Sara Fabbri
Il 5 aprile 1997 Allen Ginsberg, uno dei poeti più emblematici della controversa Beat Generation, muore a New York. Avendo raggiunto la fama mondiale grazie al suo contributo al movimento culturale Beat, nato da un gruppo di scrittori americani della Columbia University, Ginsberg viene ricordato specialmente per il suo stile sperimentale e intimistico. Lo scrittore affermava che tutti i suoi scritti costituivano una sorta di biografia estesa. Difatti, Things I’ll Not Do (Nostalgias) (Le cose che non farò, nostalgie, ndt.), l’ultimo componimento che scrisse prima di morire è particolarmente rappresentativo del tentativo di Ginsberg di riportare la sua vita in poesia. La poesia si configura come un lungo elenco di impegni e promesse che il poeta avrebbe dovuto mantenere. Purtroppo, dopo sei giorni un fatale cancro al fegato ha messo fine alla sua esistenza tanto anticonformista.
Il movimento letterario creato da Ginsberg e dai suoi amici divenne noto come Beat Generation, espressione coniata nel 1948 da due dei membri del collettivo stesso, Jack Kerouac e John Clellon Holmes, durante una discussione.
Il movimento si presentava come un gruppo di letterati che rifiutavano le regole imposte dalla società, sperimentando con l’arte e le droghe, e negando ogni visione materialista del mondo.
L’aggettivo “beat”, così distintivo per gli scrittori, dunque, faceva riferimento alla stanchezza e all'alienazione, o più precisamente, per dirla come avrebbe detto Kerouac in seguito (Mambrol:2020), alla sensazione di "beatness" percepita dalla loro generazione.
Tuttavia, la svolta decisiva per il movimento e per Ginsberg stesso arrivò quando lesse il suo poema più famoso, L’urlo (Howl, nella versione originale) il 7 Ottobre 1955 a San Francisco al Six Gallery Reading, un importante evento di lettura poetica. Come la maggior parte dei componimenti di Ginsberg, non è solo una biografia della sua vita fino al 1955, ma anche una storia della Beat Generation stessa.
“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche”, così inizia la poesia, proseguendo con riferimenti ad aneddoti che riguardano i suoi colleghi alla Columbia. Infine, nelle note a piè di pagina, composte da 15 versi, termina benedicendo e consacrando i suoi compagni Beat più intimi:
"Santo Peter santo Allen santo Solomon santo Lucien santo Kerouac santo Huncke santo Burroughs santo Cassady santi gli sconosciuti mendicanti sodomiti e sofferenti santi gli orrendi angeli umani!"
Curiosamente, sia gli scrittori della West che dell’East Coast riuniti a questo evento, raccolsero soldi tra i membri del pubblico per comprare brocche di vino. L’urlo venne dunque letto da un Allen Ginsberg appassionato e ubriaco, con le braccia distese di fronte alla sua audience. Michael McClure, poeta, romanziere e leggenda Beat, scrisse in risposta al debutto della poesia:
Ginsberg continuò a leggere fino alla fine del poema, il quale ci lasciò a bocca aperta, o applaudendo e interrogandoci, ma con la consapevolezza più profonda che una barriera era stata superata, che una voce e un corpo umani si erano scontrati con il duro muro dell'America.
Dopodiché, nel 1957, Ginsberg stupì il mondo letterario abbandonando San Francisco. Dopo un periodo in Marocco, Allen e Peter Orlovsky, suo futuro partner di lunga data, si unirono all’amico e poeta Gregory Corso a Parigi.
Corso li introdusse a una modesta pensione sopra un bar al 9 di rue Gît-le-Cœur che sarebbe diventata nota come il Beat Hotel. Ben presto furono raggiunti da Burroughs e altri autori Beat. Poi, durante il periodo 1962-1963, Ginsberg e Orlovsky viaggiarono attraverso l’India, vivendo per sei mesi alla volta a Calcutta (ora Kolkata) e Benares (odierna Varanasi). I due si diressero poi verso la Grecia, dove trascorsero due mesi ad Atene e visitarono varie città come Delfi, Micene, Creta, continuando il loro viaggio in Israele, Kenya e infine nuovamente in India.
L’impagabile ricerca di Allen (frutto della controcultura stessa di cui era fondatore), insieme alla tradizione beat, la cultura hippie, le spinte anti-establishment, le dipendenze e un desiderio irrefrenabile per la pace, lo portarono dall’America alla scoperta dell'India, del Tibet e del Vietnam.
In questo quadro si contestualizza il poema che scrisse il 31 marzo del 1997, dopo essere venuto a conoscenza della diagnosi di un cancro al fegato che gli sarebbe stato fatale dopo non più di sei giorni.
Il poema colpisce profondamente il lettore, in particolar modo per la sua trasparenza e autenticità. Si tratta di più che una semplice poesia: per Ginsberg è un resoconto, una biografia di ciò che ha fatto e che non ha fatto, i luoghi visitati e quelli dove non è stato, ciò che avrebbe dovuto fare o evitare.
In altre parole Allen scrive una vera e propria rivisitazione della sua memoria. Tra riflessioni e nostalgia, viaggi attorno al mondo, e intimità create e poi distrutte (ma sempre grande fonte di ispirazione), Ginsberg prende nota di tutte le sue più grandi sofferenze, delle sue felicità più accecanti così come di quelle mai provate.
Partenze e addii, fanno da sfondo al congedo da tutto ciò che ha sperimentato durante la sua vita. Non è semplicemente un elenco ma un testo denso di nostalgia e di rimpianto, attraverso un attento susseguirsi dei "non" e dei "né" posti all'inizio di ogni paragrafo. “Non andrò mai in Bulgaria” affermava, “stessa cosa per l’Albania”, “né visiterò Lhasa […] né tornerò mai a Kashi”, riflettendo su inviti che sarebbe stato costretto a rifiutare. Medita sul fatto che non tornerà a “fare il bagno nel Gange” o che non potrà “seder[si] di nuovo al ghat di Manikarnika con Peter”, luogo più antico e sacro dell’induismo situato nel centro abitato della città. Solo un talento geniale come quello di Allen Ginsberg poteva trasformare un rapido elenco di azioni, simili a una lista della spesa, in un'opera di pura poesia.
Non è solo attraverso i viaggi e le avventure straordinarie che Ginsberg vuole sottolineare l’abbandono di ciò che aveva profondamente impattato la sua vita. Ci riesce anche grazie all’ordinarietà della sua vita: “né salire di nuovo le scale del 12th Street” elenca, riferendosi all’appartamento in cui aveva vissuto tra il 1975 e il 1995; “né più […] ricordi di zia Edith a Santa Monica”, in un'ode più familiare; o l’esotico che aveva imparato a conoscere, perché non andrà mai più a “sentire i festival musicali a Madras con Philip”.
E ancora: non potrà più “entrare per bere un Chai con il vecchio Sunil”, il poeta indiano con cui aveva stretto una forte amicizia, che entrambi evocano nei loro componimenti; trascorrere del tempo con “i giovani poeti del caffè”; tristemente, non potrà più recarsi a “visitare di nuovo il Signore del mondo Jagannatha Puri”, tempio più sacro e originario rivolto al culto della divinità stessa; neppure “bere tè alla menta a Soco Chico, o visitare Paul Bowles a Tangeri”, scrittore, etnomusicologo e traduttore che era diventato punto di riferimento per gli espatriati Beat nelle sponde del Mediterraneo.
Pertanto, in Things I’ll Not Do (Nostalgias) troviamo tutta la potenza evocativa che Ginsberg era in grado di infondere nelle sue parole. L’autore parla delle cose che non potrà mai più fare, e nel farlo, riempie la mente del lettore di viaggi, desideri, incontri distanti nel tempo ma in cui è facile immedesimarsi. La poesia è carica di rimpianto per l'esistenza, eppure sprizzante di volontà di vivere. Una potente ode alla vita emerge in modo tangibile, condivisa con tutti i suoi lettori.
Ginsberg apprese dunque che non ci sarebbe stato più tempo per sperimentare, per “vedere le nuove baraccopoli di Jakarta”, o per creare nuova arte. Decise di concludere la poesia con parole concise che rappresentano già un presagio della fine: “Non più me stesso, se non in un’urna di ceneri”. Quello che rimane non è davvero se stesso, bensì solo un’urna, a simboleggiare la sua imminente scomparsa. La morte è la fine della sua poesia, che è anche la sua storia.
Quando anche il componimento è concluso, dunque, cosa rimane da fare per il lettore? Ginsberg sembra annunciare che, al di là di un catalogo di esperienze, oltre la morte, ad indugiare sono solo residui di significato, di vita vissuta che si confonde con opportunità mancate e possibilità non realizzate.
Morì il 5 aprile del 1997, circondato dalla famiglia e dagli amici, tra cui Gregory Corso, nel suo loft dell'East Village a Manhattan. Fu cremato e le sue ceneri furono riposte nel luogo di sepoltura di famiglia nel cimitero di Gomel Chesed a Newark, sua città natale.
Non c’è altro che rimanga, oltre la parola scritta, e per Ginsberg è giunto il momento di tornare finalmente a casa.
Academy of American Poets. (2022, October 12). Allen Ginsberg, su poets.org. (data ultima consultazione 1/3/2024)
Arthur, Jason (2010). “Allen’s Ginsberg Biographical Gestures”, Texas Studies in Literature and Language, vol. 52, no. 2, pp. 227-246 su jstor.org (data ultima consultazione 1/3/2024)
Ginsberg, Allen (2009). Morte e fama. Ultime poesie 1993-1997. Il Saggiatore: Milano.
Allen Ginsberg’s Apartment, su Literarymanhattan.org (data ultima consultazione 1/3/2024)
Mambrol, N. (2020, July 9). An introduction to the beat poets, su literariness.org (data ultima consultazione 1/3/2024)
Marshall, Colin (2014) in Life, P. “Read Allen Ginsberg’s poignant final poem “Things I’ll not do (nostalgias).” su openculture.com (data ultima consultazione 1/3/2024)
Miles, B. (n.d.). The beat goes on. A century of Lawrence Ferlinghetti, su poetryfoundation.org (data ultima consultazione 1/3/2024)
The beat generation. The Beat Generation su online-literature.com (data ultima consultazione 1/3/2024)
Foto
Foto 1 da newyorker.com (data ultima consultazione 1/3/2024)
Foto 2 da allenginsberg.com (data ultima consultazione 1/3/2024)
Foto 3 da literariness.org (data ultima consultazione 1/3/2024)