Elena Scaggiante
Il 7 settembre 1895, la rivista The Literary Digest pubblicava un articolo intitolato “The ‘Bicycle Face’”, che riportava diversi pareri sugli effetti collaterali dell’utilizzo della bicicletta, un dibattito allora molto controverso. In quegli anni, infatti, molti dichiaravano che chi usasse smodatamente la bicicletta tendesse ad avere un viso visibilmente stanco e affaticato e che in generale sviluppasse un eccessivo stress fisico. Inoltre, secondo questi pareri, ciò avrebbe riguardato in special modo categorie considerate fragili, ovvero bambini, anziani e donne. Sempre nello stesso articolo, sono riportate opinioni di altri che invece difendevano i benefici sia fisici che mentali portati dall’attività ciclistica.
Dall’articolo risulta chiaro come all’epoca l’opinione pubblica fosse alquanto divisa riguardo l’approvazione o meno dell’uso della bicicletta, in particolare da parte delle donne.
Tra la seconda metà del 1800 e gli inizi del 1900, la cultura vittoriana dominava in tutti i paesi anglofoni, compresi gli Stati Uniti, che in quel periodo ne acquisì i valori e i costumi.
Uno dei fondamenti della società vittoriana era la divisione di genere, in particolare per quanto riguardava il sesso. Agli uomini era concesso discuterne e provare desiderio sessuale, mentre dalle donne ci si aspettava la totale assenza di desiderio e che il sesso fosse praticato esclusivamente a fini riproduttivi. Per quanto riguarda la sfera sociale, invece, gli uomini, ritenuti fisicamente forti, si dedicavano alla vita pubblica, mentre le donne erano relegate a quella domestica, essendo ritenute fisicamente delicate e deboli.
Ciò portò a un ampio dibattito, sia medico che pubblico, per decidere se la bicicletta fosse o meno un esercizio adeguato per le donne.
In uno studio pubblicato nel 1895, la New York Obstetrical Society riportò le opinioni di diversi medici sugli effetti che l’utilizzo della bicicletta avesse sulla salute femminile. Diversi medici sconsigliavano tale pratica per donne e bambine, in quanto un esercizio eccessivo e un prolungato contatto degli organi genitali con la sella sembrassero comportare danni al sistema riproduttivo femminile, in particolare al pavimento pelvico e all’utero.
Un altro elemento al centro del dibattito era il presunto appagamento sessuale provocato dal sellino. Ciò significava che permettere alle donne l’uso della bicicletta avrebbe diffuso la pratica masturbatoria, allora considerata inappropriata e disgustosa, anche nel privato (NYOS, 1895:86-95). Oltre a ciò, si temeva che permettere alle donne di girare liberamente in bicicletta avrebbe comportato per loro un eccessivo esercizio fisico che avrebbe reso il loro corpo troppo mascolinizzato, portando a una equivalenza, sia sociale che fisica, tra i sessi. Questo quindi avrebbe minato alle basi la società binaria vittoriana (Hallenbeck, 2010:328-31).
Altri invece difendevano l’uso della bicicletta per donne e bambine, sostenendo portasse evidenti benefici fisici, in particolare muscolari, e che una postura eretta sul sellino avrebbe ovviato alla stimolazione genitale, rendendo anzi l’attività ciclistica un’ottima distrazione dalla masturbazione (NYOS, 1895:86-95).
Tuttavia, nonostante il supporto di alcuni medici, la maggioranza dell’opinione medica concordava sul fatto che il corpo femminile fosse troppo fragile e delicato per poter sostenere lo sforzo fisico richiesto dall’uso della bicicletta. Questa opinione, secondo alcuni storici, serviva solo a rafforzare l’immagine per cui la donna dovesse restare confinata tra le mura domestiche (Hallenbeck, 2010:328-9).
A contrastare tali voci c’erano però quelle di diverse femministe come, ad esempio, Mary Bisland e Mary Sargent Hopkins. Queste reporter, pubblicando su riviste molto diffuse all’epoca, riuscirono a influenzare una fetta significativa dell’opinione pubblica, specialmente quella femminile, sui benefici che l’utilizzo della bicicletta portava alle donne (Hallenbeck, 2010:330).
Fra le varie pubblicazioni, ricordiamo la rivista femminile Godey’s Magazine, che nell’aprile 1896 dedicò un numero speciale proprio alla bicicletta. In questo, spicca l’articolo di Mary L. Bisland, “Woman’s Cycle”, in cui la reporter esaltò la bicicletta come mezzo di liberazione del corpo femminile. Bisland insistette sul fatto che la “new woman”, la donna americana emancipata, non dovesse coltivare solamente il suo intelletto, ma anche e soprattutto la sua forza fisica, obiettivo perseguibile anche per mezzo della diffusione della bicicletta, sempre più popolare in Occidente. Bisland vedeva nel ciclismo un’attività in grado di stimolare l’intelletto delle donne, attraverso un esercizio fisico adatto e per nulla eccessivo. Non a caso, sottolineò come gli uomini sottovalutavano lo sforzo fisico a cui le donne erano sottoposte a causa dei doveri domestici, sottostimando di conseguenza la resistenza del corpo femminile. Questa attività non rendeva le donne meno aggraziate o femminili, ma semplicemente più libere, come la Costituzione americana aveva promesso loro di essere (Bisland, 1896:385-88).
Un’altra pubblicazione che ebbe per focus il rapporto tra le donne e l’uso della bicicletta fu quella dell’attivista Mary Sargent Hopkins, “The Outdoor Woman”, pubblicato nel 1899 su Frank Leslie’s Popular Monthly. La rivista, ai tempi, teneva una rubrica dedicata alle donne dal titolo “The American Woman in Action”. L’articolo di Hopkins, similmente a quello di Bisland, difendeva i benefici fisici che l’uso della bicicletta aveva sulle donne. A differenza del primo, però, questo articolo è in pieno contrasto con il concetto della “Bicycle Face”, ovvero la credenza dell’epoca secondo la quale l’uso della bici portasse ad avere un volto stanco e affaticato. Al contrario, Hopkins aprì il suo articolo affermando che l’attività ciclista donava alle donne un volto sano e luminoso e non più spento e pallido come quello delle loro madri, a cui non era permesso fare attività fisica.
Come Bisland, Hopkins difese il diritto delle donne di andare in bicicletta: l’attività fisica non trasformava le donne rendendone i corpi più virili, ma anzi le rendesse ancora più donne. Ciò proprio grazie alla vitalità e all’energia che solo l’uso della bicicletta aveva permesso loro (Hopkins, 1899:313-16).
Gli sforzi di femministe come Bisland e Hopkins contribuirono a portare l’opinione di donne all’interno di discorsi medici sul corpo femminile condotto da una comunità medica quasi esclusivamente maschile, portando alla luce non solo le vere capacità del corpo femminile, ma esplicitando la retorica patriarcale della comunità medica di allora che ne stava a monte (Hallenbeck, 2010:342-43). Non a caso, queste battaglie riuscirono a convincere sempre più persone, medici e non, a lasciare le donne libere di fare attività fisica, incrementando la diffusione della bicicletta nella popolazione femminile nel corso del secolo scorso.
Oggigiorno infatti, le donne statunitensi usano tranquillamente la bicicletta per uso quotidiano, ma anche agonistico, come l’atleta Chloe Dygert, che alle Olimpiadi 2024 di Parigi ha portato a casa per gli Stati Uniti il bronzo per ciclismo su strada nella categoria femminile.
Bisland, Mary L. “Woman’s Cycle”, Godey’s Magazine, 1896.
Hallenbeck, Sarah. “Riding Out of Bounds: Women Bicyclists’ Embodied Medical Authority”, su Rhetoric Review, 2010, jstor.org (data ultima consultazione 23/7/2024).
Harmond, Richard. “Progress and Flight: An Interpretation of the American Cycle Craze of the 1890s”, su Journal of Social History, 1971-72, jstor.org (data ultima consultazione: 22/7/2024).
Hopkins, Mary Sargent. “The Outdoor Woman”, Frank Leslie’s Popular Monthly, 1899.
New York Obstetrical Society, Transactions of the New York Obstetrical Society, 1895.
“The ‘Bicycle Face’” su The Literary Digest, 1895, hathitrust.org (data ultima consultazione: 19/7/2024).
Victorian era, su britannica.com (data ultima consultazione: 30/7/2024).
Foto
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