Un punto di contatto con la natura leggendo Emerson e Thoreau

Manuela Boccaccio

1. Introduzione

2. Thoreau a Walden Pond 

3. Emerson in Nature

4. Conclusioni

5. Bibliografia

 

 

1. Introduzione

 

Durante i primi anni dell’800 lo scenario socio-politico americano fu caratterizzato da diverse lotte interne volte ad affermare l’indipendenza politica e culturale del paese rispetto all’Europa. Molti pittori diedero un contributo originale rispetto al processo di ricerca di una propria identità culturale in atto, concentrandosi sugli sconfinati paesaggi americani con lo scopo di esprimerne a pieno la suggestiva spettacolarità. Dal canto loro, molti scrittori e poeti del secolo si cimentarono nella stesura di testi che descrivevano non solo lo splendore e la meraviglia di questi paesaggi, ma anche il proprio percorso alle prese con una vita a stretto contatto con la natura.

Prendendo in esame i saggi raccolti nel testo The Ecocriticism Reader: Landmarks in Literary Ecology (1996), a cura di Cheryll Glotfelty e Harold Fromm, è facile individuare la rotta di autori trascendentalisti, in particolare Emerson e Thoreau. Ad esempio, nel saggio Nature Writing and Environmental Psychology (Scott Slovic, 1996, pp. 351-370) sono citate le parole di Sharon Cameron, professoressa di inglese della Johns Hopkins University, la quale sostiene:

 

«to write about nature is to write about how the mind sees nature, and sometimes about how the mind sees itself» (Slovic, 1996:357). 

 

Anche Slovic nota che questo percorso degli scrittori, usando un termine di Thoreau, sia un vero e proprio “awakening”, o anche “awareness”. Tuttavia, nonostante i percorsi e gli approcci alla natura da parte di ciascuno scrittore possano essere diversi c’è un fil rouge che li accomuna tutti: se da una parte si assiste a una vera e propria rinascita spirituale e intellettuale dello scrittore in relazione al proprio essere, dall’altra assistiamo alla scoperta di un vero e proprio non-essere (la natura, appunto). A tal proposito, Slovic continua:

 

«both nature and writing (..) demand and contribute to an author’s awareness of self and non-self. By confronting “face to face” the separate realm of nature, by becoming aware of its “otherness”, the writer implicity becomes more deeply aware of his or her dimensions, limitations of form and understanding, and processes of grappling with the unknown» (Slovic, 1996:367). 

 

Per poi citare Geoffrey Hartman, nel suo Romance of Nature and the Negative Way (1970) leggiamo:

 

«the element of obscurity, related to nature’s self-concealment, is necessary to the soul’s capacity of growth, for it vexes the latter toward self-dependence. In other words, the very mysteriousness of nature contributes to the independence and, presumably, the self-awareness of the observer». (Hartman, 1970: 18)

 

2.Thoreau a Walden Pond 

 

Thoreau ha incarnato alla perfezione questo filo che lega doppiamente lo scrittore e la natura, diventando per gli altri scrittori americani il modello da seguire nell’investigazione del rapporto tra loro e la natura, proprio grazie al “Giornale di Thoreau”.

Qui, il problema principale è la corrispondenza, usando termini emersoniani, tra inner self e outer world, ovvero tra mente e natura. L’ipotesi che la natura sia diversa e nettamente distante dalla mente umana viene totalmente stravolta, proprio perché:

 

«this understanding, which comes from constant and thorough observation of natural phenomena, help Thoreau both to enlarge his minute self by anchoring it in nature and, conversely, to become more deeply conscious of his human boundaries» (Slovic, 1996:6).

 

Nel suo Walden; or, Life in the Woods (1854), Thoreau dedica un capitolo alla solitudine del suo percorso individuale. Il ritiro solitario a Walden Pond gli permette di capire se stesso e la natura che lo circonda.

Lo scrittore si trova nel bosco di Walden Pond ed è qui che percepisce se stesso come una parte del tutto, di cui può godere meglio di chiunque altro, lontano dalle case della città vicina: gli alberi sbarrano la sua vista, lasciandogli vedere solo la cima delle colline.

Si rende conto che la solitudine gli permette di percepire meglio anche gli eventi che accadono intorno a lui.

Anche il film Into the Wild, di Sean Penn, del 2007, basato sul romanzo di Jon Krakauer Nelle terre estreme (1996), ricalca molto la vicenda di Thoreau nei due anni trascorsi a Walden Pond. È possibile interpretare il viaggio fisico del protagonista attraverso l’Alaska come emblema del viaggio spirituale nei meandri della propria mente, ma, come si rende conto lui stesso, è importante capire che la felicità è reale solo se viene condivisa. È importantissimo per l’uomo “staccare”, ricongiungersi con se stesso e con il mondo che lo circonda. Tuttavia, è altrettanto importante sapere di poter “tornare a casa”, qualunque essa sia. D’altronde, come conclude Sueellen Campbell nel saggio The Land and Language of Desire (1989)

 

 «it is in nature writing –perhaps almost as much as in the wilderness itself- that I learn to recognize the shape and force of my own desire to be at home on the earth». 

 

Dopotutto, anche Thoreau torna a casa. 

Anche quando si chiede se la presenza di un vicinato possa rendere la propria vita più equilibrata e serena, giunge alla conclusione di amare la sua nuova condizione. A supporto di questo, medita su come l’uomo sia solo, per la maggior parte del tempo

 

«I love to be alone. I never found the companion that was so companionable as solitude. We are for the most part lonely when we go abroad among men than when we stay in our chambers. A man thinking or working is always alone, let him be where he will. Solitude is not measured by the miles of space that intervene between a man and his fellows» (Thoreau, 1854, p. 88).

 

Ed è proprio nella solitudine che accade qualcosa di nuovo: si impara a comprendere meglio se stessi, anche in rapporto a come ci poniamo verso quello che ci circonda o verso un concetto o un’idea. Si tratta di quella stessa presa di coscienza che dopo quasi un secolo Joyce indicò come “epifania”. I personaggi delle opere di quest’ultimo hanno vissuto sulla propria pelle questo momento. E anche se nel suo caso la foresta lascia il posto alla città, ci troviamo pur sempre di fronte a personaggi immersi nella solitudine, con i loro pensieri, lontani dalla quotidianità. È concretamente quello che, in altre parole, teorizza Thomas J. Lyon nel suo saggio A Taxonomy of Nature Writing:

 

«essays of solitude or escape from the city, as might be expected, work much with the contrast between conventional existence and the more intense, more wakeful life in contact with nature» (Lyon, 1996: 276-281).

 

3. Emerson in Nature

 

La solitudine come elemento che scatena la connessione con la natura circostante è presente anche in Emerson, nel saggio Nature (1836). Solo in questa condizione è possibile cogliere il senso intimo delle manifestazioni della natura: «most persons do not see the sun. At least they have a superficial seeing». Il sole, ad esempio, non solo illumina ciò che vediamo con gli occhi, rendendo tutto più brillante e splendente, ma illumina anche il nostro animo. Emblematico per descrivere a pieno questo concetto è il testo di Nathaniel Hawthorne, My Visit to Niagara (1863), nel quale lo scrittore vede con i propri occhi lo splendore delle cascate, il sole che inonda tutto con la sua luce e crea dei piccoli arcobaleni negli spruzzi d’acqua, rendendo il panorama ancora più bello. Di fronte a questo spettacolo naturaleHawthorne sente il cuore pieno di emozioni, finché 

 

«gradually, and after much contemplation, I came to know, by my own feelings, that Niagara is indeed a wonder of the world, and not the less wonderful, because time and thought must be employed in comprehending it».

 

La Natura offre, in ogni momento qualcosa che smuove l’animo umano ed Emerson, Hawthorne e Thoreau esortano a cogliere ogni occasioneper far parte di questo incanto. Attraverso l’immagine di una “transparent eye-ball”, Emerson riesce a diventare parte del tutto: «I am nothing; I see all. [..] I am part or particle of God» (Nature, 1836). Ecco che Dio diventa il medium tra l’uomo e la natura, «the organ through which the universal spirit speaks to the individual». Qui si svela l’epifania anche nel testo emersoniano: «know then, that the world exists for you. For you is the phenomenon perfect».

 

4. Conclusioni

 

I temi trattati dagli scrittori americani citati sono del tutto attuali. L’essere umano oggi, per giungere a uno stadio di reale solitudine ed esperire l’epifania emersoniana, deve fare i conti con la tecnologia e il suo potenziale pervasivo. Questa intacca ogni attimo della sua vita, rendendolo sempre online, reperibile, rintracciabile, al di là delle barriere spazio-temporali. Non prestando attenzione al linguaggio della natura, il rischio più grande è il disfacimento di essa. 

La teologa cristiana e femminista Sallie McFague nel primo capitolo del suo libro The Body of God (1993) avverte i lettori che «Ecological deterioration is sufficiently gradual that it can appear imperceptible» e proprio per questo li sprona ad adottare una serie di «profound life-style changes, especially for first-world people (the ones who use most of the Energy and cause most of the ecological deterioration), [which] are highly unpopular».

 

E così come dice Paulo Coelho ne Il vincitore è solo (2008, p. 199):

 

«Da giovani, tutti hanno sempre il medesimo sogno: salvare il mondo. Alcuni finiscono presto per dimenticarlo, convinti che esistano altre cose più importanti – crearsi una famiglia, guadagnare, viaggiare e imparare una lingua straniera. Altri invece decidono di impegnarsi per cambiare la società attuale e agire affinché il mondo odierno sia consegnato alle prossime generazioni in condizioni migliori».

 

L’impegno collettivo verso la “planetary agenda” non può essere rinviato oltre, pena la messa in pericolo delle prossime generazioni, figlie di un’umanità che sempre più velocemente si fa responsabile di un cambiamento ambientale violento. Un cambiamento spesso messo in ombra dalle celebrazioni di un progresso tecnologico che ci rende solo “nani sulle spalle dei giganti”. 

 

5. Bibliografia

 

Slovic, Scott. Nature Writing and Environmental Psychology, in The Ecocriticism Reader, Landmarks in Literary Ecology, edited by Cheryll Glotfelty and Harold Fromm, 1996, The University of Georgia Press Athens. 

Thoreau, Henry David. Walden; or, Life in the Woods. 1854.

Sanders, Scott Russell. Speaking a Word for Nature, in The Ecocriticism Reader, Landmarks in Literary Ecology, edited by Cheryll Glotfelty and Harold Fromm, 1996, The University of Georgia Press Athens.

Joyce, James. The Dubliners. 1914.

Lyon, Thomas J. A Taxonomy of Nature Writing,  in The Ecocriticism Reader, Landmarks in Literary Ecology, edited by Cheryll Glotfelty and Harold Fromm, 1996, The University of Georgia Press Athens.

Film diretto da Sean Penn Into the Wild- nelle terre selvagge. 2007.

Campbell, Sueellen. The Land and Language of Desire, in The Ecocriticism Reader, Landmarks in Literary Ecology, edited by Cheryll Glotfelty and Harold Fromm, 1996, The University of Georgia Press Athens.

Emerson, Ralph Waldo. Nature. 1836.

Hawthorne, Nathaniel. My Visit to Niagara. 1863.

McFague, Sallie. The Body of GodAn Ecological Theology. 1993.

Coehlo, Paulo. Il vincitore è solo. 2008.