Luca Capacci, Claudio Ciccotti
Frank Lloyd Wright, architetto statunitense nato e vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, ha dedicato la sua intera attività progettuale alla ricerca di un’architettura americana autoctona. Il risultato è stato un cambiamento radicale del linguaggio costruttivo, esplorando e fondendo il mito dei pionieri e della frontiera con la tradizione precolombiana.
Frank Lloyd Wright viene unanimemente considerato uno dei maggiori esponenti dell’architettura moderna nel mondo.
Con la sua ricerca spaziale, formale e paesaggistica in campo architettonico e urbanistico, Wright è la dimostrazione concreta della relazione circolare esistente tra la cultura e l’architettura. Se da un lato l’architettura è espressione della cultura di una società, dall’altro lato l’architettura è costantemente influenzata dalla cultura e ne diventa portavoce.
Tanto nei suoi studi quanto nelle sue realizzazioni, le tradizioni occidentali e orientali si mescolano facendosi tramite della sua concezione del mondo:
“vi era un sogno utopico riguardante la rappresentazione delle relazioni e delle istituzioni umane, nonché l’armonizzazione dello spazio moderno con la natura. Wright riuscì a sviluppare un linguaggio architettonico di geometrie simboliche, dando forma a una visione mistica della società” (Curtis, 1982:114).
Nato nel 1867 da una famiglia di predicatori unitariani, fu indirizzato sin da piccolo al mondo delle costruzioni dalla madre, convinta che il figlio sarebbe diventato un architetto. Fu lei a regalargli i giochi frobeliani, una serie di volumi semplici (sfere, cubi, cilindri, parallelepipedi) realizzati in vari materiali, che possono essere assemblati in infinite combinazioni.
Iscritto al corso di ingegneria della University of Wisconsin (che poi abbandonò), nel 1885 cominciò a lavorare nello studio di Chicago di J. L. Silsbee. Fu con lui che iniziò ad affrontare gli aspetti legati alla progettazione di case suburbane e all’architettura giapponese. Silsbee era infatti un appassionato del mondo orientale e un collezionista di stampe giapponesi - interessi che trasmise poi allo stesso Wright.
Dopo due anni, Wright si trasferì nello studio di L. Sullivan, un architetto idealista convinto che il Midwest americano, spurio di propri riferimenti storici consolidati, avesse l’opportunità di generare una cultura fondata sugli antichi principi dell’architettura.
Era sua convinzione che società e architettura affondassero le proprie radici in un ordine naturale, e che l’architetto possedesse “il dono di profetizzare la ‘vera’ forma della democrazia” (Ibidem)
Sullivan gli passò quella passione per lo sperimentalismo e la ricerca di nuove soluzioni, facendogli apprezzare il valore degli spazi interni, ricercandolo filosofie differenti. Con lui, collaborò per la realizzazione dell'Auditorium di Chicago.
Il nome di Wright diventò pian piano sempre più conosciuto e i suoi scritti ottennero l’attenzione degli addetti ai lavori così come del grande pubblico. La sua attenzione si pose sulla ricerca della semplicità. Era solito trovare ispirazione attraverso i motivi e i materiali della natura, senza espedienti decorativi che non derivassero dalle linee stesse della costruzione. Questa concezione delle linee architettoniche e degli spazi prese poi il nome di "architettura organica", quella filosofia della costruzione che intende sviluppare le sue opere come un organismo, senza schemi geometrici preordinati. Per i suoi sostenitori, si tratta di quell'architettura che nasce e si sviluppa attorno all’uomo, cambiando su misura per lui e per le sue esigenze, quasi fosse un’estensione del suo corpo.
Questa concezione rispecchia il forte individualismo della società americana, scandita dal gioco dell'opposizione alla tradizione europea, verso cui artisti e architetti americani avevano sempre sentito un senso di inferiorità. Lloyd Wright, invece, rinnegò qualsiasi tradizione stilistica europea, rivolgendo lo sguardo piuttosto verso quelle orientali (soprattutto giapponesi) e pre-colombiane (maya e indios).
Dopo aver lavorato per sei anni nello studio di Sullivan, Wright decise di aprirne uno tutto suo a Oak Park, nei sobborghi di Chicago, accanto alla sua abitazione (progettata quando aveva ventidue anni).
Nelle forme, questa risentiva delle influenze giapponesi e dell’architettura vernacolare di Chicago, soprattutto per il controllo delle forme, la presenza della veranda e il tetto fortemente aggettante (molto più grande della casa, con i lati che protendono di tanto verso l’esterno creando ombre molto lunghe, ndr.).
La sua abitazione presenta già in germe tutti gli elementi della composizione architettonica che furono poi al centro della sua ricerca: la compenetrazione fluida tra gli spazi; la presenza di assi attorno ai quali sviluppare tutto il progetto; la posizione centrale del camino.
È forse quest’ultimo elemento a rimandare comunemente, anche oggi, all’idea della casa americana. Nei film western, ad esempio, spesso viene dato fuoco a case di legno, isolate nella prateria, costruite su un podio in pietra. Alla fine dell’incendio, sulla scena campeggiano le ceneri fumanti della casa distrutta e dalle quali emerge superstite il solo camino in pietra, cuore della casa.
Il camino diventa così, per Wright, non solo il centro della composizione architettonica degli spazi, ma anche simbolo della famiglia e delle sue relazioni, idealizzate probabilmente anche in seguito alla separazione dei suoi genitori.
Nel corso della sua lunga carriera, Wright ha firmato molti progetti rimasti incompiuti e altrettante opere costruite in diverse parti del mondo. Due esempi per tutti sono rispettivamente il progetto per Casa Masieri sul Canal Grande a Venezia (del 1954, progetto non realizzato) e il Nuovo Hotel Imperiale di Tokio (costruito tra il 1912 e il 1923, resistito al grande terremoto del 1922 e demolito nel 1968).
La sua ricerca ha interessato diverse tipologie edilizie e scale dell’architettura, affrontando progetti di dettaglio: dal disegno di finestre e decori, fino a elementi d’arredo; dalle scale domestiche (utili a collegare i piani delle case unifamiliari), fino alla grande scala del progetto per la realizzazione di un grattacielo alto un miglio.
Non solo: Wright fu impegnato anche nella ricerca per la progettazione urbana, occupandosi di edifici privati e pubblici, come uffici, luoghi di culto e musei (tra cui il Guggenheim di New York).
In seguito all’apertura del proprio studio, Wright cominciò a ricevere le prime commesse per la costruzione di abitazioni nell’area di Oak Park, una zona periurbana di Chicago, proprio in quella cinta di case che separa il centro dalla periferia, il cui il clima tranquillo contrastava con quello frenetico del centro. Questo contrasto sarà poi una caratteristica che l’architetto mise in luce nei suoi progetti.
Molti clienti di Wright erano uomini che si erano “fatti da soli”, esponenti di una nuova classe americana che egli stesso descriveva come dotati di “un istinto intatto e di ideali incontaminati” (Ibidem), persone per le quali la qualità di un progetto si misurava dal suo costo.
Anche per questo, le sue opere, al contrario di altre abitazioni nella zona, erano prive di decorazioni e presentavano, invece, elementi di stampo geometrico esteticamente più vicini alla tradizione locale e precolombiana.
Una delle prime opere a segnare un deciso in passo avanti nella ricerca di Wright fu la Winslow House (1893-94), un edificio elegante su due piani caratterizzato da un tetto fortemente aggettante.
L’abitazione è impostata su un rettangolo di base dentro al quale si articolano gli spazi. A tenere insieme l'intera costruzione ci pensa un’asse trasversale che parte dalla porta d’ingresso, attraversa il camino perfettamente al centro dell'edificio, e si prolunga verso il giardino retrostante tramite una veranda semicircolare. Ortogonali a questo asse, troviamo due assi secondari che terminano da una parte in un bow-window e, dall’altra, in uno spazio aperto (ma con copertura).
Esternamente, la composizione è tripartita in modo chiaro. Partendo dal basso, troviamo un basamento rivestito in terracotta (il piano terra), una parte rivestita in terracotta scura (il corpo) e, infine, il tetto (il coronamento). Su questo, spunta centrale il grande comignolo del camino. Il volume di copertura è accentuato da una serie di accorgimenti, come il forte contrasto cromatico tra la terracotta chiara del basamento e quella scura del corpo, o come la grande ombra data dallo sbalzo.
Tutti gli elementi strutturali emersi in questa breve descrizione della Winslow House saranno poi ricorrenti nelle opere di Wright tra il 1901 e il 1910, in particolare nelle Prairie House, le case nella prateria. Nei primissimi anni del ‘900 pubblicò sulla rivista Ladies’ Home Journal una serie di progetti accompagnati dalla sua idea per “Una casa in una Prairie Town”.
Tra il 1908 e il 1910 costruì la Robie House, forse la massima espressione delle Prairie House.
Il committente, un ventiseienne produttore di biciclette, chiese a Wright di progettare una nuova costruzione su un lotto angolare e stretto, chiedendogli di studiare, oltre a un’ala per i domestici, anche una soluzione che gli permettesse di vedere i vicini sul marciapiede (senza farsi vedere a sua volta) e di poter ammirare il parco situato a un isolato di distanza.
L’architetto organizzò quindi la casa con due corpi fortemente allungati, paralleli alla strada e slittati tra loro. Quello retrostante venne destinato a ospitare principalmente gli spazi di servizio (come garage, lavanderia, camere per i domestici, cucina e una camera per gli ospiti), mentre quello principale servì agli ambienti principali della famiglia.
Anche in questo caso, il camino fu posto al centro del corpo principale in modo da individuare due saloni, pur mantenendo un ambiente unico. Lo spazio interno fu dilatato verso l’esterno tramite terrazzi coperti al piano rialzato e lunghe vetrate decorate da motivi geometrici semplici. Una serie di accorgimenti progettuali, come le travi ribassate lungo le vetrate, permettevano al proprietario di guardare il marciapiede senza essere visto.
Tutti gli elementi del linguaggio architettonico di Wright si palesano: i muretti bassi in mattoni creano un forte legame col suolo; le coperture hanno dei forti aggetti e sono accentuate dalle ombre, enfatizzando l’orizzontalità dell’edificio; il camino è al centro della casa e appare all’esterno con un comignolo; un volume puro si stacca indipendente dalla copertura.
Nel 1910 fece un lungo viaggio in Europa e, ritornato negli USA, costruì nel Wisconsin “Taliesin”, una casa sulla collina in cui il sistema delle Prairie House si amplia per integrarsi col paesaggio. Taliesin diventa una sorta di celebrazione del vivere ideale in un ambiente naturale. Dopo un primo incendio nel 1914, fu ricostruita e ampliata, sopravvivendo poi a un altro incendio.
Negli anni ’20 matura un crescente interesse per il paesaggio americano e la sua ricerca arriva ad abbracciare le civiltà precolombiane americane.
Un esempio di questa ricerca è la Barnsdall House (1916-1921), un progetto che prevedeva anche un teatro sperimentale, oltre a studi e abitazioni per gli artisti.
Wright progettò quindi una casa a corte: verso l’esterno del patio, l’abitazione si estende nel paesaggio tramite lunghi corpi, e un piccolo corso d’acqua le viene costruito tutto attorno, per poi entrare e abbracciare il camino centrale. I prospetti sono caratterizzati dalla presenza, anche ripetuta, di motivi che richiamano in maniera chiara gli elementi decorativi maya, accentuati dalla pendenza verso il centro dei muri esterni. Nonostante l’edificio appaia lontano dalle Prairie House, i temi compositivi rimangono gli stessi, per essere poi modellati in una soluzione formale diversa.
Negli anni ’30, anche in seguito alla depressione e al New Deal americano, Wright si concentrò sulla progettazione delle Usonian Houses, una serie di abitazioni economiche il cui nome derivava direttamente dalla sigla U.S.A..
La Usonian House venne pensata per essere costruita velocemente e in modo funzionale, ed è formata da un solaio di base in cemento, da pareti prefabbricate e da una soletta isolata come copertura. Lo spazio giorno tiene insieme la cucina, il soggiorno e la sala da pranzo, e non sono previste stanze per i domestici perché il pubblico a cui il progetto si rivolgeva non aveva questa esigenza.
Questo genere di abitazione riscosse grande successo, tanto che la formula venne quindi ripresa dagli imprenditori edili e fu pubblicata sui cataloghi di settore.
A 67 anni, nel 1934, Wright progettò una delle sue opere più conosciute: la Fallingwater House (la casa sulla cascata, ndt).
Commissionata dal milionario E. J. Kaufmann e terminata nel 1937, l’edificio sorge sopra una cascata in un bosco della Pennsylvania e racchiude gran parte dei temi della sua ricerca compositiva e poetica.
L’edificio si compone di coraggiosi piani a sbalzo in cemento armato, sovrapposti e discostati dinamicamente tra loro, poggianti sul volume centrale in pietra della casa, volume che si aggancia alla roccia e si slancia armonicamente nel bosco.
L’abitazione si sviluppa su tre piani connessi da diverse scale posizionate su tutta la pianta, e che la collegano dal livello dell’acqua all’ultimo terrazzo. All’interno, il livello inferiore è scevro di pareti divisorie interne: nel grande spazio libero del soggiorno, le singole zone vengono definite dal disegno planimetrico dei muri esterni. Il camino (posto all’interno del volume principale in pietra) è il protagonista del soggiorno e, nella zona del fuoco e al livello del pavimento, la roccia della cascata stessa diventa parte della casa. Numerose le vetrate, che permettono un rapporto visivo diretto tra l’interno e l’esterno, e profonde le ombre disegnate dai balconi e altri elementi decorativi a forma di lamella (come i frangisole), che permettono di mantenere una dimensione riservata, nonostante le trasparenze e gli spazi liberi e aperti.
L’effetto globale è quello di un edificio che appartiene al luogo, sia nelle forme, che nei materiali e nei colori: il risultato della lunga esperienza dell’architetto americano, sviluppata a diretto contatto con la natura nella propria casa di Taliesin.
Wright morì nel 1959, dopo aver progettato e costruito altri edifici dopo la Fallingwater House. Importantissimo è stato il suo contributo all’architettura, che ancora oggi viene studiato in tutto il mondo. In particolare, la sua ricerca è stata determinante per la cultura americana e la sua ricerca di identità, tema che ha permeato la sua intera attività progettuale. La sua eredità è stata ed è raccolta da numerosi epigoni in tutto il mondo, fatto che ha contribuito (insieme ad altri) a esportare la cosiddetta “architettura moderna” fuori dai suoi singoli confini nazionali.
Curtis, L’architettura moderna dal 1900, 1982