"C'era una volta a New York": il personaggio di Ewa attraverso archetipi e stereotipi

Elena Scaggiante

In “The Immigrant in film: evolution of an illuminating icon" (2010), Carlos E. Cortés analizza le rappresentazioni degli immigrati nei film americani attraverso i decenni e identifica cinque tipi di personaggi stereotipati. Questi archetipi narrativi si applicano a ogni rappresentazione dell’immigrato o possono esisterne di altre? La pellicola C'era una volta a New York (2013), diretta da James Gray, sembra accogliere proprio questa possibilità.

 

1. L’immigrato e gli stereotipi del cinema

2. L’immigrato, oltre gli stereotipi

3. Il sognatore alieno

4. Fonti

 

1. L’immigrato e gli stereotipi del cinema

Cortés fornisce cinque tipi di personaggi stereotipati nel modo in cui vengono rappresentati gli immigrati nelle pellicole cinematografiche (Cortés, 201:355):

- l'alieno incomprensibile - come esempi di alterità in mezzo a noi (straniero, alieno);

- il pasticcione - come bersagli dell'umorismo, di solito oggetto di battute basate sulla non comprensione della cultura statunitense da parte dell’immigrato;

- il sognatore - come rappresentazione fisica del Sogno Americano a cui molti ambiscono;

- la vittima sociale - usata come pedina (a volte vittima, a volte combattente) nella lotta per risolvere le questioni sociali degli Stati Uniti, tra cui pregiudizi, discriminazioni e sfruttamento;

- la minaccia aliena - come sovvertitori della tranquilla vita americana, personificazioni del male incomprensibile e misterioso. 

 

Nel caso del film C'era una volta a New York, queste categorie non sembrano però essere davvero calzanti, dato che il film problematizza la rappresentazione dell’immigrato, riuscendo a portare sullo schermo una rappresentazione che coglie la complessità di questa condizione umana. La pellicola ruota attorno a una donna immigrata, Ewa (Marion Cotillard). Ewa è una polacca appena arrivata a Ellis Island con la sorella Magda. Al loro arrivo, vengono separate. Per ritrovarsi, serviranno gli sforzi irrefrenabili di Ewa che riuscirà a far uscire sua sorella dall'isola. Le sue difficoltà a New York, nel tentativo disperato di ricongiungersi a sua sorella, la rendono una protagonista non sempre facile da interpretare. Il suo atteggiamento e le sue risposte veementi spesso problematizzano molti dei cliché associati alla figura dell'immigrato, impedendo qualsiasi categorizzazione (Álvarez López, 2018:123). Se si analizza il personaggio di Ewa attraverso tutte le categorie di Cortés è evidente come sia impossibile etichettarla.

 

2. L’immigrato, oltre gli stereotipi

All'inizio di C'era una volta a New York, Ewa e Magda sono a Ellis Island in attesa della registrazione per entrare negli Stati Uniti. In fila, Ewa invita sua sorella ad avere fede: una volta ricongiunte alla zia Edyta, già a New York da anni, con suo marito, saranno al sicuro e potranno mettere su famiglia in America. In queste vesti, Ewa è presentata come lo stereotipo del personaggio sognatore: arrivare negli Stati Uniti per lei e la sorella rappresenta l’inizio di una vita felice. La sua fermezza e convinzione la fanno apparire decisa, priva di tentennamenti neanche di fronte agli ufficiali americani di Ellis Island. Piuttosto, viene presentata come una donna istruita, ha lavorato come infermiera per un diplomatico britannico e, per questo, sa parlare inglese fluentemente. Proprio questo dettaglio le permette di rompere l’associazione dello straniero con l’alieno incomprensibile. Qui non c’è alcuna barriera linguistica.

Tutto fila liscio, ma gli ufficiali sono lì anche per controllare la salute dei nuovi immigrati e scoprono che Magda ha una malattia polmonare. Deve quindi restare a Ellis Island mentre Ewa può proseguire nella registrazione. Qui viene osteggiata da un ufficiale: i rapporti su di lei dicono che ha avuto un comportamento promiscuo sulla nave. In quanto donna dalla scarsa moralità, non può essere ammessa nel Paese. Come se non bastasse, l’ufficiale informa Ewa che l’indirizzo di casa di sua zia non è valido e nessun parente è venuto per lei. L’evento promiscuo a cui l’ufficiale allude viene svelato solo più avanti: durante la traversata, alcuni uomini hanno stuprato Ewa durante la notte, approfittando del fatto che fossero tutti stipati insieme nella stiva come animali. Anche la notizia dell’indirizzo errato viene chiarita più avanti: l’ufficiale alla registrazione le aveva mentito perché corrotto da un uomo di nome Bruno, che voleva assumere Ewa come una delle sue prostitute. Questi episodi contribuiscono a categorizzare il personaggio di Ewa secondo l’archetipo della vittima sociale, contrastata da ingiustizie evidenti: ha una famiglia a New York; potrebbe lavorare con le sue credenziali di infermiera; il suo inglese è fluente, ma viene etichettata come promiscua e senzatetto, rientrando a pieno titolo anche nel cliché della minaccia aliena.

Questa lettura di C'era una volta a New York è coerente anche con il commento di Álvarez López sulla scena, secondo cui problematizza la promessa di uguaglianza nel sogno americano, svelando la realtà: nel processo di selezione, il denaro conta, così come contano i legami familiari, la supposta moralità e la salute del sognatore (Álvarez López, 2018:125). Nonostante le loro oneste intenzioni e le grandi speranze, le due sorelle vengono penalizzate da questo processo. I loro sogni di felicità vengono presto disillusi dalla realtà dei fatti su Ellis Island, che nelle parole dello stesso regista era "piena di un gran desiderio e angoscia, e naturalmente di molta trepidazione". Questo enfatizza la posizione di Ewa come vittima sociale, piuttosto che una minaccia.

Per evitare l'espulsione, Ewa accetta l'aiuto di Bruno, che si presenta così come l’unica possibilità per lei di entrare nel Paese. Bruno l'aiuta ad arrivare a New York, le dà un posto dove stare e le offre un posto come sarta al teatro dove lavora con altre ragazze. Arrivati a casa di Bruno, Ewa viene raggiunta da un telegramma: Magda ha la tubercolosi e le sue cure dovranno essere pagate. Questo accelera le scelte di Ewa, dapprima scettica verso l’offerta di lavoro di Bruno, e si ritrova così a non avere alternative e decide di restare con lui. Prima che inizi a lavorare, Bruno dice a Ewa di unirsi alle altre ragazze che lavorano per lui e di fare un bagno. Lì, una delle ragazze le offre una banana da mangiare, ma lei non aveva mai visto quel frutto e la morde senza sbucciarla. 

L'ignoranza di Ewa su come mangiare le banane è associabile alla figura del pasticcione, enfatizzato dalle risate delle altre ragazze. Tuttavia, una delle ragazze la aiuta a sbucciare e mangiare nel modo giusto la banana. Il gesto gentile e i ringraziamenti di Ewa invitano gli spettatori a simpatizzare con la sua ignoranza, piuttosto che a riderne

Ewa inizia a lavorare al teatro e viene subito convinta a esibirsi come ballerina con le altre ragazze. È così che si rende conto che dietro l’attività di facciata, Bruno gestisce un bordello e le ragazze sono tutte prostitute. Ewa è sul palco, vestita da Statua della Libertà, un ironico e beffardo simbolo della stessa libertà di cui lei è priva stando con lui (Álvarez López, 2018:126). Infatti, Bruno sa bene che a Ewa serve un posto dove stare e soldi per far uscire la sorella da Ellis Island. Così, riesce a farle accettare il suo primo cliente. Questo rompe ogni possibile rimasuglio di buona fede di Ewa nei confronti di Bruno: arrivati a questo punto i piani dell’uomo sono chiari: Ewa gli serve solo per i suoi interessi.

Tuttavia, accetta di lavorare per lui come prostituta, convinta che sacrificare la sua moralità sia l'unico modo per salvare Magda. Il regista mostra Ewa in lacrime mentre accetta il destino prospettato nel bordello, nel tentativo di far empatizzare lo spettatore con le condizioni di una immigrata giunta a New York con le migliori intenzioni e aspettative, restando vittima di un abbaglio. Riecheggiano in queste scene anche i divieti ipocriti della polizia all’ingresso a Ellis Island: donne di bassa moralità non avrebbero potuto far accesso all’isola. Che ne è allora degli ufficiali? Sono loro stessi clienti di Bruno, i veri promotori della prosituzione. Tutta questa ricostruzione degli eventi in C'era una volta a New York rafforza la presentazione di Ewa come vittima sociale, piuttosto che come minaccia aliena. Eppure non ha scelta: deve restare con Bruno. In una scena cerca di lasciarlo per cercare la casa degli zii. La trova e viene a scoprire che i parenti erano andati a Ellis Island per recuperare lei e Magda, ma gli fu detto dall’ufficiale che le due sorelle non erano mai arrivate. Gli zii se ne tornarono a casa senza nipoti. Eppure, il ricongiungimento non porta a un lieto fine: suo zio chiama la polizia e la fa arrestare quando scopre che le è stato rifiutato l'ingresso in città a causa della sua presunta scarsa moralità.

Tradita dall’uomo che avrebbe dovuto accoglierla, Ewa viene rimandata a Ellis Island, tenuta in una cella in attesa di essere espulsa il giorno successivo. Lì, un'altra immigrata sottolinea con Ewa la loro condizione di nullità. Tuttavia, invece di unirsi al lamento della donna, risponde con convinzione che lei non è una nullità. Álvarez López vede in questa risposta di Ewa una: 

"forte affermazione del proprio valore [...] fa luce su un altro tratto della sua personalità: la sua riluttanza a vedersi, o ad essere etichettata dagli altri, come una vittima" (Álvarez López, 2018:123).

Affermare il suo valore e rifiutare l'ipocrisia di Bruno mostrano Ewa come un personaggio che, nonostante la disperazione, non rinuncia alla sua dignità. Questa è la vera chiave per interpretare il personaggio secondo James Gray e Marion Cotillard: Ewa è al tempo stesso padrona e vittima degli eventi che determinano il suo destino. Si sente in colpa per i propri peccati, percepiti o reali, ma mostra al contempo molta forza e una grande resilienza. Sebbene il suo personaggio sia indubbiamente presentato come succube del trattamento ingiusto subito dagli immigrati in America, le sue affermazioni di valore di sé non la mostrano come una vittima sociale rassegnata al suo destino: lei afferma il suo valore al di là dell’etichetta di donna di scarsa moralità che le viene affibbiata.

 

3. Il sognatore alieno

Per la protagonista di C'era una volta a New York, ancora una volta, l’unico modo per salvarsi dalla detenzione è accettare il lavoro da Bruno: i soldi le servono per salvare Magda. Tornata al teatro-bordello, Ewa incontra Emil, che aveva incontrato per la prima volta a Ellis Island nei panni di “Orlando il Mago”. Emil si innamora di Ewa e le propone di lasciare New York per viaggiare insieme attraverso gli Stati Uniti in completa libertà. Avrebbero incarnato così la vera filosofia del Sogno Americano. Ewa è tentata dalla proposta di Emil, che vede come una possibile scialuppa di salvataggio dal bordello di Bruno. Tuttavia, non accetta perché ciò significherebbe abbandonare la sorella. Francescato traccia un collegamento tra l'incapacità di Ewa di integrarsi nella società americana e il suo attaccamento a Magda, l'unica famiglia rimastale. Le sorelle si sono promesse sostegno reciproco e in America, una terra mossa dal successo individualista e dall'obsolescenza delle relazioni familiari, le due non possono avere futuro (Francescato, 2021:76). La determinazione di Ewa nel volersi ricongiungere a Magda non si addice al modo di vivere né di Emil, che lascia chi non è disposto a seguirlo, né di Bruno, che approfitta di tutti per il suo interesse.

Nonostante Ewa dica all’inizio di C'era una volta a New Tork che anche lei si sposerà e avrà figli una volta giunta a New York, qui non fa altro che ricongiungersi a sua sorella; un obiettivo che va contro le logiche individualistiche dell'America. Per Cortés, l’archetipo del sognatore non è solo l’immigrato che ha un sogno, ma è una vera e propria "incarnazione del processo di ricerca per diventare americani e afferrare il Sogno Americano" (Cortés, 2010:355). Non a caso, il film sembra suggerire il distacco di Ewa dalla società americana quando rifiuta di fare amicizia con le altre immigrate, anche se condividono i suoi stessi problemi e disagi, fatta eccezione per una scena iniziale in cui condivide con altre ragazze un bagno comune, appena arrivata a Ellis Island.

Álvarez López fa notare come, nonostante sia una nuova arrivata in un paese straniero, Ewa difende la sua individualità e rifiuta di conformarsi alla società americana. Da questo punto di vista, è più vicina all'indipendente Orlando che a Bruno, il quale ha costruito una famiglia alternativa basata sulla protezione che lui può offrire alle ragazze. Solo in una scena, poco dopo il suo arrivo negli Stati Uniti, vediamo Ewa mescolarsi in maniera timida con le altre ragazze al bagno comune. A parte questo episodio, rimane per conto suo per la maggior parte del film (Álvarez López, 2018:123). Non è una coincidenza che riesca a trovare i soldi per far uscire Magda da Ellis Island grazie alla sua iniziativa di andare a chiedere aiuto a sua zia, con la promessa di scomparire per sempre, poiché suo zio non la vuole a casa sua. Non le sono serviti quindi né Bruno né Emil.

Ewa è a tutti gli effetti un personaggio che sfugge alle categorie negative di rappresentazione descritte da Cortés, grazie a una narrazione che fa simpatizzare gli spettatori con la protagonista. Al contempo, elude le rappresentazioni più positive con la sua personalità indipendente e assertiva, mossa da una devozione assoluta nei confronti di sua sorella. In C'era una volta a New York, James Gray è riuscito a creare un personaggio che sfugge a qualsiasi categoria delineando un nuovo modello narrativo dell’immigrato americano: un sognatore alieno. Infatti, Ewa è aliena alla società statunitense, poiché rifiuta di aderire alla filosofia individualista di New York. Eppure, allo stesso tempo, rimane una sognatrice poiché spera ancora di farcela e lasciarsi alle spalle le ceneri della Grande Guerra in Europa.

 

4. Fonti

Álvarez López, Cristina. “Capitalism, Otherness and the American Dream: James Gray's The Immigrant”, Screen Education, 2018.

Cortés, Carlos E. “The Immigrant in Film: Evolution of an Illuminating Icon”, Hollywood's America: Twentieth-century America Through Film, 2010.

Francescato, Simone. “On ‘Not Being Nothing’: Post-ironic Melodrama in James Gray’s ‘The Immigrant’”, Iperstoria, 2021.

Gray, James. The Immigrant, 2013.

“James Gray Interview For ‘The Immigrant.’” Flicks and Bits, 2013, web.archive.org (data ultima consultazione 20/4/2023).

“Marion Cotillard Interview For ‘The Immigrant.’” Flicks and Bits, 2013, web.archive.org (data ultima consultazione 21/4/2023).

 

Foto

Foto 1, 2 e 3 da imdb.com (data ultima consultazione 18/2/2025).