sud. 

In molti paesi del continente africano la musica è da sempre stata molto importante nella vita delle persone: accompagna tutti gli eventi e molte delle loro attività giornaliere. Una volta trapiantati in America, agli schiavi venne vietata qualsiasi pratica della loro tradizione: non potevano parlare la loro lingua, non potevano suonare le percussioni e non potevano celebrare nessun rito animista o musulmano.

Tutto questo ha portato a una tradizione culturale vissuta (e sopravvissuta) in maniera clandestina. Questo divieto era una difesa da parte dei coloni, perché la libertà di vivere alla luce del sole le proprie tradizioni culturali avrebbe potuto ricordare agli schiavi condotti dall’Africa la libertà perduta, spingendoli a scappare. Gli schiavi vennero quindi privati di tutti i diritti fondamentali, perdendo persino la qualifica di esseri umani agli occhi dei coloni. Dal canto loro, i coloni forzarono gli schiavi a convertirsi al Cristianesimo, spacciando la religione come quel mezzo attraverso il quale avrebbero potuto sopportare meglio tutte le sofferenze che ricevevano.

Così, obbedire agli ordini divenne paradossalmente sinonimo di libertà - in questo caso specifico, dal peccato. Il Cristianesimo ci mise un po’ a prendere piede, ma gli schiavi vennero affascinati dalle storie bibliche nelle quali trovarono delle analogie con le loro stesse vite da sottomessi. Fu sullo sfondo di queste vicende storiche e culturali che iniziarono a comporre gli Spiritual, celebrando dal principio diverse figure cristiane, come Mosè e Abramo.

Slaves in the field

Gli Spiritual vengono cantati da sempre nella tipica forma di chiamata e risposta, in cui un solista improvvisa un verso della strofa e un coro gli risponde con il ritornello. Ci sono alcuni brani del genere che vengono chiamati sorrow songs che si caratterizzano per il ritmo molto intenso, lento e malinconico, come Nobody Knows the Trouble I’ve Seen (Anonimo, 1867), nella quale percepiamo le sofferenze degli schiavi, paragonate a quelle provate da Gesù sulla croce. Altri brani invece sono più veloci, apparentemente più allegri, conosciuti come jubilee o camp-meeting songs, come ad esempio Fare Ye Well (Anonimo, 1874). Nel caso di questi canti Spiritual, a differenza delle sorrow songs, ritroviamo spesso un ritmo sincopato. Questo è caratterizzato da uno spostamento dell’accento ritmico che crea un disturbo nel flusso regolare della canzone, quasi a voler ricordare il rumore delle catene con le quali gli schiavi venivano legati per non fuggire. 

Altri Spiritual si sono presentati nella storia come canzoni di protesta codificate, come ad esempio Steal Away (1873) composta da Wallace Willis, nelle quali predominano incitamenti velati a scappare dalla schiavitù. Quando nel diciannovesimo secolo nacque la Underground Railroad, un’organizzazione di abolizionisti che iniziò a lavorare in segreto per aiutare gli schiavi a scappare (verso gli Stati del Nord, il Canada, il Messico o addirittura oltreoceano) molti Spiritual vennero utilizzati da questa organizzazione come inno in codice alla libertà, molto spesso spiegandolo agli stessi destinatari del messaggio perché a loro volta ne diventassero portavoci.

È così che hanno lasciato il loro segno brani come Go Down, Moses (Anonimo, 1850 ca.), in cui “down” sta per “down the river”, indicando che, percorrendo il fiume Mississippi avrebbero potuto trovare la via di fuga dalla schiavitù. Questo brano fu molto spesso utilizzato per farsi riconoscere dagli schiavi da Harriet Tubman (1822 - 1913), attivista della Underground Railroad, nata in schiavitù.

Dopo la sua fuga, Tubman liberò ben 70 schiavi in 13 diverse missioni e per questo venne anche definita “il Mosè del suo popolo”. Un altro brano dallo stesso destino è Following the Drinkin’ Gourd (Anonimo, 1928), che esortava gli schiavi a tenere sempre fissa l’attenzione sul Grande Carro durante la loro fuga come mezzo per orientarsi e raggiungere gli Stati a Nord. ‘Drinking Gourd’ infatti era un altro nome che veniva utilizzato per chiamare il Grande Carro (‘Big Dipper’), rimarcando il fatto che assomigli un po’ a un cucchiaio. La Underground Railroad rappresentava per molti schiavi l’unica possibilità di salvezza e per questo le vennero dedicati molti Spiritual prima dell’abolizione dello schiavismo nel 1865, come Gospel Train (John Chamberlain, 1862) e le famosissime Wade in the Water (Anonimo, 1860 ca.) e Swing Low Sweet Chariot (1860 ca.), scritta da Wallace Willis. 

Negli anni ‘70 del 1800 un coro di ex schiavi, i Fisk Jubilee Singers della Fisk University di Nashville in Tennessee, attirò l’interesse internazionale per questa forma musicale. Il gruppo fece diversi tour negli Stati Uniti e in Europa, ricevendo una risposta per lo più positiva dalle varie comunità in cui si esibiva e contribuendo a diffondere questa tradizione, fino ad arrivare ai giorni nostri. 

Nel corso della storia, presero piede anche quelli riconosciuti oggi come white Spiritual, che comprendono inni popolari, ballate religiose e le camp-meeting songs (canzoni tipiche delle cerimonie religiose che avvenivano nei campi), diffusosi per lo più nella prima metà del ventesimo secolo negli Stati del Sud. Questo genere condivide con i black Spiritual l’utilizzo di vari simbolismi religiosi e di diversi elementi musicali, come la forma della chiamata e risposta.

Fisk Jubilee Singers

Ma gli elementi tipici dei black Spiritual e del Blues (nato anch’esso nelle comunità di schiavi), come le scale pentatoniche (composte da cinque note) blues con le blue notes (caratteristica melodica e armonica della musica afroamericana), i ritmi sincopati e le tematiche di sofferenza e ricerca di libertà, sono tratti caratteristici che riportano le nostre menti immediatamente ai cori Gospel afroamericani, decisamente più diffusi nell’immaginario internazionale.

Questo, anche grazie al fatto che gli Spiritual e il Gospel hanno avuto un ruolo fondamentale di mezzo di informazione e di protesta nel Movimento dei Diritti Civili nel ventesimo secolo. Molte canzoni del periodo infatti, non sono altro che adattamenti di vecchi Spiritual, come Oh Freedom! (Anonimo, 1861) e Eyes on the Prize (Anonimo, 1949). Ad esempio, la canzone simbolo del movimento, che animava ogni manifestazione, We Shall Overcome (Anonimo, 1950 ca), diventata famosissima anche grazie a una sua interpretazione di Joan Baez al festival di Woodstock nel 1969, è l’unione dell’inno Gospel I’ll Overcome Someday (Charles Albert Tindley, 1901) con lo spiritual I’ll Be Alright (Anonimo, 1850 ca).

 

2. Nascita ed evoluzione del Gospel

Dopo l’abolizione della schiavitù, molte comunità di afroamericani migrarono dalle zone rurali alle città, soprattutto tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo. Così entrarono a contatto anche con le diverse tradizioni musicali cittadine, per lo più di origine europea, e si influenzarono a vicenda. Fu da questa commistione culturale che gli Spiritual assunsero delle nuove sfumature dando origine al Gospel, al Rhythm and Blues e ad altri generi della nuova tradizione americana. 

Il termine Gospel in inglese significa “Vangelo” e le canzoni di questo genere vennero chiamate così proprio perché erano ispirate alla Bibbia e al Vangelo stesso. Questa musica divenne popolare grazie ai cori universitari e ad alcune modifiche musicali che vennero apportate agli Spiritual negli anni ‘30 proprio per renderli più commerciali e aumentarne la diffusione. Infatti, il passaggio dagli Spiritual al Gospel in questo periodo è piuttosto evidente in alcune registrazioni, come ad esempio le versioni dell' Holloway High School Quartet di Murfreesboro in Tennessee dei vecchi Spiritual Old Ship Of Zion (Daniel B. Towner, 1899) e Daniel Saw The Stone (Anonimo, 1907) registrate nel ‘41 e arrangiate a quattro voci, proprio seguendo una caratteristica del nuovo genere. 

Una figura chiave nello sviluppo del Gospel è Thomas A. Dorsey, conosciuto come il Padre del Gospel. Figlio di un Predicatore Battista della Georgia, prima di dedicare la sua carriera allo sviluppo del Gospel a Chicago, era un pianista Jazz e Blues. Questo suo background musicale lo condusse ad aggiungere nelle sue composizioni sacre i ritmi energici e i vocalizzi grezzi tipici della musica profana con cui era cresciuto come musicista.

In questa maniera creò un vero e proprio nuovo genere, definito Gospel Blues. Inizialmente questa nuova musica non venne ben accettata nelle chiese afroamericane, soprattutto dai leader religiosi, che la associavano con disapprovazione al Blues, al Ragtime e al Jazz. Col passare degli anni, molto probabilmente anche grazie a un indebolimento delle vecchie autorità religiose e una maggiore rilevanza delle nuove generazioni, che apprezzavano questo nuovo genere, finì per essere accettato, diventando alla fine degli anni ‘30 una forma di Gospel tradizionale.

Dorsey & Jackson

Il genere continuò la sua evoluzione anche durante gli anni ‘40, dando vita a quattro stili diversi: lo stile tradizionale, che è caratterizzato da brani con un sound piuttosto basilare creati per essere cantati da un coro con qualche improvvisazione; lo stile contemporaneo, che dà invece una maggiore enfasi ai versi cantati dal solista (molti cantanti Gospel contemporanei non sono nemmeno accompagnati da un coro); lo stile praise and worship (lode e adorazione, ndr) è una sorta di combinazione tra lo stile tradizionale e quello contemporaneo, in cui un cantante solista improvvisa le lodi ed è accompagnato da un coro che risponde e guida musicalmente le assemblee in chiesa; il quartet style, caratterizzato da cori composti con poche persone che cantano brani arrangiati con armonie a 4 voci (I know I’ve got religion registrata dai Golden Jubilee Quartet nel 1943 ne è un esempio perfetto). 

Proprio negli anni ‘30 Thomas A. Dorsey iniziò a collaborare con la cantante Mahalia Jackson, cresciuta a contatto con i Gospel e gli Spiritual della chiesa battista della sua infanzia e il Blues di Bessie Smith, grazie ai dischi di sua zia. I due andarono ben oltre le mura delle chiese cristiane e portarono la loro musica sacra nelle strade di Chicago, diffondendo il Gospel prima in tutta la città e poi in tutta la nazione, grazie a numerosi tour. Questo successo li portò a fondare nel 1933, assieme ad altri musicisti pionieri del genere, la National Convention of Gospel Choirs and Choruses, un’associazione che tutt’ora si occupa di preservare e promuovere la musica e lo spirito Gospel

Un brano molto famoso del duetto è Take My Hand, Precious Lord, interpretato dalla Jackson nel 1956 e composto da Dorsey dopo la morte della moglie e del figlio neonato, a seguito di alcune complicanze del parto, nell’agosto del 1932.

 

3. Diffusione popolare e Christmas Carol

Anche se la famosissima Aretha Franklin introdusse il Gospel nelle classifiche pop con Think nel 1968, la maggiore diffusione del genere, inteso come musica sacra, la si deve agli Edwin Hawking Singers, un coro Gospel misto proveniente da San Francisco. La loro registrazione di Oh Happy Day! del 1969, canzone basata su un inno religioso del diciottesimo secolo, vendette milioni di copie in due mesi e vinse ben 4 Grammy Awards

Da allora molti altri artisti sono emersi, portando il Gospel ben oltre l’originale significato di canzone del Vangelo e musica della chiesa afroamericana. Oggi abbiamo ogni tipo di assetto vocale che interpreta questo genere musicale, dai cori molto numerosi ai solisti, e si utilizza anche ogni tipo di strumento, spaziando dai sintetizzatori alle orchestre sinfoniche. Esempio cardine di questa evoluzione contemporanea del genere è Amazing Grace registrata da Marion Williams nel 1992, oltre alla produzione di artisti che oggi fanno parte delle classifiche internazionali, come le già citate Sister Rosetta Tharpe, Aretha Franklin e Joan Baez, ma anche Sam Cook e Marvin Gaye, Johnny Cash, Bob Dylan, fino ad arrivare a Whitney Houston, Mariah Carey, Beyoncé e Michael Bublé. Tutti artisti che hanno contribuito alla diffusione del Gospel nel mondo, ponendosi come un piccolo assaggio di un genere che nasconde una storia molto lunga e intensa.

Gospel Choir

Non si può negare che il Gospel sia diventato sempre più popolare e commerciale, proprio grazie alla notorietà internazionale di queste stelle della musica e per questo motivo ha dovuto saper rispondere adeguatamente alle richieste del pubblico. Sarà per le ritmiche energiche e sincopate tenute spesso dal battito delle mani, sarà per le blue notes che vanno a influenzare le armonie e le melodie, ma gli incassi registrati dalla vendita di musica di questo genere dimostrano che molta gente lo apprezza e si aspetta brani Gospel ad accompagnare i festeggiamenti più tipici: dal Saint Patrck’s Day al "4 Luglio"; dall’insediamento del presidente (con Barack Obama ci fu Aretha Franklin a cantare Amazing Grace, ndr) fino all’apice del periodo natalizio (data anche la sua origine sacra). Il Gospel è un genere che fa parte della musica tradizionale degli Stati Uniti a tutti gli effetti e, nonostante la sua associazione con il Natale appaia così naturale, soprattutto a noi europei, non viene cantato solo in questo periodo.

Da Sister Rosetta Tharpe con la sua versione di Silent Night del ‘39, molti cantanti Gospel, o comunque artisti molto influenzati dal genere, hanno interpretato negli anni vari Christmas Carol, cioè i canti natalizi della tradizione (per lo più di origine europea), a volte anche creandone di nuovi. Basti pensare banalmente a Michael Bublé e alla sua versione del 2003 di White Christmas (Irvin Berlin, 1940) e a Mariah Carey e alla sua famosissima All I Want for Christmas is You (1994), in cui entrambi sono accompagnati da tradizionali cori Gospel. Sono entrambi artisti che hanno dedicato album interi al tema natalizio e che per questo hanno anche dato una certa impronta alla loro carriera. Nel periodo natalizio capita più volte di ascoltare uno di questi due pezzi come sigla di qualche pubblicità e, anche se non sono effettivamente Gospel nel senso più stretto, ne sono profondamente influenzati, creando nell’immaginario internazionale questa forte associazione. A contribuire poi all’unione popolare e commerciale del Gospel e del Natale ci sono stati anche molti film natalizi americani, con annessa celebrazione cristiana (ma non troppo), accompagnata sempre da un coro Gospel che canta qualche Christmas Carol in maniera molto
coinvolgente.

A seconda dei gusti, ad oggi i Gospel di Natale sono molto diffusi ed è difficile trovare playlist musicali natalizie che non ne contengano: una musica accattivante, coinvolgente, allegra ma che che affonda le sue radici nella ricerca della libertà dalle sofferenze, nell’emancipazione e nell’affermazione della propria indipendenza, come singolo e come comunità.

 

4. Bibliografia e sitografia

African American Gospel | Library of Congress, loc.gov (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

African American Spirituals | Library of Congress, loc.gov (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

"Follow the Drinking Gourd": A Cultural Historyfollowthedrinkinggourd.org (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

“Gospel Songs” workshop (Febbraio 2012) , Giulia Matteucci

Harriet Tubman, womenshistory.org (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Mahalia Jackson: la voce del gospel moderno - Musica Jazz, musicajazz.it (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Merging Gospel and Christmas Music, npr.org (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

pancocojams: "In That Great Gettin' Up Mornin' (Spiritual lyrics, information, and video) pancojams.blogspot.org (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Slave Songs of the United States, web.archive.com (data di ultima consultazione: 30/08/2021)

Thomas A. Dorsey | Songwriters Hall of Fame, songhall.org (data di ultima consultazione: 30/08/2021)