Oscar Wilde in America, trionfo e caduta di una celebrità

Francesca Corsetti

Alla vigilia di Natale del 1881, Oscar Wilde salpò da Liverpool sull’SS Arizona alla volta dell’America. Appena pochi mesi prima, il 23 aprile 1881, la commedia Patience di Gilbert & Sullivan debuttava al teatro Opera Comique di Londra: ben presto, la produzione l’avrebbe seguito sul nuovo continente. Comincia così la storia dell'esordio americano di Wilde e del Movimento Estetico britannico: con un pizzico di satira e un occhio vigile sui cambiamenti del mercato culturale.


1. Arriva l’Estetismo: Patience e l’idea del tour

2. Verso la cultura del consumo e il culto della celebrità

3. “Vedo che è il mio nome che spaventa”: dopo lo scandalo

4. Fonti


1. Arriva l’Estetismo: Patience e l’idea del tour

Intorno al 1880, Max Beerbohm scriveva che si avvertivano i primi sintomi di un grande cambiamento: i vecchi piaceri parevano ormai insipidi e sbiaditi e si voleva qualcosa di nuovo. Fu in questo contesto che la moda e l'arte si incontrarono, dando il via a un'importante rinascita sociale (Freedman, 1990: 1).

Quella che descrive Beerbohm è la nostra concezione di estetismo britannico e wildiano, in una mescolanza di inconsistenza e artificio, di arte e tendenza, che definisce la nuova avanguardia. 

L'Estetismo nasce un po’ prima, però, nel cuore dell'Età Vittoriana, con una nuova spinta verso valorizzazione delle arti come mezzo per provocare un'esperienza intensa: un concetto che affonda le sue radici persino nella tradizione Romantica. Nasce come protesta in una società dai rigidi canoni morali, che pare in grado di spegnere i sensi e lo spirito. Cominciando da John Keats, passando da Swinburne e i Preraffaelliti, prosegue in due filoni differenti tra Ruskin e Pater, e quindi gli esteti frivoli e indolenti degli anni Novanta. 

Anche negli Stati Uniti, negli stessi anni, la rivoluzione estetica si era già compiuta: a partire dalla fine della Guerra Civile, molti americani trovarono nell’estetismo una nuova forma di espressione. In particolare, dopo la breve fama del movimento Preraffaellita intorno agli anni Cinquanta, che raggiunse il suo apice con la mostra The Exhibition of Modern British Art del 1858 a New York, fu il gusto naturalistico di Ruskin ad attirare l'attenzione. Non solo le opere d'arte più apprezzate della mostra furono i suoi stessi disegni, ma prese piede anche la sua idea di riforma della società attraverso l'educazione. La presenza di Ruskin sulla scena americana, secondo l’accademico Jonathan Freedman, ha contribuito a creare un clima di indifferenza verso i primi fermenti dell’Estetismo ritenuti di alto livello culturale, pur conoscendo già il contributo dell’estetismo nel campo della moda e dell’arredo.

Il tour negli Stati Uniti di Oscar Wilde del 1882 rappresentò per il pubblico americano il primo incontro con un vero esteta. L’intuizione ebbe origine da Richard D'Oyly Carte, il produttore e agente dell’opera di Gilbert & Sullivan. D'Oyly Carte offrì a Oscar Wilde l’opportunità di viaggiare negli Stati Uniti e tenere una serie di conferenze, in seguito al successo inglese dell’operetta comica Patience o Bunthorne’s Bride. L’operetta mirava proprio a fare della satira sui movimenti artistici contemporanei, con al centro Bunthorne, il “poeta cicciottello” protagonista, che fu subito identificato con Oscar Wilde. 

D'Oyly Carte temeva tuttavia che il pubblico americano non conoscesse gli esteti che venivano parodiati in Patience. Il piano delle conferenze negli Stati Uniti nasce quindi per far conoscere al pubblico americano un esteta in carne e ossa, per poi farne oggetto di satira inviando una compagnia itinerante di Patience

Wilde ha scelto insolitamente di associare il suo nome non a una forma d’arte particolarmente sofisticata, quanto a un’operetta, caratteristica di un intrattenimento culturalmente più basso. Ciò nonostante, Wilde impostò le sue conferenze sulla linea ruskiniana del valore morale dell’arte: la conferenza inaugurale del 9 gennaio a New York era infatti intitolata “The English Renaissance of Art” (Il Rinascimento inglese dell’arte, ndt.), con cui Wilde si propose non solo come esteta, ma un esperto sul tema

Ben presto, passò all’artigianato e al design di interni con “The Decorative Arts” (Le arti decorative, ndt.) e “The House Beautiful” (La casa bella, ndt.) con cui il pubblico aveva familiarità.

 

 

2. Verso la cultura del consumo e il culto della celebrità

Sempre secondo Freedman, il pubblico americano era vittima e causa di una visione distorta che fondeva Wilde con la figura che doveva promuovere: l’esteta Bunthorne. Bunthorne, in quanto eccesso della finzione estetica, aveva accresciuto le aspettative del pubblico sulla stravaganza degli esteti. Dal The Nation commentarono proprio così: 

 

“Ciò che [Wilde] ha da dire non è nuovo, e la sua stravaganza non è abbastanza stravagante da divertire il pubblico americano medio. I suoi pantaloni al ginocchio [abbandonati all’inizio del tour, ndr.] e i suoi capelli lunghi sono buoni, ma Bunthorne ha davvero rovinato il pubblico per Wilde.” 

 

Se da un lato il tour non soddisfò le aspettative di una parte del pubblico per la sua scarsa eccentricità, è anche vero che le reazioni del pubblico furono le più disparate: a Boston, e non solo, le conferenze di Wilde furono accolte con entusiasmo, a riprova di un interesse preesistente nei confronti del movimento estetico. Inoltre, è innegabile che Wilde stesso nei panni della nuova figura del’esteta ottenne grande attenzione, nel bene e nel male. 

Fin dall’attracco dell’Arizona, i reporter newyorchesi si armarono di barca e si diressero verso la nave per un’anteprima del tanto atteso Oscar Wilde. Il famoso articolo del New York Times “Ten Minutes with a Poet” (Dieci minuti con un poeta, ndt.) riporta infatti gli eventi di quei dieci minuti in cui fu permesso ai giornalisti di trattenersi sulla nave. L’articolo non manca di soffermarsi a lungo sui dettagli dell’aspetto fisico e sull’abbigliamento: anzi, questi vengono forniti minuziosamente prima di qualsiasi domanda sul tour che sta per iniziare. 

Wilde, in effetti, si preparò con attenzione a questa tournée, sotto ogni punto di vista. Per la sua lezione inaugurale, arrivò sul palco con ben 88 pagine di appunti, conservate fino a oggi. Oltre che sui contenuti, lavorò molto sulla sua immagine e sull’abbigliamento: nei resoconti sul suo arrivo viene ricordato il suo cappotto verde bordato di pelliccia e il berretto da fumo, che gli conferì da subito un’aria esotica e artificiale. Dotato di grande abilità nell’auto promozione, Wilde capì subito l’importanza della stampa, delle interviste e della propria immagine. Pochi giorni dopo il suo arrivo a New York, infatti, posò per il più noto fotografo ritrattista del tempo, Napoleon Sarony. Le 32 foto che conosciamo oggi furono per la maggior parte scattate il 5 gennaio 1882 e, mostrando Wilde nella sua tipica tenuta da esteta, ci trasmettono perfettamente le sue intenzioni.

E proprio sulla figura, più che sulle parole, si concentrò la stampa durante il tour e l’accoglienza fu altrettanto variegata e significativa. Anzi, la stampa ebbe sempre un ruolo fondamentale nel suo inserimento nel mercato commerciale e nella sua ascesa come celebrità moderna. Se da un lato c’era una parte dell’opinione pubblica che lo prendeva sul serio, dall’altro la satira e le caricature proliferavano anche in giornali ritenuti rispettabili. Alcuni arrivavano persino a paragonare Wilde a qualche animale a un primate, con tanto di scritta How far is it from this to this? (Quanto manca tra questo e questo?, ndt.) che richiamava il modo in cui gli animali venivano esibiti al pubblico: delle vignette particolarmente infelici soprattutto se si considerano le origini irlandesi dell’artista. 

Wilde, dal canto suo, si mostrò sempre molto misurato in pubblico. Soddisfatto dell’andamento del tour, si vantava anzi di aver avuto un pubblico più grande e meraviglioso di quello che ebbe Dickens. Rilasciò poi almeno 98 interviste durante il tour, dove continuava a recitare il ruolo dell’esteta indolente. In effetti, l’intervista alle celebrità rappresentava un nuovo mezzo di comunicazione e un nuovo contenuto che cominciò ad apparire nei giornali americani intorno agli anni Settanta dell’Ottocento. Criticato da alcuni come James e Twain, Wilde, così come Whitman, accolse e fece uso di questo prodotto della nuova civiltà americana che si avviava verso il culto della celebrità e del consumo

Infatti, la diffusione di una personalità e, soprattutto, di un’immagine costruita ad arte, fu per Wilde l’inizio della sua ascesa come celebrità. La maschera dell’esteta lo rese imitabile, riproducibile e riconducibile a una serie di simboli: il girasole, il giglio, i pantaloni al ginocchio e i gambaletti di seta. Non a caso, più avanti scriverà in Il critico come artista (1891) che per arrivare a ciò che si crede veramente, bisogna parlare attraverso labbra diverse dalle proprie.”

Gli aspetti più ironici dell’auto promozione di Wilde divennero quelli presi più seriamente. Il pubblico americano cercava lo spettacolo e non la sostanza: non contavano le intenzioni più reali e più serie del tour. Non si rendevano neanche conto di star proiettando su di lui i loro stessi difetti: l’auto promozione e l’esibizionismo per puri scopi commerciali che tanto criticavano, non erano che un riflesso della loro stessa attitudine. La proliferazione dei riferimenti a Oscar Wilde nelle riviste e perfino nelle pubblicità è un segnale evidente che il mercato sfruttasse l’immagine di Wilde tanto quanto Wilde sfruttava il mercato americano per la propria immagine. 

I lavori di Wilde si servivano delle ultime tendenze in fatto di moda e design dell’epoca, introducendone anche di nuove che venivano inserite dal mercato e adottate dal grande pubblico. È proprio in questo senso che l’Estetismo britannico anticipò il consumismo: l’Estetismo avviò una dipendenza dal possesso effettivo dagli oggetti, considerati veicoli di espressione della propria individualità e identità. Tuttavia, il tour del 1882 mise in evidenza come anche il panorama americano fosse già immerso in questa mania estetica commercializzata che si focalizzava soprattutto sul design e sull’arredo. 

 

 

3. “Vedo che è il mio nome che spaventa”: dopo lo scandalo

Con la condanna e la successiva incarcerazione di Oscar Wilde il 25 maggio 1895 ritornò vivida la consapevolezza che l'omosessualità era un reato penale, in Usa come in Gran Bretagna: i giornali americani non esitarono a deridere l’esteta che circa un decennio prima aveva conquistato il mercato nazionale. Il nome di Oscar Wilde, un tempo così popolare, sparì in breve tempo da ogni testata americana e, con esso, sembrò che anche l’Estetismo fosse stato processato e condannato. 

Gesti di solidarietà, tuttavia, non tardarono ad arrivare: persino Henry James, che da sempre gli fu ostile, contribuì con una somma considerevole al sostegno della moglie Constance Lloyd e dei figli Cyril e Vyvyan. 

Con l’avvicinarsi della data di rilascio dal carcere di Reading, Wilde stava iniziando a pianificare una nuova vita: tuttavia, uno dei preziosi oggetti che voleva recuperare da quella passata era proprio quel cappotto di pelliccia che l’aveva accompagnato nel tour del 1882. Suo malgrado, fu però impossibile ritrovarlo: forse venduto, forse pignorato. 

All’uscita del carcere, con i testi di La ballata del carcere di Reading (1898) e il De Profundis (1905) già pronti, per Wilde fu quasi impossibile pubblicare, anche negli Stati Uniti. Infatti, così scriveva all’editore inglese Leonard Smithers nel 1898:  

 

“Per quanto riguarda l'America, penso che sarebbe meglio pubblicare lì senza il mio nome. Vedo che è il mio nome che spaventa. [...] Non saprei consigliare sul da farsi, ma mi sembra che il ritiro del mio nome sia essenziale in America, come altrove, e che al pubblico piaccia un segreto dichiarato.”

 

Wilde sperava che il New York World lo avrebbe pagato profumatamente per la Ballata del Carcere di Reading, che non a caso chiamava il suo poema americano (Mendelssohn, 2018: 249).

Purtroppo, però, William Hurlbert, l'editore del World che era stato suo vecchio alleato e amico, era morto durante la prigionia. La sua agente americana, Elizabeth Marbury, dopo aver letto la poesia, disse che l'aveva fatta piangere grandi lacrime: ma per quanto Marbury avesse cercato di venderla negli Stati Uniti, nessuno la toccò, nemmeno "il più rivoltante giornale di New York", come disse Wilde all'amica Ada Leverson. Alla fine, fu proprio Leonard Smithers a pubblicarla. 

Una delle ultime imprese di Wilde fu proprio quella di evitare che i suoi lavori morissero con lui: per evitarlo, decise che avrebbe dovuto rivolgersi all’impresario teatrale Charles Frohman, che era diventato una figura centrale in entrambe le sponde dell’Atlantico. Fu lui a produrre più rappresentazioni autorizzate delle opere wildiane di chiunque altro. Nella sua penultima lettera del 12 novembre 1900, Wilde chiese esplicitamente all’amico Frank Harris di convincere Frohman a comprare i diritti di riproduzione per l’America. Fu proprio Frohman che, già due anni dopo, portò nuovamente alla ribalta sulla scena teatrale L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895). 



4. Fonti

Freedman, Johnatan. Professions of Taste: Henry James, British Aestheticism, and Commodity Culture. 1990.

Holland, Merlin. Hart-Davis Rupert. The Complete Letters of Oscar Wilde. 2000.

Martino, Pierpaolo. “Consumerism, Celebrity Culture and the Aesthetic Impure in Oscar Wilde” su edizionicafoscari.unive.it (data di ultima consultazione: 15/05/2024).

Mendelssohn, Michèle. Making Oscar Wilde. 2018.

Weir, David. Decadent Culture in the United States. 2008.

Immagine 1 da wikipedia.org (data di ultima consultazione: 15/05/2024).

Immagine 2 da scribd.com (data di ultima consultazione: 15/05/2024).