Francesca Corsetti
Definito dall’amico e poeta Robert Lowell “il poeta inglese più struggente della sua generazione”, Randall Jarrell prese parte alla Seconda Guerra Mondiale, arruolandosi nelle United States Army Air Forces nel 1942, poco dopo l’attacco di Pearl Harbor, e prestò servizio fino al 1946. Aspirante pilota, Jarrell non riuscì a qualificarsi per questo ruolo, ma servì come “celestial navigation tower operator” (operatore di torre per la navigazione celeste, ndt), preparando gli equipaggi dei B-29 in Arizona: un'esperienza che gli fornì molto materiale per la sua poesia. Jarrell scrisse assiduamente in quegli anni, producendo due volumi di poesie, Little friend, Little friend (1945) e Losses (1948), che documentano con grande empatia e sensibilità le paure, le sofferenze e le morti dei giovani piloti.
Gran parte della sua produzione di guerra racconta del mondo dell’aviazione, delle esperienze degli aviatori, degli aeroplani e tutto ciò che li riguarda. Come lo stesso Lowell afferma, “nessun altro scrittore immaginoso aveva la sua precisa conoscenza dell'aviazione, o sapeva così bene come trarre ispirazione da questa conoscenza”. È stato spesso elogiato, infatti, non solo per le sue competenze e la precisione del linguaggio, ma anche per la sua capacità di osservazione e per l’immaginazione, mediante la quale ha reso la guerra in ogni sua sfaccettatura, anche come un combattente in prima linea.
Jarrell ascoltava attentamente le storie degli equipaggi di ritorno dalle missioni e assimilava il loro dolore e terrore. Con le sue poesie di guerra voleva riaffermare l’innocenza e la dignità dei soldati, strappati alla quotidianità per combattere e uccidere. In questi termini, un esempio interessante è il contrasto che si sviluppa in “Eighth Air Force”, dove i soldati – che una voce chiama “assassini” – oziano nella loro baracca, in una scena del tutto innocente. Si crea poi un interessante accostamento alla figura di Ponzio Pilato: come lui, anche i soldati si “lavano le mani nel sangue”, ma il messaggio della poesia è che sono colpevoli a causa delle circostanze, perché questo è ciò che la guerra impone. Il verso che chiude la poesia si ispira, infatti, a una celebre frase che Pilato pronuncia riferendosi a Cristo: “non vedo alcuna colpa in questo uomo giusto” (“I see no fault in this just man”, ndt).
Jarrell aveva compreso che la guerra è disumanizzante: ne è un esempio l’esperienza del mitragliere raggomitolato nella torretta sferica di un B-17 o B-24 in “The Death of the Ball-Turret Gunner”, in un inquietante accostamento nascita-morte, il quale, quando muore, viene semplicemente “lavato via con un tubo di gomma”. Tuttavia, la guerra aerea in particolare è anche estremamente isolante: il soldato si trova a qualche miglia di altitudine, solo, in una situazione di pericolo mortale. È quello che percepiamo leggendo “A Front”, dove il pilota, smarrito in un cielo denso di nebbia, è trasformato in una voce che chiama alla radio in cerca di una base per atterrare: è una voce nel vuoto che non riceverà mai risposta. Questi sono due celebri componimenti in cui sono le vittime stesse a pronunciare i versi: è una scelta stilistica che conferisce alla poesia una forza drammatica ineguagliabile. Non sorprende, infatti, che i due volumi sulla guerra abbiano consolidato per Jarrell una fama di poeta di guerra che è rimasta costante nel tempo. Eppure, difendere la dignità dei militari non significa necessariamente restituirgli la loro individualità. Jarrell non rammenta i nomi dei compagni: non troviamo individui, ma una più vasta rappresentazione di categorie di soggetti – delle “personae” – e ne percepiamo soltanto le loro voci. Nella poesia di Jarrell prevale quindi il senso di esperienza collettiva. Quest’ultima viene narrata mediante l’uso della prima persona e quindi del monologo drammatico, da intendersi non tanto come esposizione verso un ascoltatore silenzioso – come nelle composizioni di Robert Browning – quanto come esternazione di verità intime e inesprimibili, avvicinandosi così al soliloquio e collocando la produzione di Jarrell nella nota corrente americana della poesia confessionale.
“Losses” (“Caduti”), pubblicata nella raccolta Little Friend, Little Friend (1945) è esemplificativa dello stile di Jarrell. Mediante l’uso di una voce in prima persona plurale e del verso libero, questa composizione racchiude l’esperienza universale dei piloti della U.S. Air Force. La poesia ci trasmette l’assurdità dei bombardamenti e l’illusione dell’eroismo di guerra: questi i temi che fanno da sfondo alla struttura narrativa che vuole rappresentare il passaggio dall’addestramento al combattimento vero e proprio. Questo è già evidente nella prima parte del componimento.
It was not dying: everybody died.
It was not dying: we had died before
In the routine crashes– and our fields
Called up the papers, wrote home to our folks,
And the rates rose, all because of us.
We died on the wrong page of the almanac,
Scattered on mountains fifty miles away;
Diving on haystacks, fighting with a friend,
We blazed up on the lines we never saw.
We died like aunts or pets or foreigners.
(When we left high school nothing else had died
For us to figure we had died like.)
Non era morire: tutti morivano.
Non era morire: eravamo già morti prima
Negli incidenti di routine– e nei nostri campi
Chiamavano i giornali, scrivevano a casa ai nostri genitori,
e le cifre aumentavano, tutto a causa nostra.
Siamo morti sulla pagina sbagliata dell'almanacco,
sparpagliati sulle montagne a cinquanta miglia di distanza;
Tuffandoci sui pagliai, combattendo con un amico,
Siamo esplosi sulle linee che non abbiamo mai visto.
Siamo morti come zie o animali o stranieri.
(Quando lasciammo la scuola superiore non era morto nient'altro
Per capire come eravamo morti).
I soldati – gli equipaggi dei bombardieri – non muoiono solo in guerra. Jarrell ci propone qui l’altra faccia della medaglia, quella meno eroica e più realistica. I soldati muoiono mentre si esercitano, durante l’addestramento, colpevoli della loro stessa perdita e delle cifre che aumentano. Così, diventano quelli che finiscono nella pagina sbagliata dell'almanacco, quella meno clamorosa: sono morti di una morte meno importante e più trascurabile. La notizia viene registrata e accolta come l’annuncio della morte di un parente lontano, di uno straniero o di un animale. I versi tra parentesi ci indicano quanto giovani possano essere i soldati e quanto poca la loro esperienza di guerra.
La poesia continua:
In our new planes, with our new crews, we bombed
The ranges by the desert or the shore,
Fired at towed targets, waited for our scores—
And turned into replacements and woke up
One morning, over England, operational.
It wasn't different: but if we died
It was not an accident but a mistake
(But an easy one for anyone to make).
Nei nostri nuovi aerei, con i nostri nuovi equipaggi, abbiamo bombardato
I poligoni nel deserto o sulla costa,
sparato a bersagli trainati, aspettato i nostri punteggi—
E ci siamo trasformati in rimpiazzi e svegliati
Una mattina, sopra l'Inghilterra, operativi.
Non era diverso: ma se morivamo
Non era un incidente, ma un errore
(ma uno facile da commettere per chiunque).
In guerra i cambiamenti sono bruschi e improvvisi, i piloti muoiono e i praticanti si ritrovano improvvisamente operativi. Ciò che cambia è l’obiettivo e l’importanza dell’operazione di volo. È interessante, quindi, l’uso delle parole del verso successivo: in quel caso non è più un incidente trascurabile, ma un errore, seppur facile da commettere, perché in guerra è incredibilmente facile morire per chiunque.
We read our mail and counted up our missions—
In bombers named for girls, we burned
The cities we had learned about in school—
Till our lives wore out; our bodies lay among
The people we had killed and never seen.
When we lasted long enough they gave us medals;
When we died they said, “Our casualties were low.”
They said, “Here are the maps”; we burned the cities.
It was not dying –no, not ever dying;
But the night I died I dreamed that I was dead,
And the cities said to me: “Why are you dying?
We are satisfied, if you are; but why did I die?”
Leggevamo la posta e contavamo le nostre missioni—
Sui bombardieri che portavano il nome di ragazze, bruciavamo
Le città di cui avevamo appreso a scuola—
Finché le nostre vite non si consumavano; i nostri corpi giacevano in mezzo
Alle persone che avevamo ucciso e non avevamo mai visto.
Quando duravamo abbastanza a lungo ci davano delle medaglie;
Quando morivamo loro dicevano: "Le nostre vittime sono state poche".
Loro dicevano: "Ecco le mappe"; noi bruciavamo le città.
Non era morire –no, mai morire;
Ma la notte in cui sono morto ho sognato di essere morto,
e le città mi dissero: "Perché stai morendo?
Siamo soddisfatte, se sei morto; ma perché io sono morta?"
I piloti contano le missioni restanti che li separano dal ritorno a casa. Queste missioni sui Boeing B-17 duravano spesso da sei a otto ore e colpivano obiettivi in profondità nel territorio nemico. A ciascun pilota era richiesto di portare a termine da venticinque a trenta missioni, ma le probabilità che questo accadesse erano estremamente scarse.
Jarrell descrive il paradosso e lo spaesamento dei piloti obbligati a dover distruggere città che avevano studiato poco tempo prima sui banchi di scuola, a dimostrazione di quanto fossero giovani le vite sacrificate. Vengono anche trasmessi lo sforzo e il lento logoramento che la guerra comporta, e la magra consolazione – una medaglia – per chi “durava abbastanza”. La guerra è disumanizzazione: i morti sono “vittime”, ma non si piangono, ci si rallegra se sono poche. O meglio, si rallegrano loro: una dicotomia rimarcata e ripetuta distingue chi muore e chi ordina, chi indica la città e chi la bombarda. Alla fine della poesia veniamo a conoscenza che la voce narrante è quella di un pilota che è morto. Proprio quella notte lo stesso pilota ha sognato la morte, l’ha conosciuta per la prima volta. La poesia si chiude con degli interrogativi che le città gli pongono nel sonno e che suggeriscono l’illogicità della guerra: uccidono persone che non hanno mai visto e distruggono città che avevano appena conosciuto, ma tutto questo perché?
A Look Inside the B-17, su aerospaceutah.org (data di ultima consultazione: 26/04/2023)
Beck Charlotte H, “Randall Jarrell’s Modernism: The Sweet Uses of Personae” in South Atlantic Review, vol. 50, no. 2, 1985, pp. 67–75, su jstor.org (data di ultima consultazione: 23/02/2023)
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Dramatic Monologue: An Introduction, su victorianweb.org (data di ultima consultazione: 27/04/2023)
The Boeing B-17 Flying Fortress Flew Deep into Enemy Territory, su warfarehistorynetwork.com (data di ultima consultazione: 26/04/2023)
Randall Jarrell, su poetryfoundation.org (data di ultima consultazione: 06/02/2023)
Randall Jarrell, su poets.org (data di ultima consultazione: 06/02/2023)
Randall Jarrell 1914-1965, su nybooks.com (data di ultima consultazione: 06/02/2023)
Vardamis Alex A, “Randall Jarrell's Poetry of Aerial Warfare” in War, Literature & the Arts, vol. 2, no. 2, 1990, pp. 63-82, su wlajournal.com (data di ultima consultazione: 06/02/2023)
Foto 1 e foto 2 da pcolman.wordpress.com (data di ultima consultazione: 26/04/2023)