Jacopo Norcini Pala
Che il fumetto, o graphic novel come lo definiscono i più scettici, non sia solamente una forma di intrattenimento per bambini e adolescenti è risaputo dall’alba dei tempi tra gli addetti al settore; e dopo la consacrazione di opere come Maus o Watchmen, il primo vincitore di un Pulitzer, il secondo incluso nella lista del TIME tra i 100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi, il mondo ha finalmente accettato il macrocosmo delle strips nell’Olimpo delle arti alte.
In Italia, il termine fumetto viene quasi automaticamente accostato all’immortale Topolino: dopo ottantacinque anni di pubblicazione, il settimanale ha raggiunto definitivamente uno status symbol che ha permesso la sua cristallizzazione nel patrimonio culturale pop nostrano, tra parodie in endecasillabi di Dante e saggi accademici in merito. E paradossalmente, nonostante questa popolarità abbia permesso all’Italia, come anche ad altre nazioni, di distaccarsi dalla linea di pensiero forse un po’ troppo semplicistica dettata dalle industrie Disney oltreoceano, appare strano che quello che viene normalmente considerato come il capolavoro assoluto dell’introspezione di un personaggio della “fabbrica dei sogni” sia frutto dell’immaginazione di un autore americano.
The Life and Times of Scrooge McDuck di Don Rosa, classe 1951, è un’opera che assume i caratteri delle grandi epiche in odore di postmoderno, continuamente rimescolando l’ironia e la tragedia, il successo e il fallimento, la storia e la fantasia, il testo e la sua interpretazione: fin dalla prima tavola siamo spettatori di una straripante rottura della quarta parete di Scrooge, quasi a volerci avvertire del pericolo di rimanere sovrastati da una figura così titanica come quella che si rivela lentamente tra le pagine del racconto.
Così, partendo dal 1877, si fa la conoscenza di un Paperon de’ Paperoni assolutamente spiazzante rispetto a quello canonico che Carl Barks, "l'uomo dei paperi", aveva imposto così profondamente al personaggio, a partire dall’aspetto: il nostro eroe piumato non è infatti rappresentato dalla tipica combinazione di palandrana, ghette, basette e cilindro, bensì da un irriconoscibile, ingenuo e generoso anatroccolo, circondato dall’affetto della propria famiglia. L’intento di Don Rosa si fa quindi evidente fin dal principio: voler ricostruire una cronistoria di un personaggio in modo da poter giustificare in toto la sua ascesa sociale e la sua evoluzione caratteriale.
La ricerca di Rosa è meticolosamente filologica e sconcertante: si basti considerare l’attenzione al dettaglio con cui l’autore riesce a far combaciare alcune delle più imprevedibili avventure classiche del papero multimiliardario con l’epica intimista del proprio lavoro. Ad esempio, nel terzo dei dodici capitoli della $aga, come viene affettuosamente stilizzata dagli italofoni, il protagonista ha un breve scambio con un personaggio secondario che mostra al nostro delle fantomatiche “uova quadre”, recuperate da un’ardimentosa spedizione sulle montagne andine.
La gag che ne consegue è in realtà un ingegnoso escamotage che si ricollega ad una storia del 1949 di Barks in cui Paperino, con nipoti al seguito, si reca sulle Ande proprio per trovare le sopracitate uova quadre, e della quale sempre Don Rosa scriverà poi un seguito, aggiungendo Paperone ai protagonisti.
Sempre nello stesso capitolo, come in tutta l'opera, è delizioso notare come Scrooge sia totalmente immerso nell’atmosfera e nell’epoca segnalate all’inizio di ogni episodio e che, nonostante questo, ne emerga in maniera totalmente anacronistica, in maniera non dissimile dal sergente Tyrone Slothrop del Gravity’s Rainbow pynchoniano: dalle battute che alludono e prevedono ironicamente quelli che poi diventeranno i tropi del personaggio di Paperone agli affascinanti cambi di costume, che camaleonticamente riflettono l’accettazione di un mondo da conquistare, pieno di opportunità e senza frontiere, adattandosi di volta in volta alle usanze e alle tradizioni locali, fino alle impossibili comparsate dei grandi personaggi della storia americana e non, da Theodore Roosevelt allo zar Nicola II, passando per Wyatt Earp e Jack London. Non manca neanche, nell’ultimo capitolo, un breve riassunto mutuato dall’introduzione del Citizen Kane di Orson Wells.
The Life and Times of Scrooge McDuck non fu particolarmente apprezzato dalla direzione Disney statunitense ai tempi della sua stesura, tanto più che Don Rosa fu costretto a dover pubblicare la prima edizione per la sottosezione danese: probabilmente sia per scelte di marketing (come accennato nell’introduzione, l’Europa si è sempre dimostrata più ricettiva al fumetto Disney degli USA), sia per un’eccessiva durezza dei temi, non particolarmente adatti a quella che è essenzialmente una rivista per bambini.
Lo spettro della morte è, effettivamente, uno dei motori più efficienti della motivazione di Paperone, e la sua presenza aleggia continuamente, sempre con classe e disinvoltura, tra le pagine del fumetto; Don Rosa è, ad oggi, uno dei pochi sostenitori della mortalità dei personaggi Disney, come lui stesso ha dichiarato in seguito alla pubblicazione di una controversa vignetta raffigurante la grande famiglia dei Paperi, visibilmente invecchiata, riunita davanti alla lapide di Paperone.
La più alta vetta toccata dall’opera di Don Rosa, però, rimane quella impensabile di scardinare definitivamente Paperone dallo status di agguerrito capitalista: nell’immaginazione dei lettori, anche grazie a delle scelte poco avvedute da parte degli autori successivi a Barks, il ruolo del magnate paperopolese era divenuto principalmente quello di insensibile sfruttatore di risorse, umane e non, maniacalmente ossessivo nei confronti di un inaspettato profitto. Don Rosa non snatura totalmente questa visione, ma lascia intendere, con lo scorrere degli eventi, una fama di potere che inevitabilmente corrompe il carattere del temerario avventuriero: Scrooge, da sognatore qual è in The Life and Times of, non nasconde mai l’innato desiderio di voler sovrastare chiunque e di diventare multimiliardario; è solamente il raggiungimento di quel desiderio che lo rende così mostruosamente distaccato da tutto ciò che in primis l’aveva spinto a voler diventare il papero più ricco del mondo.
Ed è solamente grazie alla “terapia d’urto” dell’ultimo capitolo che l’autore ci lascia intravedere, finalmente, un bagliore di speranza e di riconciliazione di Paperone col mondo: le monete d’oro, ironicamente un ottimo conduttore, custodite nel gigantesco deposito della tavola finale non sono più viste come un simbolo di fredda potenza materiale, ma un feticcio emotivo con le quali il protagonista riesce a catalizzare e rivivere la propria straordinaria ed umana esistenza, riallacciandolo all’uroborico universo disneyano sotto una folgorante luce positiva agli occhi del lettore.
Mondo fumetto - Topolino, topolino.it (data di ultima consultazione: 04/08/2021)
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