Claudio Ciccotti
Avremmo dovuto parlare di lui solo come una colonna portante del teatro americano, eppure non tutto filò liscio per Edward Albee.
Autore di una trentina di opere teatrali originali (ma anche padre di alcuni noti adattamenti per il teatro, tra cui quello di Bartleby lo scrivano e di Colazione da Tiffany), Albee non fu mai trattato teneramente dalla critica. Anzi.
Nel migliore dei casi, ad Albee, “responsabile” dell’arrivo del teatro dell’assurdo in America, fu rimproverato di aver avuto sempre ottime idee ma di non aver saputo come svilupparle, se non ai danni della narrazione e dei personaggi, immettendo nelle sue opere troppi colpi di scena.
Tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, la critica attaccò Albee anche solo perché dichiaratamente omosessuale. Questo, a quanto pare, per gli accademici, lo rendeva incapace di esplorare e mettere in scena adeguatamente le relazioni tra uomo e donna. Così, si innescò una caccia ai presunti messaggi di glorificazione dell’omosessualità celati nei suoi testi.
L’unico messaggio che, certamente, è rintracciabile senza troppi veli nelle opere di Edward Albee è l’intento di demistificare l’ottimismo spavaldo degli Stati Uniti, a suo avviso, ridotti a rincorrere se stessi senza più alcun aggancio con la realtà dei fatti.
Il suo rapporto con la critica fu difficile già a partire dagli esordi, avvenuti in Europa tra Berlino e Vienna.
Eppure la vita di Edward Albee fu legata al mondo del teatro sin da bambino. Abbandonato dalla madre ancora in fasce nel 1928, fu adottato da Reed Albee, figlio di un ricco proprietario di teatri di vaudeville, e dalla terza moglie Frances. Reed Albee era il classico figlio di un uomo ricco: aveva lavorato per il padre e per la compagnia teatrale come manager. Con il patrimonio ereditato visse in agiatezza con la moglie dopo l’adozione del figlio. Gli Albee, entrambi repubblicani, educarono Edward perché potesse entrare a far parte della società altolocata di New York.
Nonostante apprese di essere stato adottato soltanto all’età di sei anni, dando avvio alla sua alienazione, Edward Albee scoprì i dettagli dell’intera vicenda solo dopo la morte della madre adottiva nel 1989: il padre biologico abbandonò la madre Louise Harvey e lei affidò il piccolo Edward a una agenzia che potesse occuparsi della sua adozione dopo appena due settimane dalla sua nascita.
Cresciuto nell’agio, Edward Albee in realtà era ben restio alle posizioni politiche dei genitori e a restarsene tra i comfort della famiglia adottiva poco affettuosa. A detta dello stesso scrittore, il padre era molto distante e poco coinvolto, mentre la madre era emotivamente fredda. Da bambino potè fare affidamento solo sul calore e sull’affetto della tata Anita Church e della nonna materna, che lo spinse all’opera e alla musica classica.
Perennemente riluttante all’atteggiamento snob degli Albee, traspose la sua insofferenza all’upperclass anche nei personaggi delle sue opere e questo ebbe anche un forte peso nella sua educazione. La famiglia sceglieva per lui le migliori scuole del paese ma, insofferente, Edward si opponeva al sistema giungendo ogni volta al solito epilogo: l’allontanamento dalla scuola - come nel caso della Lawrenceville School, da cui venne espulso dopo aver destato scalpore per l'oscenità di una commedia in tre atti. Non servì a nulla il tentativo paterno di disciplinare maggiormente l’adolescente, facendogli frequentare la Valley Forge Military Academy, l’accademia militare che vide passare J. D. Salinger tra le schiere dei suoi cadetti.
Edward riuscì a diplomarsi a Choate a Wallingford, nel Connecticut, dove sentiva di aver trovato una sua dimensione. Lì, gli insegnanti lo stimolarono nel suo proposito di diventare uno scrittore. Per questo, subito dopo il college si iscrisse al Trinity College, una piccola scuola di arti liberali del Connecticut, suscitando le ire della madre per aver abbracciato tendenze artistiche e intellettuali per lei molto opinabili. Quel periodo lo vide molto attivo sul fronte della formazione personale in quanto attore di teatro e scrittore di qualche poesia, una carriera che dovette interrompere dopo essere stato espulso durante il secondo anno, per non aver frequentato i corsi obbligatori e i servizi religiosi previsti.
In quegli anni, anche il rapporto con i suoi genitori, già da tempo deteriorato, si ruppe del tutto. Albee scappò, infatti, al Greenwich Village non appena ne ebbe l’opportunità a 18 anni. Il pretesto fu una lite con i suoi genitori dopo una notte passata a bere in città.
A Greenwich potè contare solo su un fondo lasciatogli da sua nonna e cercò di sbarcare il lunario con qualche lavoretto occasionale, tra cui la scrittura di programmazioni musicali per la WNYC Radio. Cominciò, inoltre, a presentare a critici e scrittori le sue prime poesie. Tra queste, spiccavano componimenti che davano voce a varie rappresentazioni della comunità LGBT+ alle prese con l’immaginario eterosessuale, senza però ergersi a difensore della causa arcobaleno.
Pare che questi scritti giunsero nelle mani del commediografo Thornton Wilder e che a lui si debbano i meriti di una spinta vera e propria verso la carriera teatrale di Albee, che non gli diede ascolto per qualche anno prima di dedicarsi seriamente alla scrittura di qualche pièce. Il consiglio di Wilder fu anche e soprattutto quello di far emergere meglio il suo humor alla ricerca di un tono che distinguesse davvero i suoi scritti.
In quegli anni conobbe anche William Flanagan, critico musicale giunto in città per studi da Detroit. I due iniziarono una relazione andando a vivere insieme nel 1952. Albee aveva già avuto qualche esperienza all’interno della comunità gay frequentando alcuni locale già a 13 anni e durante gli anni del college. Flanagan però fu molto di più che un amante. Per Albee, Flanagan fu un mentore e una chiave di accesso per una realtà intellettuale variegata. Spesso i due si ritrovarono a frequentare personaggi di spicco della realtà avanguardista del tempo, un gruppo di cui Flanagan fu alla testa.
Ci volle del tempo prima che gli sforzi letterari di Albee giungessero alla ribalta. Per circa un decennio tutte le sue produzioni furono rifiutate dal New Yorker e nessuna opera venne prodotta, nemmeno dopo i primi tiepidi accordi stretti con qualche interessato, incontrato nei viaggi in Europa con Flanagan.
La sua prima piece teatrale fu terminata due giorni prima del suo trentesimo compleanno, nel 1958. Inizialmente intitolata Peter and Jerry, The Zoo Story mette in scena uno studio esemplare e crudele sulla solitudine umana, sulla disparità di classe e sull’impossibilità di una vera comunicazione, servendosi dell’incontro a Central Park tra due sconosciuti: un tipico rappresentante del ceto medio e un barbone. I due iniziano a parlare molto cordialmente ma gradualmente nell’unico atto dell’opera tutto finisce in violenza.
Il testo venne rifiutato dai produttori di New York, così Edward Albee la inviò a un suo amico a Berlino. Inscenata e acclamata all’estero, fu finalmente messa in scena anche in America dal produttore teatrale Alan Schneider, che decise di vendere il biglietto per lo spettacolo in un doppio ingresso con quello per l’opera di Samuel Beckett, Krapp's Last Tape.
Quella che fino ad allora era soltanto un’affinità tematica e stilistica con il teatro dell’assurdo europeo ebbe da quel momento anche un suo simbolo concreto della vicinanza dei due tipi di rappresentazione, segnando tutta la carriera di Albee. Infatti, The Zoo Story fu additata sin da subito come l’opera che diede avvio al teatro dell’assurdo americano, avente come capostipite proprio Albee.
Poco prima della premiere berlinese di The Zoo Story, la relazione tra Albee e Flanagan si interruppe. Di ritorno dall’Europa, l’autore cominciò a frequentare Terrence McNally, un famoso attore passato poi alla carriera di sceneggiatore. Prima che la commedia potesse giungere a New York, sua nonna morì.
Le opere seguenti continuarono la tradizione grottesca e amara incentrata sulle relazioni umani ormai svuotate, proprio come il sogno americano tanto caro alla sua madrepatria. Non solo: anche il linguaggio è svuotato di contenuti e rinegoziato costantemente nei significati. Per Albee, infatti, le parole, il linguaggio e la punteggiatura (di cui era un maniaco osservatore) servivano a ridurre a brandelli l’involucro che l’essere umano si crea attorno, per nascondere la sua personalità e le proprie fragilità.
Nella lunga lista di titoli che portano la sua firma, Chi ha paura di Virginia Woolf? (1962), prima opera in tre atti, emerge come un testo paradigmatico proprio in merito all’amarezza e alla crudeltà, portando sulla scena la disillusione della vita umana. Tutta la commedia si incentra su questo concetto, prendendo come protagonista una coppia di mezz’età che, tra alcolismo e violenza, si prende gioco di amanti più giovani, destinati a finire come loro.
Prodotta a New York nel 1962, l’opera divenne immediatamente popolare e controversa. Sulla bocca di tutti, arrivò alla nomina al Pulitzer ma non vinse l’ambito riconoscimento. Se questo da un lato portò due dei membri della giuria a dimettersi per protesta, dall’altro non impedì ad Albee di ricevere il riconoscimento per ben tre volte successivamente nel corso della sua carriera (con A Delicate Balance nel 1967, nel 1975 per Seascape, nel 1994 per Three Tall Women), mentre ai tre atti di Who’s Afraid of Virginia Woolf? andarono un Tony Award e un New York Drama Critics Circle Award.
Il 1963 lo vide impegnato in un nuovo scambio culturale, questa volta in Unione Sovietica, insieme a Steinbeck e alla moglie. Al rientro dal viaggio, ruppe la relazione con McNally, a cui seguì la convivenza con William Pennington, un arredatore d’interni. L’anno seguente inscenò Tiny Alice, una commedia in 4 atti che ricevette poco clamore sia tra il pubblico sia da parte della critica. Ciò nonostante, l’opera vinse premi importanti anche grazie al fatto che, ai vertici della notorietà, Albee potè arruolare un cast di tutto rispetto dietro la direzione dell’ormai fidato Schneider. Al termine delle rappresentazioni, Albee tenne una conferenza stampa sia per spiegare cosa si celava dietro Tiny Alice sia per esprimere apertamente il suo dissenso verso la critica: i critici avevano definito l’opera come “molto confusa”; il pubblico, che fino a quel momento sembrava averla apprezzata, cominciò ad allinearsi al parere della critica. Per Albee, quindi, fu proprio il commento della critica a generare confusione.
In quel periodo, inoltre, fondò con due amici il gruppo assurdista Theater 1964 che si occupò della produzione, tra le altre, delle opere di Beckett e Pinter al Cherry Lane Theatre. L’esperienza durò solo 5 anni, dopo i quali Albee si diede alla stesura di A Delicate Balance, prodotto nel 1966. Anche in questo caso, dopo una serie di opere poco acclamate, i pareri della critica furono misti e qualcuno volle associare la vittoria del Pulitzer a un tentativo della commissione di far ammenda per il premio non conferito a Who’s Afraid of Virginia Woolf? qualche anno prima. A Delicate Balance fu poi trasposta per il cinema nel 1973 e nel corso del tempo ricevette altri premi molto ambiti tra cui un Tony Award grazie al revival del 1996. Proprio come nel caso della trasposizione filmica di Who’s Afraid of Virginia Woolf? Albee trovò interessanti molte parti ma lamentò la mancanza dello humor distintivo della sua produzione.
In quegli anni e nei seguenti, seguirono altre produzioni teatrali a cui alternava corsi universitari di scrittura e teatro alla University of Houston.
Tra le produzioni teatrali seguenti, due attirarono molto l’attenzione dei letterati per il coraggio di Edward Albee nel portare in scena dei pezzi tanto ambiziosi e influenzati dalle ultime produzioni di Beckett. Si tratta di Box e Quotations from Chairman Mao Tse-Tung, due opere teatrali interconnesse, corte e dallo stile estremamente astratto, dei veri e propri esperimenti nello stile non mimetico e del teatro non narrativo, misto alla tragedia.
Tanto la critica quanto il pubblico non apprezzarono molto le due opere e la produzione chiuse infatti dopo solo 12 spettacoli. Più delle altre, queste due produzioni mostrano una forte influenza dello stile musicale dell’ex-partner William Flanagan. Per ironia della sorte Flanagan morì di infarto subito dopo la produzione di Box e Quotations from Chairman Mao Tse-Tung. Per quanto i due non stessero più insieme da ormai dieci anni, Albee non aveva mai smesso di mandargli una copia delle sue opere per ricevere un suo commento sul lavoro fatto.
L’anno seguente fondò una colonia in Montauk in memoria di William Flanagan, il Memorial Creative Persons Center. Lì si sarebbero incontrati scrittori, musicisti, e artisti per lavorare insieme per un mese su un progetto estivo.
Life, invece, apparve sulle scene di Broadway, dietro la sua prima direzione, nel 1975 e gli valse la vittoria del secondo Pulitzer della carriera. Quelli furono gli anni in cui cominciò la relazione più stabile e lunga della sua vita. Nel 1971 infatti incontrò Jonathan Thomas, un artista canadese. Albee gli riconobbe tutti i meriti per aver smesso di bere, un problema che afflisse la sua vita in tutti gli anni Sessanta e Settanta, senza negare che questo fu probabilmente anche un fattore di influenza negativa sulla sua produzione di quegli anni.
Nel 1975 Albee poteva contare una lunga serie di sueccessi ricevendo anche quelli che per la prima volta furono dei giudizi unanimamente e complessivamente positivi per la produzione del revival di Who’s Afraid of Virginia Woolf?. La favola di Broadway terminò negli anni Ottanta con la produzione di The Lady from Dubuque, il primo di tre fallimenti tanto grandi da farlo allontanare definitivamente da Broadway.
Per un ritorno sulle scene si dovette attendere il 1994 con la premiere newyorkese di Finding the Sun, scritta nel 1983 su commissione della University of Northern Colorado e inscenata lì in quegli anni. Considerando tutta la sua carriera, Finding the Sun è stata la prima opera a presentare personaggi omosessuali (o almeno bisessuali) la cui sessualità fosse esplicitamente rappresentata sul palco. Albee ha più volte dichiarato di non aver mai negato la sua omosessualità ma nemmeno di appartenere alla stessa categoria di altri autori e autrici omosessuali come lui, intenti a parlarne anche nella loro produzione.
Dopo la morte della madre, quasi come si trattasse di una specie di esorcismo dalle figure adottive, ormai entrambe decedute, Albee diede avvio alla sua prima opera autobiografica chiamata Three Tall Women (1990), molto acclamata dal pubblico. L’opera non solo gli valse la vittoria del terzo Pulitzer della carriera ma lo vide anche ricevere quella che per la seconda volta sembrò essere un secondo giudizio positivo e unanime della critica verso una sua produzione.
Albee, oltre a essere stato un membro del Dramatists Guild Council, faceva anche parte dell’American Academy of Arts and Letters. Chiedendogli di parlare della sua carriera, rispose:
I have been both overpraised and underpraised. I assume by the time I finish writing—and I plan to go on writing until I'm ninety or gaga—it will all equal itself out. You can't involve yourself with the vicissitudes of fashion or critical response.
Albee morì per cause naturali a Montauk in 2016, lasciando in eredità l’assurdo e lo stravolgimento delle convenzioni al mondo della commedia e a chi ha seguito le sue orme. In suo onore, la colonia dedicata a Flanagan, ancora operativa, ha preso il suo nome.
Chi ha paura di Edward Albee, succedeoggi.it (ultima consultazione: 28/07/2021)
Edward Albee, britannica.com (ultima consultazione: 28/07/2021)
Biography of Edward Albee, grandesaver.com (ultima consultazione: 28/07/2021)
Biography, edwardalbeesociety.org (ultima consultazione: 28/07/2021)
Foto 1 da newyorker.com (ultima consultazione: 28/07/2021)
Foto 2 da time.com (ultima consultazione: 28/07/2021)
Foto 3 da nbcnews.com (ultima consultazione: 28/07/2021)