Claudio Ciccotti
“Anti-racist white, working-class, secular Jewish, transgender, lesbian, female, revolutionary communist”.
Così era solit* parlare di sé Leslie Feinberg.
Parlare di Leslie Feinberg significa volgere l’attenzione verso una delle figure più alla ribalta nel movimento di liberazione sessuale e di genere degli ultimi decenni, impegnata a rafforzare il senso di solidarietà verso tutti gli outsider della società e all’interno della comunità arcobaleno.
Per capirne a pieno la profondità dobbiamo forse partire da una delle sue ultime dichiarazioni sulla sua battaglia personale sul fronte LGBT+:
“Never been in search of a common umbrella identity, or even an umbrella term, that brings together people of oppressed sexes, gender expressions, and sexualities”
Credeva fortemente nel senso dell’auto-determinazione dell’oppresso: che si trattasse di un individuo, di un gruppo o una intera nazione, faceva poca differenza. Non le serviva volgere le attenzioni e le ricerche alla volta di un termine collettivo.
Tipico di un attivismo viscerale e di chi non ha piegato la testa ai dettami eteronormativi della società, Leslie Feinberg preferiva l’utilizzo del genere neutro nelle lingue in cui era possibile usarlo. In inglese, decise di servirsi di pronomi personali e pronomi oggetto fuori dalla grammatica comune, rispettivamente “she/zie” e “her/hir”. Ma non basta l’accortezza linguistica per portare pieno rispetto a chi si ha di fronte perché anche con queste accortezze si può mancare di rispetto, così come averne usando i pronomi sbagliati, proprio come accadde nei suoi confronti:
“I care which pronoun is used, but people have been respectful to me with the wrong pronoun and disrespectful with the right one. It matters whether someone is using the pronoun as a bigot, or if they are trying to demonstrate respect.”
Lungo tutta questa linea si mosse il suo impegno politico e letterario. Nel rispetto della sua identità di genere, declinando in italiano questa sua attenzione linguistica, in questo breve profilo tracciato in sua memoria, si userà l’asterisco nelle concordanze di genere o del doppio pronome (*, la/lo, gli/le ndr).
Leslie nacque il primo settembre del 1949 in Kansas City, Missouri, e fu cresciut* a Buffalo, in una famiglia ebrea. All’età di 14 anni cominciò a guadagnarsi da vivere lavorando in vari negozi della città. Fu in quel periodo che cominciò ad avere i primi approcci alla vita LGBT+ di Buffalo, prendendo sempre più coscienza della sua identità di genere e sessuale, ostacolata dalla sua famiglia. Questo la/lo portò ad allontanarsi per sempre dai famigliari.
Da transgender dovette fronteggiare con difficoltà l’impossibilità di avere una posizione lavorativa stabile. Si guadagnò da vivere con impieghi temporanei e poco redditizi, da lavori in fabbrica a impegat* delle pulizie e lavapiatti, passando per interprete del linguaggio dei segni e segretari*.
Appena ventenne, il suo cammino si incrociò con quello del Workers World Party (WWP) a un corteo pubblico per i diritti delle terre palestinesi e - galeotto questo evento - sposò subito le cause del partito.
Si trasferì a New York e partecipò a molte iniziative del WWP durante il corso degli anni, incluse le campagne anti-belliche e le iniziative in campo proletario. Fu una delle figure principali dell’organizzazione della Marcia contro il Razzismo che si tenne a Boston nel dicembre del 1974, in cui i partecipanti si schieravano contro la supremazia bianca ai danni della popolazione afroamericana, senza distinzione di genere ed età. Leslie per l’occasione era alla testa di un gruppo di dieci lesbiche di ogni provenienza accorse per la difesa dei loro diritti. Tra il 1983 e il 1984 si lanciò alla volta di un tour che la/lo portò in tutta la nazione per sostenere la visibilità e le urgenze legate all’AIDS.
Prese parte anche all’organizzazione della mobilitazione di Atlanta nel 1988 che fronteggiò la marcia dei suprematisti bianchi del Klu Klu Klan durante il MLK Day.
Tra il 1992 e il 1998-1999 tornò a Buffalo per lavorare con la Buffalo United for Choice and its Rainbow Peacekeepers. Questa associazione si occupava di organizzare l’autodifesa per la comunità locale LGBT+, interessando tutti i punti di interesse arcobaleno della cittadina, includendo anche le cliniche femminili.
Nel 1974 divenne giornalista per il suo partito e curò la sezione “Political Prisoner” del giornale per ben 15 anni. Per il partito ricopriva anche il ruolo di membro della commissione nazionale.
Nel 1993 diede alle stampe Stone Butch Blues che ricevette grande attenzione tanto da essere poi tradotto in tedesco, italiano, cinese, slavo, polacco, turco ed ebraico.
Il libro fu seguito da altri due titoli non-fiction. Il primo fu Transgender Warriors: Making History from Joan of Arch to RuPaul, una prima analisi delle radici storiche del movimento trans* e dell’oppressione. Il titolo le/gli valse la vittoria nel 1996 del Firecracker Alternative Book Award for Non-Fiction e venne subito ristampato con il nuovo sottotitolo Making History from Joan of Arc to Dennis Rodman.
Trans Liberation: Beyond Pink or Blue (1999) fu il suo secondo non-fiction, contenente un insieme di discorsi tenuti nel corso del tempo, affiancati a profili di altri attivisti trans. Il secondo romanzo, Drag King Dreams, venne dato alle stampe nel marzo 2006.
Dal 2004 al 2008 i suoi scritti si focalizzarono sul collegamento tra il socialismo e la storia LGBT+. Col titolo di Levender&Red questi 120 pezzi comparvero sulle pagine del giornale del partito e confluirono successivamente, in parte, nel suo ultimo libro Rainbow Solidarity in Defense of Cuba.
Jess Goldberg è la protagonista del primo romanzo di Leslie Feinberg, pubblicato nel 1993. Jess è ben cosciente di essere sin da sempre diversa dalle altre ragazze, evita volentieri i vestitini e spesso le chiedono se è un ragazzo o una ragazza.
Le pressioni e oppressioni della famiglia e di chi la circonda la spronano a scappare appena quindicenne. Trova una nuova famiglia tra gli operai delle fabbriche dove comincia a lavorare e tra le lesbiche che incontra nei bar gay di Buffalo a New York.
Gender e classi di appartenenza contribuiscono a formare l’identità di Jess scandita in un primo momento da grande confusione.
Facile accostare fino a questa parte del racconto la figura di Jess a quella di Leslie. Anche la protagonista del romanzo non è a suo agio nel suo corpo: anche quando le è permesso di vestirsi con abiti maschili sente comunque una profonda differenza tra lei e una vera lesbica mascolina (butch, ndr).
Quando le possibilità lavorative diventano nulle per una butch come lei, Jess decide di iniziare un percorso di transizione scandito da testosterone e abiti maschili. Questa è per lei l’unica possibilità per avere un lavoro e sentirsi più a suo agio con un corpo che nel frattempo ha reso più simile a quello di una stone butch (“Stone butches usually do not like to be sexually touched genitally by their partners; however, they still provide their partners with sexual gratification, and often experience pleasure themselves in doing so”, Zimmermann (2000)).
Laddove a Jess finalmente si prospetta una soluzione, una nuova difficoltà si palesa chiaramente: diventare uomo la aliena dal resto della comunità lesbica e le rende impossibile creare delle relazioni serie perché è costretta a nascondere la sua vera identità.
Jess decide di interrompere la sua transizione, ma questo non risolve i suoi problemi legati alla piena confusione tra identità di genere, sesso e ruoli sessuali. Decide di porre fine a questa battaglia, proclamando la sua completa autonomia nello scegliere come identificarsi pensando solo ed esclusivamente al suo desiderio personale e non alle categorie esistenti.
Trasferitasi a New York, stringe amicizia con la vicina, una trans* il cui affetto le trasmette un senso di appartenenza che non aveva mai sentito prima nella sua vita.
Alla fine del racconto Jess diventa un’attivista impegnata a prender parte in dibattiti pubblici per sottolineare l’importanza dei diritti che spettano a ciascun essere umano per dignità.
Dopo l’esordio letterario del romanzo autobiografico, Leslie diede alle stampe il primo di due libri non-fiction, dal taglio politico, nel 1996.
Cosa lega Giovanna d’Arco e la rivolta di Stonewall? Pietre miliari della storia occidentale, per Leslie Feinberg queste sono tenute insieme da un filo rosso che attraversa anche altri episodi della storia dell’umanità occidentale: il crossdressing.
Oggi come in passato, chi ha voluto e vuole opporsi alle autorità governative prova a farlo andando fuori dagli schemi. Il crossdressing è sempre stato un atto di ribellione in ogni cultura e ogni tempo. Le persone transgender sono state spesso messe ai margini della società in molte culture dalle classi più alte e potenti. Al contrario, sono state accolte con molta più tolleranza (e talvolta celebrazione) tra persone della loro stessa posizione sociale, proprio per il potere di ribellione che infondevano.
Un potere che non poteva essere permesso perché fomentava le sommosse a suon di confusione identitaria. Per lo stato e il governo classificare le persone per il loro genere e in categorie prestabilite tornava comodo per la possibilità di controllarle e tassarle più facilmente in uno schema economico rigido. Attenzione, però: dato il taglio storico del testo, che attraversa epoche e società ben diverse, è bene intendere per “stato” un ente/organizzazione della società che forgia una cultura dominante piuttosto che una istituzione meramente normativa che esercita il suo potere legislativo.
Le persone transgender furono quindi storicamente uno tra i primi bersagli del controllo e della limitazione delle libertà da parte delle varie forme governative susseguitesi storicamente nel corso del tempo. Questo perché l’influenza della componente queer sul resto della comunità era molto forte.
Il mondo e la società non si basano su opposizioni e dicotomie (dettate soprattutto dall’esercizio della forza). Per Leslie, esistono degli spettri di possibilità diversi rappresentati da un dare e un avere costanti, Da questo nasce la metafora del cerchio in cui tutti possiamo trovarci inclusi non per quello che eravamo o per quello che si dice che siamo, ma perché possiamo diventare qualcuno o qualcosa di diverso in uno spettro di possibilità, a discapito di ciò che lo stato vorrebbe.
Si tratta di un libro dalla trattazione politica, in fin dei conti: Leslie, in quanto attivista e teoric* queer, rintraccia nell’oppressione di genere e sessuale il mezzo attraverso cui gli enti normativi esprimono la propria forza personale a discapito di altri - dove per normativo, non intendiamo una espressione di valenza legale, quanto piuttosto culturale.
Il diritto di definire e controllare la propria vita, chi amare, quale famiglia avere, come vestirsi e quale occupazione avere sono delle questioni identitarie centrali che non possono e non devono essere lasciate in mano allo stato, perché si perderebbero ben altre forme di libertà più importanti.
A rendere più incisivo questo messaggio è Leslie stess*, che termina il suo scritto con un manifesto che elenca tutte le libertà specifiche che non possono essere sottratte all’individuo, con un elenco di annesse organizzazioni che combattono in difesa di queste.
Al 1970 circa risale l’inizio dell’iter che l’avrebbe legata fino alla morte alla malattia di Lyme e le complicazioni che ne seguirono.
La situazione fu resa ancor più difficile dalla scarsa documentazione scientifica sulla malattia (e di conseguenza i rimedi farmacologici esistenti) che impedirono di intercettarla e curarla sin da subito, oltre che dall’impossibilità di accedere con facilità alle cure. Questo sia per le difficoltà economiche da fronteggiare nel sistema sanitario americano (dove ne fanno da padrone le assicurazioni e le possibilità economiche del singolo) sia per via del pregiudizio verso le persone trans*.
Durante il periodo della malattia, le sue possibilità di scrivere, leggere e parlare si ridussero notevolmente ma non smise di comunicare il suo impegno sociale attraverso l’espressione artistica. Prese in mano per la prima volta la macchina fotografica e cominciò a postare migliaia di scatti su Flickr, confluiti in The Screened-In Series, un tentativo di documentare la sua vita dal dietro le finestre del suo appartamento, pienamente cosciente e lucida dello stato di salute che la/lo affliggeva.
La diagnosi vera e propria della malattia di Lyme risale al 2008 insieme a una serie di complicazioni e infezioni. Per questa ragione, si potè sottoporre ai trattamenti di cura solo negli ultimi sei anni di vita.
“My experience in ILADS care offers great hope to desperately-ill people who are in earlier stages of tick-borne diseases.” (http://www.lesliefeinberg.net/self/)
Il quadro però appariva sempre più nitido ai suoi occhi: oltre alle difficoltà economiche da superare per ricevere dal sistema sanitario gli aiuti necessari, essere trans* non le/gli rendeva la situazione più semplice. Cosciente di quanto ci fosse da fare per la difesa dei diritti delle persone trans*, doveva fare i conti anche con la poca documentazione e i pochi trattamenti a disposizione per chi fosse affetto dalla malattia di Lyme. Il suo spirito di solidarietà la/lo spinse a tenere una traccia della sua personale vicenda. Le sue annotazioni sono confluite in Casualty of an Undeclared War (2011).
Leslie era intent* a preparare il ventennale dalla pubblicazione di Stone Butch Blues per renderlo in edizione gratuita e accessibile a tutti online. Il documento sarebbe stato affiancato allo slideshow This Is What Solidarity Looks Like, costruito per documentare la campagna a sostegno della liberazione di CeCe McDonald una giovane attivista trans* di colore mandata in prigione per aver provato a difendersi dagli attacchi di un neonazista bianco. Di lì a breve Leslie venne però colt* dalle complicazioni della sua malattia e si spense all’età di 64 anni.
Leslie viveva con la compagna Minnie Bruce Pratt, attivista e poetessa che aveva incontrato a Washington durante una presentazione sulle sue ricerche sul transgenderismo. Dopo un lungo corteggiamento a distanza, vissero insieme a Jersey City e si sposarono nel 2006, tenendo una cerimonia civile successivamente anche nel 2011 in Massachussets e a New York.
Il suo impegno per la giustizia sociale, per la visibilità e la difesa delle persone trans*, e per creare un forte legame tra le comunità gay, lesbica, trans e bisessuali, venne premiato dallo Starr King School for the Ministry. Ricevette meriti e riconoscimenti quali il LAMBDA Literary Award e l’American Library Association Gay and Lesbian Book Award. La rivista lesbica Curve nominò Leslie una delle 15 persone più influenti del suo tempo.
Anti-razzista e socialista, Leslie è ricordat* oggi anche per il suo impegno nella creazione di legami solidi tra persone in difficoltà, credendo che solo questa solidarietà avrebbe permesso loro di combattere le oppressioni: donne, disabili, persone impegnate nelle lotte di classe e proletarie. Tutti erano chiamati a stringersi in una rete solida dalle maglie ampie e resistenti.
Non solo: Leslie Feinberg è oggi un nome d’obbligo nel ricordare quanti e quante si sono impegnate nella lotta alla sovranità e per l’autodeterminazione di ogni cultura nativa, in opposizione al dominatore straniero. Sempre affine a questa sua presa di posizione, era un/una internazionalista e prese parte al movimento che si opponeva al Pentagono sin dallo scoppio della guerra del Vietnam.
Una vita trascorsa tra impegno politico, prese di coscienza, forza e coraggio. Oggi leggendo i suoi scritti o semplicemente ripercorrendo a mente le tappe della sua vita, è impossibile non immaginarl* mentre ci sprona a resistere, reagire, disobbedire e autodeterminarci.
Lavender & Red, workers.org (data di ultima consultazione 31/08/2021)
TransgenderWarriors, Flickr (data di ultima consultazione 31/08/2021)
Self, Lesliefeinbergerb.net (data di ultima consultazione 31/08/2021)
Lyme Series, TransgenderWarrior.org (data di ultima consultazione 31/08/2021)
About, transgenderwarrior.org (data di ultima consultazione 31/08/2021)
Zimmerman, Bonnie (2000). Encyclopedia of Lesbian Histories and Cultures. Routledge. p. 140.