Elena Scaggiante
Edward Burtynsky è riconosciuto come uno dei maggiori fotografi contemporanei. Da oltre quarant’anni, le sue foto ritraggono l’industria e l’ambiente e denunciano l’impatto dell’uomo sulla natura. I suoi lavori sono esposti in più di 80 musei, fra cui la National Gallery of Canada a Ottawa, il Metropolitan Museum of Art a New York e il Tate Modern a Londra.
Edward Burtynsky nasce nel 1955 a St. Catharines, Ontario. Studia fotografia alla Toronto Metropolitan University e si laurea nel 1982. Dalla stessa università, riceve un dottorato ad honorem nel 2007. Nel 1985, Burtynsky fonda il Toronto Image Works, che comprende una camera oscura, un laboratorio fotografico analogico e digitale e un centro di corsi di informatizzazione per i new media dedicati alla comunità artistica di Toronto.
In Ontario, Burtynsky cresce a stretto contatto con gli stabilimenti della General Motors e le navi sul Welland Canal. Questo precoce avvicinamento all’industria cattura il suo immaginario e lo aiuta a formare la poetica che ancora oggi guida la sua fotografia. L’arte di Burtynsky espone l’impatto dell’umanità sull’intero ecosistema terrestre e come il pianeta è stato inesorabilmente cambiato dal nostro stile di vita in quanto specie invasiva. Questa tematica è il fulcro della sua poetica e filo tematico delle sue mostre.
A partire dal 1988, le opere di Burtynsky sono protagoniste di numerose mostre in tutto il mondo: Breaking Ground (1988-92) e Manufactured Landscapes (2003 - 2005) in Canada, Oil (2005 - 2009) a Washington D.C., USA e in Cina, Water (2013) a New Orleans, USA, Anthropocene (2018) in Ontario, Canada e BURTYNSKY: Extraction/Abstraction (2024) a Londra, UK e a Venezia, Italia. Attualmente, le fotografie di Burtynsky sono presenti nelle collezioni di oltre 80 musei di tutto il mondo.
I traguardi della carriera di Burtynsky includono numerosi discorsi presso prestigiose istituzioni artistiche fra cui la Library of Congress a Washington, D.C., USA e il Canadian Center for Architecture a Montréal, Canada. Le sue foto sono apparse su numerose riviste celebri tra cui National Geographic e The New Yorker e sono state elogiate attraverso diversi premi. Fra i più recenti spiccano l’Outstanding Contribution to Photography Award, conferito dalla World Photography Organization e l’inclusione nella International Photography Hall of Fame.
Dal 21 giugno 2024 al 12 gennaio 2025, la terraferma veneziana ha ospitato la mostra BURTYNSKY: Extraction/Abstraction, a cura di Marc Mayer, presso l’M9 - il museo del ‘900. Con questa mostra, Burtynsky ha portato avanti la denuncia dell’impatto dell’uomo sull’ambiente. La vasta antologia fotografica ha coperto gli oltre quarant’anni di carriera di Burtynsky ed è stata dedicata alla testimonianza delle conseguenze del sistema industriale sull’ambiente, su scala mondiale.
Grazie a una profonda conoscenza delle tecniche fotografiche, le opere esposte mostrano ambienti naturali e fabbriche, luoghi fondamentali per soddisfare i nostri bisogni quotidiani, che sfuggono alla nostra quotidianità e che, tuttavia, determinano il futuro del nostro pianeta e delle nostre vite. Le opere di Burtynsky mostrano allo spettatore questi luoghi come figure astratte, ma intellegibili. Attirano l’occhio di chi le osserva e lo catturano, fino a rivelargli la loro vera natura: un habitat in stato di deperimento a causa delle industrie e del consumismo.
La mostra comprende immagini rappresentanti la natura nei suoi quattro elementi (terra, aria, acqua, fuoco) e altre che riportano la realtà del lavoro non sostenibile delle industrie e dell’agricoltura. Nelle intenzioni di Burtynsky, le immagini rappresentanti la natura, in particolare quelle d’acqua, sono metafora della sete della nostra civiltà, vogliosa di adattare l’ambiente sulla base dei propri bisogni, che sono sempre maggiori. Attraverso le sue fotografie, Burtynsky vuole ricordarci che stiamo trasformando la Terra su scala esponenziale, quello che viene considerato sviluppo non è altro che la causa della nostra stessa distruzione.
Secondo Burtynsky, dobbiamo imparare a pensare alle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni. Queste foto sono la dimostrazione di come abusiamo delle risorse del nostro pianeta, in particolare dell’acqua, oltre a mostrare come le risorse non siano infinite. Le foto di Burtynsky sono quindi una testimonianza della sete globale alla quale ci stiamo autocondannando.
Burtynsky ce lo racconta con immagini rappresentanti i lavoratori nelle fabbriche cinesi, simbolo del consumismo di massa, che crea oggetti pensati per darci un illusorio senso di felicità e soddisfazione, ma che in realtà portano alla distruzione del nostro pianeta.
Nel suo libro Frontiere (2024), il giornalista Francesco Costa presenta una foto di Burtynsky, “Breezewood, Pennsylvania”, come sineddoche dell’identità americana, o almeno di ciò che le persone associano all’essere americani. Il luogo che la foto rappresenta, Breezewood in Pennsylvania per l’appunto, è un enorme incrocio, gremito di distributori di benzina, stazioni di servizio, fast food, motel e negozi, tutti provvisti di insegne luminose con colori sgargianti, aree parcheggio e le scritte al neon dietro le finestre.
Costa racconta che la foto di Burtynsky è spesso descritta come l’incrocio per eccellenza, simile a tanti altri, ma con “più negozi, più insegne, più luci, più tutto” (Costa, 2024:264). È l’incrocio che esemplifica l’accatastamento urbanistico presente lungo le autostrade americane, dove masse di persone e famiglie americane passano, dormono, comprano e consumano ogni giorno. È l’esemplificazione massima del capitalismo, di una società dedita alle sole logiche del mercato e dipendente dal petrolio (Costa, 2024:263-4). Non stupisce quindi, come racconta la giornalista Amanda Kolson Hurley, che la foto di Burtynsky venga spesso riprodotta e citata su internet come un puro distillato di cultura americana e che Breezewood venga spesso definita come la città americana per eccellenza. Tutto vero, ma questo ritratto - affermano Costa e Hurley - cela anche qualcos’altro.
Questo incrocio collega due autostrade attraversate ogni anno da oltre sei milioni di auto: la Lincoln Highway, che collega New York a San Francisco e passa appunto per Breezewood, con un’altra a pedaggio, il Pennsylvania Turnpike. Il risultato è stata la creazione di Breezewood, una comunità-autogrill “in cui per quattrocento metri si distende un condensato di americanità consumistica” (Costa, 2024:263-5).
L’aspetto più paradossale di Breezewood è che la sua nascita non si deve soltanto all’avarizia tipica dell’economia capitalista, pronta ad approfittare del passaggio di milioni di veicoli pieni di potenziali consumatori, ma anche alla burocrazia. Una vecchia legge impediva di collegare in maniera diretta una strada a libera circolazione con una a pedaggio, per evitare che qualcuno potesse imboccarla per errore. Un problema risolvibile con un semplice cartello, ma che invece ha avuto la conseguenza di far perdere mezz’ora di viaggio a milioni di persone ogni anno e di creare le condizioni per la nascita di una sorta di “gigantesca area di sosta obbligatoria, l'incredibile giungla di neon che si definisce ancora oggi ‘L’oasi del viaggiatore’”. (Costa, 2024:263-5).
Per Hurley, Breezewood più che un non-luogo rappresentante l’archetipo di città americana, è invece un luogo immediatamente riconoscibile. È una condizione urbanistica unica, una città i cui abitanti cambiano di ora in ora. Nella sua lettura, Francesco Costa concorda nel non definire Breezewood un non-luogo e va addirittura oltre, descrivendolo come un “super-luogo”, un termine che ricorda quello di hyperreality, coniato da Jean Baudrillard: rappresentazioni mediatiche della società capitalista contemporanea, che hanno ormai sostituito l’idea che abbiamo della realtà stessa (Baudrillard, 1981:1-75).
Allo stesso modo, la rappresentazione di Breezewood di Burtynsky viene interpretata come la realtà americana, pur immortalando solo un incrocio di un’autostrada, cioè un luogo artificiale, creato dall’uomo. Costa descrive Breezewood come il prodotto unico dell'incontro fra burocrazia e sviluppo liberista, un simbolo dell’incontentabile desiderio di consumo degli americani, della loro irrefrenabile ricerca della comodità e dell'inscalfibile predominio culturale del modello capitalista e delle sue conseguenze (Costa, 2024:265-6). Conseguenze che Burtynsky denuncia nelle sue foto e che annunciano la fine del nostro pianeta e di chi lo abita.
Baudrillard, Jean. Simulacres et Simulation, 1981.
“Biography – Edward Burtynsky”, su edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 22/12/2024).
“BURTYNSKY: Extraction/Abstraction”, su m9museum.it (data ultima consultazione 22/12/2024).
“China”, su edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 31/12/2024).
Costa, Francesco. Frontiere, 2024.
Kolson Hurley, Amanda. “What Internet Memes Get Wrong About Breezewood, Pennsylvania”, 2019, su bloomberg.com (data ultima consultazione 24/12/2024).
“Water”, su edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 30/12/2024).
Foto
Foto 1 da edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 22/12/2024).
Foto 2 da edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 22/12/2024).
Foto 3 da edwardburtynsky.com (data ultima consultazione 22/12/2024).