Claudio Ciccotti
Prendere consapevolezza di sé allontanandosi dalla propria terra. Rispondere con approccio pacifico agli scontri per la rivendicazione dei propri diritti. Essere vicino ai giovani portando un messaggio pacifista ma consapevole e fermo della propria idea di giustizia sociale. James Baldwin fu tutto questo.
Harlem fu la sua terra natale nel 1924 dopo che sua madre vi si trasferì, lasciando dietro di sé il padre biologico del futuro scrittore, senza mai rivelargli l’identità. Ad Harlem la donna incontrò David Baldwin, uomo di chiesa che divenne il patrigno di James che da lì a qualche anno sarebbe stato il fratello maggiore di 8 fratelli.
A lui però toccò ricevere da parte del patrigno il trattamento peggiore, esasperato anche dalla condizione di povertà in cui la famiglia versava. Negli anni, l’austerità del patrigno e lo spiccato acume di bambino introverso lo spinsero a trovare rifugio nelle librerie della città, dove la solitudine era abbastanza comoda per leggere.
Dentro di lui aumentava la consapevolezza di come la scrittura potesse aiutarlo a esprimere il suo mondo interiore.
For me, writing was an act of love. It was an attempt not to get the world's attention, it was an attempt to be loved. It seemed a way to save myself and to save my family. It came out of despair. And it seemed the only way to another world.
A soli 13 anni firmò il suo primo articolo, ma il mondo esterno non smetteva di riportarlo con i piedi per terra, molto violentemente: la discriminazione etnica da un lato e prendersi cura dei fratelli minori dall’altro alto, fecero da sfondo all’abuso sessuale ricevuto da due agenti della polizia. La violenza subita a 10 anni non fu l’unica. Da adolescente fu vittima di un nuovo abuso rimasto indelebile nella sua produzione successiva insieme al tema della costante ricerca di individualità. Nonostante ciò, la sua indole benevola non venne mai scalfita.
La Harlem di quegli anni non era di certo il luogo più calmo e pacifico. Crescere lì voleva dire fronteggiare diversi ostacoli, uno tra tutti per James Baldwin fu l’educazione. Suo fratello David, in un’intervista postuma alla morte dello scrittore ricordò infatti come l’ambiente scolastico in cui erano cresciuti fosse ostile. Lo scrittore stesso scrisse a proposito:
I knew I was black, of course, but I also knew I was smart. I didn't know how I would use my mind, or even if I could, but that was the only thing I had to use, but that was the only thing that i had to use.
A scuola ebbe modo sin da piccolo di coltivare la sua passione per la scrittura componendo una recita scolastica ben applaudita da una sua insegnante, bianca, che lo portò a vedere uno spettacolo teatrale per la prima volta. Capì per la prima volta che altri mondi si potevano dispiegare davanti ai suoi occhi, irreali ma possibili.
Proseguendo gli studi in altre scuole, Baldwin ebbe l’occasione di mostrare e coltivare il suo talento per la scrittura, influenzato anche dai suoi primi approcci a scrittori e artisti protagonisti del Rinascimento di Harlem, tra cui il poeta Countee Cullen. Altra fonte di ispirazione nella sua produzione Beauford Delaney. In The Price of the Ticket (1985), Baldwin lo descrisse come quella che per lui fu la prima prova vivente che un uomo nero potesse essere anche un artista. Non un uomo qualunque, però: per Baldwin il pittore era un esempio di coraggio, integrità, umiltà e passione, sempre in lotta contro le difficoltà.
Anche se poteva contare sulla protezione della scrittura, i primi anni della sua vita e l’adolescenza furono influenzati dalla figura del patrigno anche per la formazione religiosa. Il patrigno avrebbe voluto che James diventasse un predicatore, seguendo la sua strada nella vocazione religiosa. Fu solo dopo l’abuso ricevuto e con il peso della discriminazione etnica di Harlem che James si avvicinò di sua spontanea alla Chiesa Pentecostale. Non ci volle moltissimo tempo però perché cominciasse la sua disillusione. Ben presto infatti accusò la Chiesa di perpetuare il sistema schiavistico e di non riconoscere davvero il dolore dell’oppresso, offrendo per tutta risposta la speranza di trovare salvezza e pace in una vita oltre la morte.
Per quanto non fosse più a suo agio con l’insegnamento ecclesiastico e con la vita religiosa, quella parentesi avrebbe influenzato definitivamente tutta la sua produzione successiva e la sua visione del mondo:
"[...] being in the pulpit was like working in the theatre; I was behind the scenes and knew how the illusion was worked." (Baldwin, 1963:37)
Già da adolescente infatti capì di aver bisogno di un suo spazio nel mondo sia come uomo di colore sia come omosessuale. Decise di lasciare l’America.
And in that ghetto I was tormented. I felt caged, like an animal. I wanted to escape. I felt if I did not get out I would slowly strangle.
Ferito dal pregiudizio del suo Paese verso l’etnia nera, a 24 anni si trasferì a Parigi familiarizzando subito con il fermento culturale che in quegli anni attraversa la capitale francese. Il suo desiderio era quello di guardare a se stesso e al suo potenziale artistico e letterario fuori dal contesto americano. Non voleva che le sue opere fossero lette premettendo la sua etnia. Desiderava scavare dentro la sua anima alla ricerca di una definizione che lo avrebbe portato a parlare di sé come uomo di colore, afroamericano e gay, fuori da un’America senza speranze.
A Parigi cominciò subito a scrivere e pubblicare diverse antologie letterarie. Spese in Francia la maggior parte della sua vita, nonostante alcuni viaggi in Svizzera e Turchia, e qualche ritorno in America. Per tutta la vita sarebbe stato visto non solo come uno scrittore afroamericano ma anche e soprattutto come scrittore in esilio, come gran parte della sua generazione ai tempi.
Il nome di Baldwin è legato al settimanale The Nation: dopo aver pubblicato nel 1947 la sua prima recensione per la testata, continuò la collaborazione fino alla sua morte.
Bisognò attendere il 1953 per la prima pubblicazione dell’autore: Go Tell It on the Mountain è stato il primo romanzo dell’autore, un racconto semi-autobiografico, composto come un romanzo di formazione.
Tra un impegno e un altro nei suoi impieghi saltuari, Baldwin compose delle storie, dei saggi e delle recensioni, raccolte successivamente in Notes of a Native Son (1955). La raccolta fu pubblicata nel pieno fermento artistico dello scrittore durante una sperimentazione di nuove forme di composizione, dalla poesia alla sceneggiatura, da commedie a saggi e romanzi.
Il secondo arrivò ben presto e con lui anche le controversie. Nel 1956, venne dato alle stampe Giovanni’s Room. Oltraggioso e scandaloso per i suoi contenuti omoerotici espliciti, l’opera lo costrinse a lottare contro le etichette. In quanto scrittore di colore, ci si aspettava da lui una produzione che avesse a che fare con l’esperienza afroamericana. Invece, la storia pubblicata riguardava personaggi omosessuali bianchi. Il suo rifiuto per comportamenti stereotipati, dettati da aspettative e cliché continuò anche successivamente, con romanzi più sperimentali quali Another Country e Tell Me How Long the Train's Been Gone, in cui i personaggi sono di orientamento sessuale e etnia differenti.
Per vedere Baldwin tornare in America bisognò attendere il 1957, nel pieno dei dibattiti per i diritti civili.
L’editore del Partisan Review, Philip Rahv, gli suggerì di documentare le sommosse civili che prendevano campo negli stati del Sud, intervistando i protagonisti diretti degli scontri. Nonostante il viaggio lo rendesse particolarmente nervoso, per Baldwin fu un’occasione importante che gli permise di intervistare persone a Charlotte e a Montgomery.
Fu in quell’occasione che incontrò Martin Luther King, Jr. Il risultato di quel viaggio fu la stesura del saggio "The Hard Kind of Courage" pubblicato su Harper’s e "Nobody Knows My Name" dato alle stampe invece su Partisan Review. La produzione sul movimento per la conquista dei diritti civili per la popolazione di colore continuò anche successivamente su molte altre testate tra cui anche il The New Yorker, dove nel 1962 pubblicò il saggio "Down at the Cross" a cui la testata diede però il titolo "Letter from a Region of My Mind". Questa pubblicazione fu successivamente unita ad un saggio più breve pubblicato su The Progressive e data alle stampe come libro diventato, poi, pietra miliare della produzione di Baldwin: The Fire Next Time.
Il lungo saggio tenta di educare gli americani bianchi su cosa significasse essere nero, offrendogli una descrizione di loro stessi attraverso gli occhi di un afroamericano. The Fire Newt Time traccia un quadro nudo e crudo, brutale se vogliamo, della relazione tra le due etnie. Dopo la sua pubblicazione non furono in pochi i nazionalisti neri a indignarsi: perché mostrare conciliazione e amore di fronte alla violenza ricevuta fino a quel momento? Davvero un messaggio di amore e voglia di comprendere le istanze altrui avrebbe portato a cambiare la relazione tra le etnie differenti che componevano la Nazione? Ma la vera domanda era quella che i bianchi si ponevano approcciandosi a quel libro: cosa volevano davvero i neri?
I saggi di Baldwin non hanno mai smesso di rendere giustizia al dolore e alla frustrazione dei neri d’America, così come fece anche in "No Name in The Street", che mette in campo il suo dolore personale, per la perdita di tre cari amici uccisi alla fine degli anni ‘60: Medgar Evers, Malcolm X, and Martin Luther King, Jr.
In quegli anni, si avvicinò molto alle istanze del Congress of Racial Equality (CORE), organizzazione fondata nel 1942 proprio a sostegno dei neri d’America per il riconoscimento dei loro diritti civili. Aderendo all’associazione ebbe modo di viaggiare lungo il Paese fornendo il suo contributo critico e letterario sulla situazione in essere, impegnato in una personale analisi del contesto storico-sociale.
Nel 1963, fece un viaggio per l’associazione che lo vide attivo in tutti gli stati del Sud. Parlò di fronte a molte platee tanto dell’approccio di Malcolm X quanto di quello di Martin Luther King, Jr. esprimendo di fronte a tutti il suo desiderio di vedere un giorno il socialismo dispiegarsi nella società americana. La stampa cominciò a riconoscere l’analisi incisiva dell’autore sul razzismo bianco e la descrizione delle condizioni in cui versava la popolazione nera discriminata. Il riconoscimento ufficiale del suo impegno a livello mainstream potrebbe essere considerata la conquista della copertina del Times del 17 Maggio:
There is not another writer,"who expresses with such poignancy and abrasiveness the dark realities of the racial ferment in North and South.
Il peso e il riconoscimento che cominciava ad avere convinse anche varie cariche pubbliche ad incontrarlo per discutere degli episodi di violenza tra civili e militari a Birmingham. Molti lasciarono in preda alla frustrazione quello che fu un incontro sì frustrante ma al contempo importante. In questo modo si diede spazio e visibilità alla questione dei diritti civili della popolazione nera, non solo da un punto di vista politico ma anche morale.
Anche l’attenzione dell’FBI si posò molto sullo scrittore. Il fascicolo dell’istituto conserva ben 1884 pagine di documenti su Baldwin raccolti tra il 1960 e gli anni 1970, anni in cui lui era anche attivo nelle marcie a sostegno del movimento. Il movimento per la difesa dei diritti civili era però ostile agli omosessuali. Lo stesso Martin Luther King, Jr. si era spesso espresso sul tema dell’omosessualità in maniera fortemente critica giudicandola una malattia.
Nonostante il suo impegno per la difesa dei diritti civili con una condotta pacifista e diretta al dialogo e all’ascolto, rifiutò sempre l’etichetta di attivista per i diritti civili: un cittadino, in quanto tale, non dovrebbe fare ricorso alla lotta per vedere riconosciuti dei diritti che gli spettano per natura. In occasione di un intervento all’Università di Berkeley nel 1979, si riferì al movimento per i diritti civili indicandolo come “the latest slave revolution”.
Il consenso del pubblico verso i suoi scritti degli anni ‘70 e ‘80 sugli scottanti temi dell’omosessualità e dell’omofobia non mancava.
Sempre più convinto di dover aderire con coerenza alle sue idee e non ai gusti e al giudizio dei critici, continuò imperterrito a trattare gli argomenti a lui cari e negli stili a lui più confacenti. Per la sua tenacia e il suo messaggio di lotta divenne anche una fonte di ispirazione per l’emergente movimento LGBT+.
Il trasferimento a sud della Francia, a Saint-Paul-de-Vence risale al 1970, in una casa stile provenzale che nel corso degli anni ospitò molti dei suoi amici, artisti e intellettuali del tempo. Gli attori Harry Belafonte, Sidney Poitier e Yves Montand, la scrittrice Marguerite Yourcenar, e i musicisti Nina Simone, Josephine Baker, Miles Davis e Ray Charles non mancarono di frequentare la casa dello scrittore che, per Ray Charles, compose anche i testi di alcune canzoni del repertorio. Il pittore Beauford Delaney la considerava addirittura la sua seconda casa e realizzò moltissimi ritratti dell’amico dipingendo in giardino.
Gli anni a Saint-Paul-de-Vence furono scanditi dalla gestione dell’intensa attività di corrispondenza da tutto il mondo oltre che dalla produzione di molte delle sue ultime opere tra cui Just Above My Head (1979), Evidence of Things Not Seen (1985).
All’età di 63 anni morì a causa di un tumore allo stomaco nella sua casa di Saint-Paul-de-Vence, lasciando incompiuto il suo manoscritto Remember This House, un resoconto autobiografico dei grandi profili della lotta ai diritti civili tra cui Malcolm X e Martin Luther King, Jr.
Il manoscritto è stato utilizzato come base per il film documentario del 2016 di Raoul Peck dal titolo I Am Not Your Negro. Baldwin rivive in questo viaggio di 93 minuti come figura più attuale che mai, che ci accompagna dai primi movimenti per il riconoscimento dei diritti degli afroamericani fino all’attuale Black Lives Matter.
Baldwin J., The Fire Next Time, Dial Press, New York, 1963
Excerpt of speech from my film James Baldwin Anthology, YouTube.it (data di ultima consultazione 18/08/2021)
Tv and press wed by computers, Nytimes.com (data di ultima consultazione 18/08/2021)