Il perturbante in "The Servant", tra lotta di classe e politica anticolonialista

Francesca Corsetti

Presentato per la prima volta il 14 novembre 1963 al Warner Theatre di Londra, The Servant di Joseph Losey ha conquistato il pubblico attraverso il ritratto dei problemi di classe, di identità e di potere dell’Inghilterra degli anni Sessanta, il tutto magistralmente confinato tra le quattro mura di una villetta londinese.

 

 

1. Trama e contesto sociale

2. The Servant come chamber piece

3. La lettura anticolonialista

4. Fonti

 


1. Trama e contesto sociale

Nella spirale di paranoia ai tempi del Maccartismo, molti artisti statunitensi fuggirono dalle pressioni della Commissione per le Attività Antiamericane (HUAC), il cui scopo era di reprimere presunte attività considerate filocomuniste e sovversive. Tra questi c’era anche il regista Joseph Losey che, di fronte all'incombente minaccia della black list, si trasferì nel Regno Unito nel 1952. 

Il  trasferimento segnò una nuova fase sperimentale nella carriera di Losey, di cui The Servant (1963) è uno dei risultati più importanti. Il film riprende l’omonima novella di Robin Maugham del 1948 e fu adattato da Harold Pinter alla sua prima sceneggiatura.

La storia ruota attorno alla complessa e inquietante relazione tra un giovane aristocratico, Tony (James Fox), e il suo neoassunto domestico, Barrett (Dirk Bogarte). Ambientato quasi interamente nell’elegante ma angusta abitazione londinese di Tony, il film comincia proprio con il suo ritorno dall’Africa e l’assunzione di Barrett per occuparsi della casa, compreso monitorarne i primi lavori di ristrutturazione. All’inizio, Barrett sembra impeccabile e professionale.

Nella scrittura di Pinter e Losey, Tony non è solo un giovane aristocratico, ma un esemplare in via di estinzione, un anacronismo nell’emergente Swinging London degli anni Sessanta. 

Infatti, il suo stile di vita riflette un mondo che sta scomparendo, reso evidente dai cambiamenti domestici e sociali del secondo dopoguerra. Con l’introduzione di nuove tecnologie, il numero di dipendenti domestici diminuisce sensibilmente, segnando il declino dell’antica borghesia e l’ascesa di una classe media moderna, quella della cultura popolare e delle icone.

Dunque, Tony incarna l’aristocratico in declino: privo di genitori e incapace di prendersi cura di sé, sembra bisognoso di una figura sostitutiva, quasi genitoriale. Tuttavia, avere del personale domestico non è solo una questione pratica: in questo contesto, il domestico diventa un simbolo da sfoggiare per il proprio status, una dimostrazione di potere economico e prestigio sociale. Infatti, già nel 1951, era sceso a solo l’1% il numero delle famiglie britanniche che impiegava ancora del personale di servizio.

Tuttavia, una sottile lotta per il potere inizia a emergere quando Barrett si inserisce gradualmente nella vita di Tony in maniera sempre più inquietante, rimescolando le carte e sfocando astutamente i confini dell'autorità. Man mano che l'influenza di Barrett su Tony cresce, egli introduce nell’abitazione la sua presunta sorella Vera (Sarah Miles), nei panni dell’affascinante Chelsea girl. Diventa presto chiaro che si tratta della sua amante e di una parte fondamentale del più ampio piano di Barrett per manipolare Tony. La seduzione di Vera nei confronti di Tony acuisce la sua dipendenza da Barrett, mentre la presenza di Barrett diventa sempre più dominante e invasiva.

La relazione tra padrone e servo, leitmotiv della letteratura inglese, si trasforma, quindi, in un gioco psicologico di controllo, desiderio e dominio sociale, in cui Tony diventa sia vittima che complice. Nel frattempo, la fidanzata Susan (Wendy Craig) rappresenta un barlume di stabilità nella vita di Tony. Tuttavia, più lei cerca di metterlo in guardia, più i suoi tentativi aumentano il distacco nella coppia. Susan diventa progressivamente estranea e impotente, mentre vede crescere in modo malsano il rapporto tra Tony e Barrett.

Il film si conclude con un senso di ineluttabile intrappolamento: Tony, in uno stato di degrado fisico e psicologico, sembra aver perso ogni capacità di azione, sottomettendosi di fatto al dominio di Barrett. La scena conclusiva vede Barrett accompagnare Susan alla porta: lei, che prima guardava Barrett con sprezzante distacco e sospetto, entra per la prima e ultima volta in contatto fisico con lui, schiaffeggiandolo con il suo pesante braccialetto, simbolo della sua ricchezza e del suo status sociale. Un gesto che, tuttavia, non ha alcun effetto. L’ultima inquadratura, in cui Barrett chiude definitivamente la porta dietro Susan, sancisce il capovolgimento dei ruoli di potere.

 

 

2. The Servant come chamber piece

Descritto dalla critica come un chamber piece per il cast così ridotto e per l’ambientazione claustrofobica, The Servant utilizza lo spazio della casa londinese di Tony come metafora delle tensioni psicologiche e sociali tra i personaggi, con ogni stanza che aggiunge significati specifici all’evoluzione delle dinamiche di potere e di classe. 

Il soggiorno è uno spazio chiave per Barrett, per cominciare a imporre la sua influenza. Come stanza principale della casa, dovrebbe riflettere il gusto e la personalità del padrone di casa: decidere delle opere d’arte è da sempre prerogativa delle classi agiate. Proprio da questo spazio Barrett comincia a sconfinare dal proprio ruolo, trasformandolo, in fase di ristrutturazione, in un ambiente che rispecchia i propri gusti. Mano a mano che la presenza di Barrett si fa più pervasiva, nei momenti di vulnerabilità, Tony si trova spesso a rifugiarsi in cucina – lo spazio destinato alla servitù – incapace di sfuggire a Barrett. La cucina diventa così una prigione simbolica, un rifugio imposto che non gli appartiene culturalmente né socialmente

Oltre a questo, lo spettatore avverte una sensazione di soffocamento data dagli specchi, presenti in diverse stanze. Gli specchi non riflettono mai l’esterno, ma  solo le altre parti della casa, suggerendo la sensazione di essere intrappolati in un labirinto. Non solo: sono anche il mezzo per una sorveglianza perenne. È attraverso lo specchio che lo spettatore diventa testimone delle dissimulazioni e dei sotterfugi dei personaggi.

Iconica è la scena in cui Barrett lucida lo specchio del salotto. Non è uno specchio qualunque, ma uno specchio convesso, che deforma l’immagine: in questo modo, lo spettatore vede Tony come una figura più piccola e marginale, mentre Barrett, pur continuando a svolgere un compito per il suo titolare, sta lucidando anche la propria immagine riflessa in primo piano e resa più grande dalla curvatura.

Anche la scala, con la sua peculiare forma curvilinea, permette ai personaggi di vigilare meglio sugli altri. Questo spazio si trasforma in un palcoscenico per un ulteriore sovvertimento della gerarchia sociale, in una scena che potrebbe sembrare a prima vista innocente. Tony e Barrett si divertono a giocare sulla scala, ma Tony viene relegato al piano superiore: un’area che tradizionalmente appartiene alla servitù. In questo contesto, il domestico costringe ancora una volta il padrone a rimanere in uno spazio che, per convenzione, non gli spetta. La loro interazione sembra farli regredire in uno stato pre-adolescenziale in cui non c’è spazio per l’interesse femminile. Proprio per questo, inoltre, la critica si è soffermata spesso sul sottotesto omoerotico non solo di questa scena, ma della relazione domestico-padrone.

 


3. La lettura anticolonialista

In The Servant, il tema anticolonialista emerge con forza attraverso la caratterizzazione di Tony e Barrett. Tony, un uomo ozioso dell’alta borghesia con legami familiari con le piantagioni coloniali in Africa (elemento non esplicitato nel film), rappresenta un’autorità imperiale superata, un padrone che si aspetta una fedeltà incrollabile da parte del domestico. I suoi riferimenti ai progetti coloniali e i piani per costruire città nella foresta brasiliana sono la riprova della sua convinzione di poter sfruttare persone e terre straniere come desidera.

Di particolare interesse in questo caso è la scena a casa dei genitori di Susan, i Mountset. L'ambientazione è subito eloquente: Tony e Susan entrano in una tipica villa palladiana, una torre d’avorio simbolo della ricchezza e del potere aristocratico radicato. A loro agio nel loro privilegio, i Mountset discutono del piano imperialista di Tony, rivelando così la loro completa ignoranza culturale — la signora Mountset scambia addirittura la parola “gaucho” con “poncho”. Un tableau vivant del conservatorismo inglese, questa scena cattura i Mountset come reliquie di una mentalità coloniale, comodamente distaccati dal mondo in evoluzione che li circonda, e rafforza la critica del film al compiacimento elitario e all’arroganza colonialista.

Attraverso la sua silenziosa manipolazione della casa, Barrett mette in atto una sottile forma di resistenza anche sotto questo punto di vista. La sua capacità di dominare Tony psicologicamente, persino di occupare la sua casa imponendo il proprio gusto e il proprio arredamento, suggerisce un'inversione simbolica del potere coloniale: il servo che rovescia l'autorità del padrone dall'interno, dal cuore della sua stessa casa.

Inoltre, il suo personaggio riflette le ansie sociali dell’epoca legate non solo alla classe, ma anche all’etnia e all’immigrazione. Infatti, gli anni Sessanta sono un momento di ampie tensioni in Gran Bretagna: nel 1962 viene emanato anche il Commonwealth Immigrants Act, un provvedimento che mirava a limitare l’immigrazione di persone provenienti dalle ex colonie, quindi in possesso di passaporti del Commonwealth. Barrett incarna quel fenomeno migratorio in costante crescita e quell’impulso anticolonialista che risuona con i movimenti indipendentisti di quegli anni, causa di preoccupazione dell’intera élite britannica.

Barrett, infatti, proviene da Manchester, la provincia industriale in contrasto con la Londra cosmopolita e capitale della cultura, cosa che lo classifica come un outsider all'interno del mondo londinese e alto borghese di Tony. Non solo: Barrett è ebreo, un tratto che lo razializza ulteriormente. Il suo background può essere letto come una metafora di queste migrazioni post coloniali, in quanto simboleggia l’arrivo di coloro che provengono dalle “province” britanniche (soprattutto dalle ex colonie) e che cercano di rivendicare uno spazio all'interno della società britannica.

La figura di Barrett in questa chiave di lettura evoca un forte senso dell’uncanny Freudiano (tradotto come “il perturbante,” “lo spaesamento” o perfino “il sinistro”, ndr.), cioè quel qualcosa di familiare che diventa stranamente inquietante, spesso a causa di paure rimosse che riaffiorano in modo inaspettato: ciò che Freud chiamava il ritorno del represso. La sua presenza costringe Tony a confrontarsi con le proprie ansie e insicurezze represse sulla sua identità e il suo potere, facendo leva sulle paure latenti del cambiamento sociale, e rendendo la sua casa  una fonte di profondo e inquietante disagio.

The Servant è dunque un vero e proprio capolavoro cinematografico, capace di racchiudere in sé una straordinaria complessità di livelli interpretativi e simbolici che cattura perfettamente lo spirito dell’epoca. La profondità dei personaggi, le scelte stilistiche di Losey e Pinter, e i numerosi simboli disseminati nella trama (non trattati a fondo in questo articolo) contribuiscono a creare un’opera densa di significati, capace di affascinare e inquietare lo spettatore. The Servant rimane così un film aperto a molteplici letture, un testo in continua evoluzione che invita chi guarda a esplorare, ogni volta, nuovi strati di interpretazione.

 

 

4. Fonti

Dyer, Rebecca. “Class and Anticolonial Politics in Harold Pinter and Joseph Losey’s The Servant” su jstor.org (data di ultima consultazione 04/11/2024)

Immagine 1 da theguardian.com (data di ultima consultazione 08/11/2024)

Immagine 2 da www.siciliaqueerfilmfest.it (data di ultima consultazione 04/11/2024)

Immagine 3 da meathookcinema.com (data di ultima consultazione 04/11/2024)