Maria Antonietta Bertacco
Il 31 dicembre del 1948 nasceva Donna Summer, la regina della musica disco, che negli anni ‘70 raggiunse la fama mondiale. Era dotata di enorme carisma e potenza vocale, per i quali definirla solo ‘Queen of Disco’ è quasi sminuente. Summer fu anche una grande sperimentatrice sonora, che legò indissolubilmente il proprio nome al genio di Giorgio Moroder, produttore considerato da tutto il mondo il “padre della disco”.
Nata a Boston con il nome di LaDonna Adrian Gaines, spiccò per il proprio talento vocale già dalle sue esibizioni nel coro della chiesa, quando aveva solo otto anni. Nel 1968 si trasferì in Germania, dove venne scritturata per cantare nella versione tedesca del musical Hair. Qui incontrò il suo primo marito, Helmut Sommer, con il quale ebbe la sua primogenita Mimi e da cui prese il nome, inglesizzandolo in Summer. Diventò in questi anni modella e vocalist, con una voce pazzesca e una grande presenza scenica.
Giorgio Moroder, invece, aveva iniziato a fare musica nella sua Ortisei, in Trentino Alto Adige, dove era nato nel 1940. Lì aveva cominciato suonando il basso per poi intraprendere la carriera da deejay. Girò l’Europa fino al trasferimento a Berlino, che negli anni ‘60 e ‘70 era la culla artistica della controcultura europea. In Germania, Moroder si innamorò della musica elettronica e della sua sperimentazione, trovò la sua dimensione e cominciò a scrivere brani.
Nel 1971 si spostò a Monaco, dove aprì il suo studio di registrazione. Lo stesso dove tre anni più tardi incontrò colei che sarebbe diventata la ‘Queen of Disco’. A presentargliela fu il suo braccio destro, Pete Bellotte. Moroder ascoltò la sua voce e, dopo essersi ripreso dallo shock, era già lì a pensare all’album che le avrebbe prodotto. Nel 1974, dalla loro collaborazione nacque il loro primo successo europeo “The Hostage” incluso nell’album Lady of the Night.
Un anno dopo uscì il singolo “Love to love you Baby” (1975), scritto da Bellotte e musicato da Moroder. La voce sensuale di Summer accompagna l’ascoltatore lungo 17 minuti (un tempo record voluto fortemente da Neil Bogart, l’allora direttore della Casablanca Record), destinati a far ballare il mondo intero.
Il brano venne considerato dalla critica del tempo troppo spinto e addirittura il Time Magazine di allora si mise a contare il numero di orgasmi simulati dalla cantante (ben 23) all’interno del brano, tra un vocalizzo e un altro. Questo non fermò il successo del brano, che arrivò nelle discoteche di tutto il mondo e trascinò l’album ai vertici delle classifiche, consacrando la Summer come ‘Queen of Disco’.
Quel sound conteneva già, seppur in fase embrionale, una piccola rivoluzione sonora che sarebbe arrivata a essere determinante ed esplosiva pochi anni più tardi con “I Feel Love” (1977).
Quando Donna Summer irruppe sulla scena, la disco era uno stile e un modello di vita, oltre a essere musica. Mancavano però un volto, un personaggio e una voce carismatica per cullarsi su quelle ondeggianti canzoni in 4/4. Lei fu la definitiva consacrazione del genere e la dimostrazione che la disco non si limitava a sfornare singoli scala-classifiche, ma aveva un potenziale enorme negli album.
Incoronata sovrana di questo genere, dominante per tutta la seconda metà degli anni ’70, l’ineguagliabile ‘Queen of Disco’ trascendeva giudizi superficiali e barriere sonore. Valorizzò la pista da ballo come territorio di confronto e lotta per tutte le minoranze etniche e sociali. Afroamericani, emigrati, omosessuali ed emarginati scoprirono, grazie alla sua musica sensuale e travolgente, una nuova forza catartica di liberazione e riscatto.
Infatti, con il boom commerciale del genere musicale, si diceva che la disco fosse nata dal nulla, come una sorta di prodotto artificiale creato in studi di registrazione da freddi e tecnologici produttori. Niente di più lontano dalla realtà.
I rituali della ‘Saturday Night Life’ in realtà iniziarono in Ghana addirittura nel 1957, con la popolazione che aveva suonato e ballato in strada per celebrare l’indipendenza dall’Inghilterra. Quella musica aveva un ritmo sincopato ed essenziale originato alla fine dell’800, che ritroveremo nel jazz africano e nello swing americano, generi nati per essere prima di tutto ballati.
La Motown, la Stax e la Philadelphia Records hanno fatto il resto con i loro beat pulsanti ed energici caratterizzati da batterie e bassi pompatissimi. Quei suoni black, in un periodo di rivoluzioni sociali a cavallo tra i ’60 e i ’70, rappresentarono una spinta propulsiva e aggregante: i primi luoghi dove gli afroamericani si riunivano erano i dance club o i café, dove si socializzava ballando davanti al juke-box e, contemporaneamente, si costruivano alternative socio-politiche. La disco music è nata proprio come naturale evoluzione di tutto ciò, un fenomeno underground delle minoranze, inizialmente chiamato afro-rock.
Ma c’è di più. Ponendo al centro dei suoi primi successi l’eros al femminile, Donna Summer fece da caposcuola per le generazioni di cantanti che susseguirono dagli anni ’80 fino ai giorni nostri, come Madonna, Janet Jackson, Kylie Minogue, per non parlare di Rhianna, Beyoncé, Lady Gaga, fino a Dua Lipa. Attraverso un repertorio del tutto all’avanguardia, di cui per la maggior parte era anche autrice, la bella e affascinante cantante inaugurò quel processo di parità di sessi in cui era la donna a diventare soggetto, non senza attirarsi avversità e biasimi.
Pubblicato nel luglio del 1977, "I Feel Love" fu un successo globale, raggiungendo il primo posto nelle classifiche di tutto il mondo. Il suo impatto però andò ben oltre la scena disco, in cui la cantante e i suoi produttori erano già ben affermati. I gruppi post-punk e new wave ammirarono e si appropriarono del suono innovativo e della precisione maniacale del suo groove di pulsazioni sintetizzate.
Ispirato dal romanzo a episodi di Anthony Powell, A Dance to The Music Of Time (1951-1975), Bellotte propose che ogni canzone di I Remember Yesterday (1977), l’album di cui faceva parte il brano, avrebbe dovuto evocare il sound di un decennio diverso del ‘900. La musica disco venne quindi declinata in diversi modi all’interno dell’opera: dallo swing degli anni '40 all'era hippie degli anni '60, dal funk degli anni '70 alla disco contemporanea e così via. Invece il concetto per la traccia finale, "I Feel love", guardava oltre, verso il futuro.
Per dare maggior enfasi possibile al brano di chiusura, Moroder e Bellotte decisero di sondare un nuovo terreno. La canzone avrebbe dovuto avere un suono del tutto originale e concludere il concept album con un assaggio della musica dance del futuro. Per intraprendere un'impresa del genere, decisero di produrre l'intera canzone utilizzando solo un sintetizzatore Moog Modular 3P. L'unico problema era che non ne avevano uno.
Fortunatamente, il compositore classico Eberhard Schoener, amico del produttore, aveva il sintetizzatore giusto e poiché il Moog era notoriamente complicato, avevano anche bisogno di assumere l'ingegnere di Schoener, Robby Wedel, in una sorta di pacchetto. Infatti Moroder ammise all'epoca: "Avevo bisogno di lui perché, anche se ne avessi posseduto uno, non sarei stato in grado di ricavarne alcun suono".
Il testo avrebbe dovuto essere scritto da Summer e Bellotte, su richiesta della stessa cantante, affascinata dall’interessante progetto. Quindi una sera, dopo aver terminato le musiche con Moroder, Pete andò a casa di Donna. La cantante era però al telefono e così lui decise di mettersi a lavoro nel frattempo. Dopo aver aspettato tre ore e con il testo a quel punto completo, la vide arrivare scusandosi per il contrattempo. A quanto pare stava parlando al telefono con il suo astrologo di New York riguardo alla sua relazione sentimentale. Nonostante ciò, dopo aver familiarizzato con il testo, la Summer si presentò in studio di registrazione e incise le tracce vocali del brano in un solo take, come l’artista era solita fare secondo diverse testimonianze. Nonostante non fosse coinvolta nella produzione del brano, riuscì comunque a influenzarlo profondamente della sua personalità e del suo carisma attraverso la sola voce.
L'uso massiccio dei sintetizzatori era ancora poco diffuso nel 1977 e “I Feel Love” aprì, dall'apice del suo clamoroso successo, le porte all'uso della musica elettronica, influenzando altri artisti e permettendo l'evoluzione del pop e della musica dance nei decenni successivi.
La critica dovette riconoscere l'importanza della canzone, stupendosi di come la musica disco potesse essere qualcosa di più che semplice musica da dancefloor. Poco tempo dopo, il produttore Brian Eno, entrando nell'Hansa Studio di Berlino, dove era impegnato con David Bowie per realizzare la ‘Trilogia di Berlino’, aveva tra le mani I Remember Yesterday. Dopo aver ascoltato l’ultima traccia fermò tutto e disse: “Ecco, non cercate oltre. Questo singolo cambierà il sound della musica per i prossimi 15 anni”. Anche il Duca stesso definì il brano “la musica del futuro”.
“I Feel Love” mise in ombra le altre tracce dell'album, sorprendendo lo stesso Moroder per l'enorme impatto. Soprattutto perché il brano era basato interamente sull'assenza dell'orchestra, che invece era stato il marchio di fabbrica della musica disco fino a quel momento.
Forte di questo successo, Donna Summer venne scelta per recitare nella pellicola Thank God It’s Friday (1978). Per questo film incise ben tre brani e con uno di questi, “Last Dance” (1978), vinse numerosi premi, tra cui un Oscar per la Miglior canzone originale.
Con Bad Girls del 1979 l’artista si avvicinò anche al mondo del rock e del funky, senza però ripudiare le sue radici disco. Grazie soprattutto al singolo “Hot Stuff” (1979), questo diverrà il suo album di maggior successo commerciale, con oltre 11 milioni di copie vendute e un Grammy, vinto per la prima volta da un artista di colore.
Nel 1980 l’artista prese una decisione che influenzò molto il prosieguo della sua carriera. Dopo No More Tears - Enough Is Enough (1979) con Barbra Streisand è la volta degli ultimi due dischi con Moroder e Bellotte. Ovvero con la new wave post-disco di The Wanderer (1980) e I‘m a Rainbow (1996) che, se il discografico David Geffen all’epoca non avesse scriteriatamente bloccato, sarebbe diventato l’album-manifesto di Donna Summer (pubblicato ben 16 anni più tardi). La title track che da il nome all’album significa “sono un arcobaleno”, a indicare proprio la grande versatilità dell’artista, ed era stata composta a pennello per lei da Bruce Sudano, suo coniuge dall’80 fino alla fine dei suoi giorni, dal quale ebbe altre due figlie. La cantante era passata quindi dalla Casablanca alla Geffen Records e fu costretta ad abbandonare il suo storico collaboratore Giorgio Moroder, per passare tra le mani del più affermato Quincy Jones.
Da questo momento in poi, dopo un paio di altri brani di successo, la sua carriera subì una brusca frenata, complice anche un caso mediatico scatenato da alcune dichiarazioni false attribuitele. Infatti, fu accusata di aver pronunciato alcune parole di disprezzo verso la comunità gay: “L’Aids è il castigo divino per i peccati degli omosessuali”. Probabilmente, le illazioni nacquero proprio a causa del grande successo che la musica dell’artista aveva nella comunità LGBT. Lei negò sempre con forza di aver pronunciato quella frase e divenne un’attivista d’assalto della Gay Men’s Health Crisis. Di fatto, comunque, la fase migliore della sua vita artistica era ormai alle spalle. Tra gli anni ‘90 e i 2000 pubblicò altri tre album, ottenendo un discreto successo di critica ma senza riuscire a replicare il boom commerciale del passato.
Il 17 maggio 2012 Donna Summer è venuta a mancare all’età di 63 anni, nella sua casa di Naples in Florida, a causa di un cancro ai polmoni. Gli ultimi anni di Donna furono davvero difficili: oltre alla lotta contro la malattia, c’era un profondo senso di persecuzione che l’accompagnava. Lei credeva fermamente di aver contratto il cancro ai polmoni dopo il crollo delle Torri Gemelle, le cui polveri sottili uccisero comunque un migliaio di persone. Summer abitava all’epoca a poche centinaia di metri da Ground Zero e dopo l’11 settembre si rifugiò nella preghiera, girando sempre con uno spray disinfettante per purificare l’aria che respirava.
Il suo ricordo, energico e sensuale, resterà comunque indelebile nei tanti dischi e nella Rock and Roll Hall of Fame, che l’ha accolta purtroppo solo nel 2013, un anno dopo la sua scomparsa.
Una voce potente e poliedrica come poche nel panorama musicale. Nell’arco di quasi quattro decenni la superstar afroamericana originaria di Boston ha venduto qualcosa come 150 milioni di dischi. Ha vinto cinque Grammy, un Oscar, ottenendo una valanga di premi, dischi d’oro e di platino in ogni parte del globo. Una vera diva della musica. Tuttavia, proprio perché al top delle vendite, venne tacciata frettolosamente dalla stampa dell’epoca come fenomeno effimero e puramente commerciale, alla stregua del tanto screditato sound da lei reso iconico: la ‘Disco Music’.
Basta pregiudizi, la disco music ha cambiato il mondo, in meglio, su rollingstone.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
Donna Summer: 10 anni senza di lei, ma rimane ancora la regina della disco (e non solo), su billboard.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
Donna Summer, arcobaleno Dance, su ilmanifesto.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
Donna Summer, la Regina della Disco - Radio Capital, su capital.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
Giorgio Moroder e il brano che secondo Bowie ha inventato “il suono del futuro”, su bnpparibas.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
How Donna Summer and Giorgio Moroder made ‘I Feel Love’, su faroutmagazine.co.uk (data ultima consultazione 24/12/2022)
In memoria di Donna Summer, la Regina della disco music, su notiziemusica.it (data ultima consultazione 24/12/2022)
I feel love: Donna Summer and Giorgio Moroder created the template for dance music as we know it, su mixmag.net (data ultima consultazione 24/12/2022)
I Feel Love: when Giorgio Moroder and Donna Summer wrote the future, su auralcrave.com (data ultima consultazione 24/12/2022)
The Story of Donna Summer and Giorgio Moroder’s “I Feel Love”, pitchfork.com (data ultima consultazione 24/12/2022)