"Moving the Mountain": influenze culturali e ideologiche nell’utopia di Charlotte Perkins Gilman

Francesca Corsetti

Charlotte Perkins Gilman, oggi conosciuta soprattutto per il racconto La carta da parati gialla, è stata una figura intellettuale di spicco del femminismo nordamericano di primo Novecento. Sebbene oggi riconosciamo il suo ruolo di teorica e fondatrice del femminismo, Gilman ha sempre preferito l’appellativo di “umanista”, che per lei esprimeva qualcuno intento a valorizzare la vita umana e favorirne lo sviluppo. Il suo interesse per la questione femminile è nato dalla constatazione che il ruolo limitato delle donne nella società ostacolasse il progresso umano. Gilman adotta quindi un approccio umanista al femminismo, basato sull’affermazione che la donna è, per natura, umana e quindi autonoma. Moving the Mountain, il suo primo romanzo utopico, mostra i cambiamenti socioculturali derivanti dal “risveglio sociale delle donne di tutto il mondo”, che è il modo in cui Gilman definì il femminismo nel suo articolo "What is 'Feminism'?" sul The Atlanta Constitution.

 

 

1. Dal femminismo eugenico all'eugenetica femminista

2. Moving the Mountain: prefazione e trama

3. Temi e interpretazioni: socialismo, religione ed eutenica

4. Fonti

 

 

1. Dal femminismo eugenico all’eugenetica femminista

Negli ultimi decenni, l'opera di Charlotte Perkins Gilman è stata oggetto di rivalutazione grazie a una serie di studi che hanno esplorato le radici ideologiche del femminismo della prima ondata. Questa riscoperta è stata possibile grazie a un articolo del 1956 di Carl Degler, pubblicato sulla rivista American Quarterly, che ha spinto gli studiosi ad adottare un approccio innovativo alla figura della Gilman per evitare descrizioni semplicistiche, focalizzandosi invece sulla complessità del femminismo di Gilman nei suoi termini storici

Nell’articolo, Degler spiega che, per Gilman, l'assoggettamento delle donne ha avuto origine nella preistoria, quando le donne sono state relegate unicamente alla condizione di madre e gli uomini hanno monopolizzato le attività sociali. Per questo motivo, le donne dovevano dipendere dagli uomini per tutto ciò di cui avevano bisogno, dal cibo al posto dove vivere. Ciò ha comportato, essenzialmente, lo sviluppo di una disparità in termini di status economico, dove gli uomini sono i produttori e distributori di risorse, mentre le donne sono le destinatarie. Questa dicotomia tra i sessi, iniziata ai primordi della società umana, è arrivata fino ai tempi moderni, finendo per creare una cultura androcentrica. La riduzione della donna a ruoli connessi solo all'attività sessuale è, secondo Gilman (1956:23), “svantaggiosa per il nostro progresso come individui e come razza”: un giudizio, questo, che si inserisce in una discussione più ampia che lega femminismo ed eugenetica.

L'eugenetica è un insieme molto controverso di credenze e pratiche che mirano a migliorare la qualità genetica di una popolazione umana, individuando e favorendo i caratteri ereditari positivi, o eugenici, e sfavorendo quelli negativi, o disgenici. L’eugenetica è stata considerata una seria disciplina scientifica, perseguita sia da biologi che da sociologi all'inizio del Novecento. 

Il periodo coincide negli Stati Uniti con l’Era Progressista, un momento storico in cui si diffonde un entusiasmo generale per le risposte scientifiche ai problemi sociali. In quegli anni, la retorica del movimento femminista era comunemente vista come disgenica. Si era invece diffuso il cosiddetto femminismo eugenico (termine coniato da Caleb Saleeby, in una strategia retorica alquanto ingannevole), che voleva comunque rilegare la donna unicamente alla maternità e all’allevamento dei figli. 

Per una completa emancipazione della donna e il miglioramento della razza, Charlotte Perkins Gilman riteneva che fossero fondamentali le libertà sessuale ed economica, la necessità riproduttiva e la disciplina eugenica. Gilman sosteneva che il raggiungimento dell’uguaglianza delle donne avrebbe avuto un impatto sulla scienza eugenica, e non viceversa, teorizzando un'ideologia specifica di eugenetica femminista che distingue l'allevamento dei figli dalla maternità. Questo dimostra che in passato, il femminismo e l'eugenetica non erano solo compatibili ma erano anche strettamente legati l'uno all'altra. 

La sua proposta di un'eugenetica femminista prevedeva che le donne avrebbero agito come esperte scientifiche incaricate di pianificare il progresso evolutivo della comunità, separando la riproduzione dalla maternità ed esaminando i comportamenti e le qualità disgeniche degli uomini.

L'argomentazione di Gilman si basa proprio sul dimostrare come le donne, più propriamente madri (come gli altri eugenisti, Gilman definiva le donne in termini di responsabilità riproduttive, ndr.), avrebbero fatto progredire la “razza” senza trascendere i loro ruoli tradizionali di mogli e madri, ma migliorandoli con l’aiuto della scienza. Le donne erano considerate, infatti, responsabili del miglioramento dell’intera specie, in una prospettiva decisamente più elevata rispetto a quella limitatamente ai propri figli.

L'eugenetica viene quindi usata per cambiare il modo in cui le donne (soprattutto bianche) sono considerate nella società. In questo caso, la maternità permetteva alle donne di lottare per avere il controllo sui loro corpi e sul loro futuro: in altre parole, questa diventa una fonte di potere e di visibilità sociale per le donne, un ulteriore stimolo ad assumere ruoli al di fuori della famiglia.

Per l’autrice, il nucleo familiare incentrato sulla figura materna e la conseguente vita domestica erano un ostacolo considerevole all'occupazione femminile. "Solo quando viviamo, pensiamo, sentiamo e lavoriamo fuori casa, diventiamo umanamente sviluppati, civilizzati e socializzati", scriveva Gilman (2011:126). Infatti, l’autrice promuoveva l'idea che le donne dovessero lavorare fuori casa, sia che si tratti di donne sole, mogli e madri: un concetto non del tutto nuovo all'epoca, dato che con il progresso economico, urbano e tecnologico molte donne stavano già entrando nel mondo del lavoro.

Con questo, Gilman non pensava che tutte le donne dovessero rinunciare completamente alla cura della casa, perché riconosceva l’utilità e la dignità della professione. Tuttavia, criticava l'aspettativa e convinzione che tutte le donne dovessero essere confinate ai doveri domestici. Pertanto, la scrittrice rivolgeva le sue critiche a questa istituzione, proponendo un programma di riforme sociali e soluzioni pratiche. L’affidamento dei figli a figure professionali, l’innalzamento della qualità del cibo, l’allenamento fisico per le donne (al fine di avere figli in forze e in salute, secondo la teoria dell’evoluzione Lamarckiana) e perfino l’esclusione delle cucine dalle nuove case (in modo da renderle un luogo di riposo tanto per la moglie quanto per il marito), sono solo alcune riforme proposte da Gilman il cui filo conduttore è la creazione di una società eugenicamente adeguata

Tuttavia, come afferma Degler (1956:33):

 

“immaginando che tutti gli uomini fossero razionali come lei, Gilman non indicò nessun altro motore sociale per la realizzazione di una rivoluzione domestica così imponente, se non la sua desiderabilità. Questo aspetto del suo pensiero, forse più di ogni altro, si tinge irrimediabilmente di utopismo

 

Ed è proprio l’utopismo alla base del romanzo Moving the Mountain (1911), pubblicato in italiano solo nel 2021 con il titolo Muoviamo le Montagne. Pubblicato originariamente a puntate sul periodico The Forerunner fondato dalla stessa Gilman e successivamente raccolto in un libro nel 1911, questo romanzo è il primo capitolo della trilogia utopica di Gilman, seguito dal più noto Herland del 1915 e da With Her in Ourland del 1916. 

 

2. Moving the Mountain: prefazione e trama 

Sin dalla prefazione Gilman colloca la sua opera nel filone dell'utopia, tracciando una continuità con quelle menti che già prima di lei erano desiderose di intravedere possibilità migliori e che hanno messo per iscritto le loro visioni del mondo: dalla ben più lontana Repubblica di Platone a In the Days of the Comet di H. G. Wells pubblicato nel 1906. Tra questi, il testo di maggiore influenza sulla Gilman è rappresentato da Looking Backward: 2000-1887 di Matthew Bellamy. Tuttavia, queste opere si differenziano da Moving the Mountain per la grande distanza temporale o per l’introduzione di una misteriosa forza esterna.

Moving the Mountain è infatti “un’utopia bambina”, spiega Gilman (1911:6), perché la storia si svolge appena trent'anni dopo l'epoca in cui è stata scritta: il rapido cambiamento radicale della società è, in effetti, una caratteristica dell’utopismo femminista della scrittrice. Infine, in Moving the Mountain, la riforma sociale richiede solo un cambiamento di mentalità. Non c’è alcuna interferenza esterna, ma un risveglio delle proprie coscienze alle possibilità esistenti

In questa storia, quindi, l’autrice si domanda quali sarebbero le conseguenze se le donne fossero riconosciute come pari agli uomini, come e se potrebbe cambiare la società, rispondendo attraverso il suo programma di eugenetica femminista.

 La storia comincia in un grigio altopiano del Tibet. Qui, John Robertson, partito a soli venticinque anni in un’avventurosa spedizione in Asia, viene ritrovato a trent’anni dalla sua scomparsa dalla sorella Nellie, la quale lo riporta a casa – ormai cinquantacinquenne – negli Stati Uniti degli anni Quaranta: un paese molto diverso da come lo ricordava. 

Dopo l’incontro iniziale osservato dall'esterno, la storia assume il punto di vista del protagonista, che viene istruito dai familiari sul nuovo ordine sociale, e attraverso il quale il lettore stesso viene guidato alla scoperta della nuova società. 

Adattarsi al cambiamento, per John Robertson, si rivela tutt’altro che semplice: è sconcertato dalle novità, in particolare da quelle che riguardano la posizione sociale delle donne. Le uniche persone che sono rimaste alle vecchie abitudini sono i suoi zii e sua cugina Drusilla, che la gente va a visitare come se fossero reperti storici e John Robertson è tentato di vivere nella fattoria dello zio, dove può fingere che il mondo sia rimasto quello di una volta

Tuttavia, è soltanto dopo aver visto la fattoria e aver incontrato sua cugina Drusilla che Robertson ricorda le ingiustizie subite dalle donne nel vecchio sistema. Decide quindi di sposarla e portarla via dalla fattoria, lasciandole scoprire la nuova struttura sociale. Dopo aver visto gli effetti del nuovo sistema su Drusilla, Robertson si convince pienamente che le riforme istituite in sua assenza siano state benefiche.

 

3. Temi e interpretazioni: socialismo, religione ed eutenica 

Nel corso dei secoli si è radicata nel pensiero occidentale la concezione di donna in una posizione subordinata e dipendente dall’uomo, spesso avallata dalla religione sulla base della legge naturale e della volontà divinaLa profonda dedizione di Gilman alla riforma religiosa è meno evidente. Il suo approccio, che univa idee sacre e laiche, si poneva l’obiettivo di riscrivere e reinterpretare sia la narrazione evolutiva della biologia, che la storia della Genesi, al fine di educare gli altri sull'uso corretto del sesso e del corpo femminile, e sulle relazioni tra i sessi sulla base di fatti empirici

A questo proposito, Gilman sosteneva che la fede e l’obbedienza dogmatica come virtù religiose primarie causassero danni inestimabili alla società poiché ostacolavano il pensiero critico. La religione, per Gilman (1911:5), doveva servire alla società per spiegare il senso della vita, per orientare i sentimenti e i comportamenti in modo costruttivo:

 

“Questa tendenza naturale a sperare, desiderare, progettare e poi, se possibile, ottenere, è stata ampiamente distolta dall'utilità umana da quando il nostro obiettivo è stato posto dopo la morte, in Paradiso. Con tutta la nostra speranza in un “Altro Mondo", abbiamo in gran parte perso la speranza in questo”. 


L’ultima notizia di cui John Robertson era a conoscenza prima della partenza per il Tibet era che un’altra religione era comparsa e stava dilagando nel paese, adottata prontamente dalle donne. Questa dottrina viene chiamata “Vivere” o “Vita” ed è un sorta di servizio pubblico e sociale. Non guarda alla buona condotta come una questione personale, ma come base per il benessere collettivo. Si fonda, infatti, sulla consapevolezza del rapporto tra gli interessi dell'individuo e quelli della comunità.

Per quanto concerne il panorama politico, la pubblicazione di Looking Backward 1887-2000 ha portato a una grande diffusione del Movimento Nazionalista che aspirava a realizzare le idee proposte da Bellamy nella sua utopia. L’influenza di Looking Backward si può attribuire in parte alla terminologia di Bellamy, perchè nonostante il Nazionalismo fosse una forma di socialismo, il suo vocabolario aveva una connotazione più accettabile per gli americani. 

La stessa Gilman è stata apertamente e attivamente sostenitrice del movimento per circa tre anni: è dunque ragionevole pensare che Moving the Mountain sia una risposta alle idee di Bellamy. 

L’obiettivo del movimento era quello di nazionalizzare gradualmente la produzione e la distribuzione, al fine di creare una società in cui la competizione economica fosse sostituita dalla cooperazione, e dunque di porre fine al capitalismo a favore del collettivismo. Inoltre, Bellamy rifiutava la concezione Marxista della violenza e lotta di classe: un’idea adottata e riproposta da Gilman nella sua utopia. 

Nella storia, la nuova società americana aveva adottato il Socialismo vent’anni prima dei fatti narrati, mentre al momento della narrazione sono già oltre il Socialismo. Questo perché, dopotutto, la visione di Gilman si estendeva oltre quella di Bellamy. Sebbene le donne non siano più economicamente dipendenti dagli uomini, Looking Backward presenta soprattutto donne in quanto madri, limitandone le altre attività. Gilman, d’altro canto, non si focalizzava tanto sulla nazionalizzazione e distribuzione delle risorse, quanto sulla totale partecipazione delle donne alla sfera pubblica, economica e politica. La differenza principale, dopotutto, stava nell’approccio alla riforma: secondo Bellamy, il partito nazionale era l'unico gruppo chiaramente distinguibile, responsabile del rovesciamento del vecchio sistema nell’interesse di tutti; dunque, non si interessava specificatamente ai problemi delle donne, ma l’emancipazione rappresentava una conseguenza successiva al cambiamento. Gilman, invece, poneva alla base della riforma l’emancipazione delle donne che, in quanto categoria sociale distinta, dovevano giocare un ruolo fondamentale nello stabilire un nuovo ordine sociale.

Nel terzo capitolo apprendiamo del “Problema dell’Immigrazione”. Come fa notare Eleonora Federici (2021:11-12) nell’introduzione all’edizione italiana: 

 

“Gilman non era una donna dalla mentalità aperta per quanto riguarda la razza, aveva una profonda diffidenza verso chi non era anglosassone e credeva che le comunità di afroamericani e di immigrati da vari paesi verso gli Stati Uniti riportassero l’intera società indietro a una cultura primitiva e maschilista. […] chi non è wasp (bianco, anglosassone, protestante) deve essere contenuto, perfino controllato e una delle vie per poter fare questo è l’eugenetica di cui l’autrice era grande sostenitrice.

 

Gilman scrive che la nuova società ha capito che la reintegrazione dei popoli non si poteva fermare, ma poteva essere agevolata e indirizzata in modo benefico. Introduce, quindi, la cosiddetta “Socializzazione Forzata” che prevede che nessun immigrato sia lasciato libero nella comunità fino a che non viene istruito a una maggiore efficienza e non sia in grado di soddisfare un certo standard.

Questo ci permette di introdurre un ultimo tema che lega la “Socializzazione Forzata” all’ambiente. Nella società eugeneticamente adeguata a cui aspirava l’autrice, una componente fondamentale era l’eutenica, che mirava a migliorare l'efficienza umana attraverso la modifica delle condizioni ambientali di salute della società. 

Nello specifico, il termine "eutenica" è stato proposto da Ellen Swallow Richards per promuovere la salvaguardia dell'ambiente insieme alla purificazione della “razza” americana. Non è un caso che i due termini si somiglino, perché anche Richards sosteneva l’eugenetica, ma riteneva che essa richiedesse molte generazioni per avere effetto. Infatti, nella sua opera Euthenics: the science of controllable environment (1910), Richards scrisse che l'eugenetica si occupa del miglioramento della razza attraverso l'ereditarietà. L'eutenica, invece, si occupa del miglioramento della razza attraverso l'ambiente e precede l'eugenetica, sviluppando uomini migliori ora e contribuendo a una razza di uomini migliore in futuro. Eutenica è il termine proposto per la scienza preliminare su cui deve basarsi l'eugenetica. La teoria non prese piede e venne racchiusa nel termine eugenetica, ma Richards la propose come alternativa dall’effetto immediato.

Per quanto non ci sia stata una corrispondenza diretta tra Gilman e Richards, è evidente che le due operassero nello stesso ambito. La consapevolezza di un legame tra la purezza dell’ambiente e la purezza della razza si espresse con la promozione della salute pubblica e l'affermarsi della conservazione ambientale. Infatti, entrambe richiedono la capacità di comprendere la nozione alla base dell’ecologia, cioè che l’essere umano influenza l’ambiente, essendone a sua volta influenzato. 

Oggi vediamo l’eugenetica-eutenica e la conservazione ambientale come due visioni totalmente inconciliabili, ma quando si comprese che gli esseri umani e il loro ambiente sono interconnessi, si generò una profonda apprensione nel tentativo di ripulire e proteggere l’ambiente — inteso anche come i confini della casa, del corpo e della nazione, quindi anche la propria whiteness e la purezza della “razza” americana. 

A ogni modo, una componente prettamente ambientalista è comunque presente nella storia, dove Gilman immagina un continuo progresso nel campo dell’agricoltura e una ritrovata consapevolezza dei vantaggi della coltivazione degli alberi: da un lato per il ritorno economico e per un efficientamento degli spazi destinati all’agricoltura, dall’altro per la salute ambientale

Moving the Mountain si presenta quindi come una storia ricca di riferimenti a teorie, studi e correnti in ogni ambito. Con la sua struttura prevalentemente dialogica, al tempo della prima pubblicazione, il romanzo mirava più a istruire il pubblico, piuttosto che a narrare una storia, e fu proprio per questo di meno successo rispetto ad altre opere di Charlotte Perkins Gilman. Tuttavia, nonostante fosse proiettato nel futuro, è un testo che parlava al suo tempo, e che oggi ci permette di comprendere i problemi della società americana del primo Novecento, oltre che le soluzioni immaginate dalle menti più brillanti e influenti del tempo. 

 

4. Fonti

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Perkins Gilman, Charlotte. Muoviamo le Montagne. Tradotto da Beatrice Gnassi, le plurali editrice, 2021. 

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