Le parole, i significati, i dibattiti e le proposte di una complessa classificazione statistica
Nella nostra ricerca - avendo l'obiettivo di ricostruire rappresentazioni differenti in vari spazi del discorso pubblico - utilizziamo il termine femminicidio in un'accezione molto ampia e variabile a seconda del contesto di riferimento: da un lato, per una mera ricognizione delle uccisioni di donne a seguito di omicidio volontario - indipendentemente dal genere del perpetratore; dall'altro, per analisi di dettaglio che ci aiutino a distinguere i diversi tipi di omicidio femminile, e quindi con riferimento alle relazioni che intercorrono tra vittima e perpetratore e a quelli che avvengono in ambito domestico.
In italiano il termine è oggi al tempo stesso condiviso da molti - sia nella letteratura specialistica sia nel discorso istituzionale e nei media - ma declinato e utilizzato in maniera differente da attori sociali specifici o in contesti diversi: per alcuni di uso quasi corrente, per altri un'espressione quasi "tecnica", per altri ancora controversa o connotata da eccesso ideologico. Inoltre, ne esistono in realtà tre, femminicidio, femicidio o anche "femmicidio", rispetto ai quali la letteratura specializzata o gli attori collettivi possono distinguersi.
La differenza in Italia tra femicidio e femminicidio è ad esempio così definita dalla Casa delle donne per non subire violenza:
Sul versante della controversia, non mancano esempi volti a criticare "l'egemonia femminista" sul tema, o per contestare la fondatezza di una sorta di "panico morale" secondo alcuni costruito su dati e numeri di difforme interpretazione, oppure per ribadire l'eccesso di semplificazione operato da analisi che vogliano ricondurre il problema unicamente in un'ottica di genere, ignorando quindi la complessità dei fattori in gioco oltre che i processi di costruzione sociale del fenomeno.
Sul piano internazionale il rapporto UNODC 2018 precisa:
Infografica tratta da United Nations Office on Drugs and Crime-Unodc, Global study on Homicide. Gender-related killing of women and girls, 2018
Qualche dato dallo stesso rapporto:
Omicidi femminili nel mondo
«Un intrecciarsi di storie di parole nate in paesi diversi che hanno seguito propri percorsi fino a sovrapporsi oggi grazie a movimenti culturali che hanno investito quantomeno tutto il mondo occidentale», così si sintetizza il percorso del termine nel dettagliato resoconto curato da Matilde Paoli nel sito della più nota Accademia linguistica italiana.
Oggi attestata come neologismo in vari dizionari e utilizzata nei media a partire dal XXI secolo, la parola femminicidio è frutto di una progressiva « evoluzione ideologica», come anche di un misto di derivazione linguistica dall'inglese e dallo spagnolo, forse più vicina al latino-americano feminicidio, diffuso e sostenuto dall'antropologa e sociologa militante messicana Marcela Lagarde, ma non distante neppure dal femicide introdotto in inglese da Diana Russel nel 1976. Ma è soprattutto effetto di una consapevolezza progressiva di una implicazione letale della disuguaglianza di genere.
Un altro "affioramento" letterario di una parola che solo dagli anni Settanta del Novecento incontrerà progressiva "evoluzione ideologica", risale al 1694 ad opera di un altro italiano attivo a Parigi, Evaristo Gherardi, che satiricamente fa dire al personaggio in maschera Mezzetin - analogo di Arlecchino - « Helas, Monsieur, elle est morte, et on m’avoit accusé de l’avoir tuée; et sans l’argent et les amis j’aurois été pendu pour un femmicide ». Come dire, "per così poco", nemmeno un omicidio, solo un femminicidio...! (Le Théâtre Italien ou Le recueil général de toutes les scènes françoises qui ont eté joüées sur le Théâtre-Italien de l'Hostel de Bourgogne; grassetto nostro).
E ancora, l'Accademia della Crusca rileva un dettaglio di cronaca nel 1923: « Il più truce delitto è l'ottimamente chiamato femminicidio commesso da un certo Pietro di Vicchio Fiorentino » (“Vita e pensiero”- Vol. 9, 1923, p. 472; grassetto nostro) , l'antecedente italiano dei dibattiti successivi da parte di Maria Adele Teodori, che in un articolo del 1977 affronta con piglio deciso persino l'assimilazione dello stupro - controversa per taluni - alla violenza maschile estrema contro le donne:
United Nations Office on Drugs and Crime and the United Nations Entity for Gender Equality and the Empowerment of Women, Statistical framework for measuring the gender-related killing of women and girls (also referred to as “femicide/feminicide”), marzo 2022
Documento supportato dalla United Nations Statistical Commission ( 53a Sessione del 28 febbraio-2 e 4 marzo 2022, fornisce elementi di definizione statistica in relazione a variabili e indicatori da prendere in considerazione per rilevare in modo comparativo a livello mondiale gli omicidi basati sul genere.
European Institute for Gender Equality, Femicide: a classification system, 2021. Illustra una mappa concettuale dei vari tipi e contesti di femminicidio e una serie di proposte per pervenire ad una adeguata rilevazione statistica.
Per chiarire l'ottica dichiarata con cui si conduce il lavoro, il sito che lo introduce specifica: «Il focus di questo documento riguarda l'uccisione di donne da parte di uomini, avendo come punto di partenza l'assunto della loro asimmetrica relazione di potere». [«The focus of this report is on the killing of women carried out by men, taking as a starting assumption their asymmetrical power relationship»].
Si riconosce la diversità di significati e varianti dei termini femicide/feminicide, come quella - molto sottile - evocata ad esempio da Diana Russell che indica la differenza fra la sua definizione di femicide come "uccisione di femmine da maschi perché sono femmine" e quella istituzionale dell'Onu "uccisione di una donna perché è una donna".
Prendendo spunto dalle indicazioni di Rashida Manjoo, Relatrice speciale sulla violenza contro le donne all’ONU dal 2009 al 2015, l'articolo indica il fenomeno come la manifestazione più estrema delle forme di violenza esistenti contro le donne. I casi di femminicidio non sono da considerarsi incidenti isolati e improvvisi, bensì sarebbero atto finale di un continuum di violenze perpetrate ai danni di una donna.
Si propone anche un elenco di categorie che allarga molto ciò che si include nel fenomeno, distinguendone forme causate direttamente e indirettamente, di tipo volontario o o doloso.
Tra le forme di femminicidio diretto: uccisioni a seguito di una violenza perpetrata dal partner; omicidi legati alla stregoneria; omicidi legati all'onore; omicidi legati all'identità di genere e all'orientamento sessuale; omicidi legati all'identità etnica e alle proprie origini.
Rientrano invece tra le forme indirette di femminicidio le morti causate da aborti clandestini o pratiche mediche dannose; le morti legate alla tratta di esseri umani, allo spaccio di droga e alla criminalità organizzata; le morti per fame, HIV o maltrattamenti, così come quelle conseguenza di atti deliberati di omissioni da parte dello Stato. Nuove forme non sono escluse (es.: estremismo, fondamentalismo).
Non si fa cenno esplicito, invece, al dibattito sulla cosiddetta "intersezionalità", che secondo alcuni autori richiederebbe studio approfondito della stretta combinazione dei fattori di razza e genere, oltre che di classe, sia delle vittime sia dei perpetratori.
> Articolo originale
Canadian Femicide Observatory for Justice and Accountability- Observatoire canadienne du fémicide pour la justice et la responsabilité
Di varia accezione anche le tappe storiche del termine, specie se considerato nelle versioni utilizzate dalle femministe di origine anglo-sassone o latino-americana. L'Osservatorio Canadese propone qui un breve excursus sulle origini del termine anglo-sassone femicide, il cui utilizzo è fatto risalire per la prima volta al 1801. Il primo uso documentato è una citazione all'interno di un libro di John Corry, Satirical View of London at the Commencement of the Nineteenth Century (lo si troverà poi incluso nell'edizione 1848 del Law Lexicon di J.JS. Wharthon con il significato di "uccisione di una donna").
Ma la sua introduzione nel discorso pubblico risale al 1976: la studiosa e attivista femminista Diana Russel utilizza il termine femicide di fronte al Tribunale Internazionale dei Crimini contro le Donne, portando l'attenzione sulla violenza e le discriminazioni contro le donne; pubblicherà poi nel 1990 insieme con Jane Caputi il celebre articolo Femicide: speaking the unspeakable.
Infografiche tratte dal progetto del corso di Periodismo Digital de la Universidad de Los Andes