Manuela Boccaccio
Il 21 febbraio 2020 ricorre il cinquantottesimo compleanno dello scrittore e giornalista statunitense Chuck Palahniuk. Cominciò a scrivere a trent’anni, dopo aver frequentato un laboratorio di scrittura, che si rivelò essere il trampolino di lancio per la sua attuale carriera. Il primo romanzo che gli procurò il grande successo che tutt’oggi può vantare è Fight Club (1996).
La particolarità della scrittura di Palahniuk è il caratteristico stile crudo e distaccato che rimanda agli scrittori della corrente pulp, movimento letterario sviluppatosi negli anni Venti negli Stati Uniti. Negli anni Trenta il genere aveva raggiunto il suo apice, fino a espandersi, nei decenni successivi, anche in Europa, in particolare in Italia, dando vita a un gruppo di scrittori conosciuti come “I Cannibali”. Lo stile di Palahniuk ha subito l’influenza di autori minimalisti, per questo è facile notare l’uso di un lessico poco vario nelle frasi - peculiarità del genere pulp. Gli autori di questa corrente si sono impegnati a snellire le frasi, utilizzando parole semplici e periodi brevi, tanto che una caratteristica della loro scrittura, rintracciabile anche in Palahniuk, è la ripetizione di frasi colloquiali o parole nel corso del testo, che creano un ritmo incalzante. Invece, è completamente assente l’uso di avverbi, aggettivi e altre componenti che possano rallentare il ritmo frenetico del racconto.
Per questo stile possiamo ricordare autori iconici della scrittura pulp, quali Don DeLillo e Irvine Welsh. I due autori scrissero una serie di romanzi, riportati successivamente in pellicole divenute famose, orientati alla critica della società americana di fine secolo, accusandola di una consistente perdita di valori e di non riuscire più ad alimentare il fantomatico American Dream di cui si era parlato nei decenni precedenti. Le vicende di vita quotidiana, quasi sempre borderline, sono descritte con un realismo esasperato, evidenziando le caratteristiche dei personaggi e tratteggiando eventi pregni di violenza e distruzione.
Un esempio eclatante è stata l’uscita nelle sale del film Pulp Fiction (1994) diretto da Quentin Tarantino, con cui il genere letterario fece ufficialmente il suo ingresso ad Hollywood. La pellicola, nonostante la trama cruda e le scene violente, riscosse subito un grande successo.
Il noto romanzo di Palahniuk nacque come reazione al rifiuto da parte di una casa editrice di pubblicare un suo romanzo precedente Invisible Monsters (1999), inizialmente intitolato Manifesto.
La trama di Fight Club, servendosi di uno stile sadico e molto vicino al noir, ruota attorno alla storia di un protagonista anonimo. Questo personaggio si presenta come una figura stravolta: si trascina in una vita scialba, combattendo con l’insonnia che lo sfinisce e nutrendosi della disperazione che aleggia nei centri di sostegno per persone affette da malattie o gravi patologie che frequenta. L’insonnia sembra dargli tregua nei giorni in cui, frequentando i gruppi di sostegno, riesce a liberarsi dallo stress piangendo. I brevi periodi di sollievo, però, sembrano concludersi quando conosce una ragazza problematica, Marla Singer, che, come lui, partecipa ingiustificatamente ai gruppi per trovare conforto.
La svolta arriva quando conosce Tyler Durden, un personaggio che sembra non avere freni e dal carattere deciso, che, da vero guru, gli svela i segreti nascosti dell’esistenza, ripetendogli frasi enigmatiche come:
“Un minuto era abbastanza, ha detto Tyler, c’era da lavorare duro per ottenerlo, ma un minuto di perfezione valeva la fatica. Un minuto era il massimo che si poteva aspettare dalla perfezione.” (Palahniuk, 2011:31)
Tyler, con il suo solito freddo distacco, affronta tematiche importanti che, talvolta, toccano la sfera sentimentale di ognuno e fornisce visioni distorte e, a tratti, aggressive su temi quali la religione, il lavoro, l’amore, il sesso e il senso della vita.
I due, dopo una serata al bar, iniziano a picchiarsi senza un motivo preciso. Così, creano dal nulla un club di lotte segrete. Il protagonista senza nome, convinto dai racconti di Tyler sull’autodistruzione, si convince della necessità di dover “spaccare tutto per tirar fuori qualcosa di meglio” e quando qualcuno gli pone domande indiscrete, allora ripete le parole di Tyler:
“Il mio capo mi domanda: «In che razza di casino ti cacci tutti i fine settimana?». È solo che non ho voglia di morire senza qualche cicatrice addosso, rispondo.” (Palahniuk, 2011:47)
Le lotte, dapprima svolte nel parcheggio di un bar e, successivamente, nel seminterrato di un altro bar, non hanno uno scopo preciso se non quello di combattere per combattere. I partecipanti vivono alienandosi completamente e annullando qualsiasi personalità, facendosi piuttosto sopraffare dalla brutalità.
“Quando sei al fight club, tu non sei i soldi che hai in banca. Non sei il tuo lavoro. Non sei la tua famiglia e non sei quello che dici di essere a te stesso.” (Palahniuk, 2011:152)
Oltre alle regole di base ai fini della lotta, il club ha una regola fondamentale che tutti devono tenere bene a mente quando ne iniziano a far parte, ovvero: “la prima regola del fight club è che non si parla del fight club”, che viene ripetuta più volte nel corso del romanzo, e il protagonista infatti spiega:
“Non dici niente perché il fight club esiste soltanto nelle ore che vanno tra quando il fight club comincia e quando il fight club finisce.” (Palahniuk, 2011:47)
Tyler, nel frattempo, si afferma sempre più come capo carismatico. Oltre a produrre sapone nella casa in cui vive, indottrina sempre più il protagonista anonimo e, indirettamente, anche a tutti gli altri partecipanti del fight club, con idee nichiliste. Durden descrive i combattimenti come atti di rivolta verso il consumismo e il concetto di apparenza che imperano nella società moderna, fino a che, ben presto, il numero dei partecipanti aumenta a dismisura. Il club inizia così a sviluppare tendenze para-terroristiche, finché il protagonista senza nome, mostrandosi inquieto verso la piega che sta prendendo il fight club, si insospettisce.
L’exploit della trama, che costringe a incedere nel principale spoiler, riguarda la relativa comprensione finale, che avviene nel momento in cui il protagonista realizza quanto effettivamente il “progetto Caos” si sia ampliato in tutto il territorio americano, dando fondamento ai suoi sospetti:
“Ho chiesto a Tyler lui che cos’ha fatto.
«Che cos’abbiamo fatto noi» dice Tyler.
Abbiamo convocato una riunione del Comitato Aggressioni.
«Non ci sono più un tu e un io» dice Tyler e mi pizzica la punta del naso. «Credo che a questo ci sei già arrivato.»
Usiamo tutt’e due lo stesso corpo, ma in tempi diversi.
«Abbiamo indetto un compito speciale» dice Tyler. […]
Non sto sognando.
«Sì» dice Tyler. «Sì che sogni.»” (Palahniuk, 2011:175)
Nel 1999 è stato lanciato nelle sale il film diretto da David Fincher. La pellicola non fu accolta subito positivamente: il successo arrivò con la distribuzione del film in home video. Fincher ha prodotto una perfetta analisi psicologica dei personaggi principali, non dimenticando la principale lotta al consumismo di cui si fa portavoce Tyler Durden. La ribellione di questa figura costantemente sanguinante e tumefatta conduce alla scelta di una via violenta e trasgressiva per sovvertire il sistema capitalistico.
La trama fu riprodotta più o meno fedelmente dal regista, cercando di dare risalto alla figura femminile del romanzo, Marla Singer (interpretata da Helena Bonham Carter). La cupa femme fatale, ricoperta di cicatrici, che frequenta gli stessi gruppi di recupero del protagonista (interpretato da Edward Norton), fin dall’inizio del film, agli occhi di lui, sembra avere una relazione con Tyler Durden (Brad Pitt).
L’anonimo protagonista, dopo le vicende dell’organizzazione clandestina, scopre che Tyler non è altro che il suo alter ego violento e aggressivo. Nel violento epilogo, il confronto tra i due, conduce il personaggio principale a liberarsi di Tyler pur di bloccare il tentativo rivoluzionario. Tuttavia, sebbene abbia la meglio nel confronto vis à vis, il tempismo non è dei migliori: l’agghiacciante scena finale del film, infatti, mostra la distruzione totale di alcuni grattacieli della città, mentre il personaggio principale stringe la mano di Marla sulle note di “Where is my mind?” del gruppo statunitense alternative rock, i Pixies (settima traccia dell’album Surfer Rosa, 1988).
Fincher, in quest’opera diventata ormai un cult cinematografico, cerca di rappresentare al meglio, con il sottofondo perenne della voce del protagonista anonimo, il disagio dell’uomo moderno in una società orientata all’accumulo di oggetti pur di apparire, invece che puntare alla sostanza del proprio io interiore. Il collasso delle società bancarie, così come il collasso della vita del protagonista, ricordano allo spettatore/lettore la fugacità della vita.
Tyler Durden, a più riprese, indirizza il protagonista anonimo e tutti gli altri combattenti verso una vita priva di oggetti, disprezzando il capitalismo che schiavizza la società americana.
La complessa e articolata trama del romanzo (e del film che ne è stato tratto) mostra il disagio dell’uomo medio che vive in una società lontana e alienante e che, indirettamente, induce all’aggressività.
L’insonnia descritta da Palahniuk è una delle tante possibili risposte allo stress cui ogni elemento della grande macchina sociale è sottoposto quotidianamente. Gli incontri dei gruppi di sostegno sono il tentativo ultimo, da parte del protagonista, per tentare di sedare questo problema. Il contatto con il dolore degli altri lo aiuta a liberarsi della propria angoscia esistenziale.
“Per questo amo tanto i gruppi di sostegno, se la gente pensa che stai morendo, ti presta tutta la sua attenzione.” (Palahniuk, 2011:112)
L’incontro con Marla, che frequenta i gruppi per la stessa ragione, si rivela essere, di fatto, uno scontro con la realtà: mettendolo di fronte all’evidenza di essere un bugiardo. È in quel momento che compare Tyler: l’alter ego cattivo, senza alcun tipo di regole morali o etiche, che vive quando la parte “buona” tenta di dormire.
La creazione dei gruppi di lotta, e la conseguente organizzazione para-terroristica, sono il risultato della lotta interiore del protagonista nei confronti della vita e, in particolare, della figura paterna:
“«Se sei maschio e sei cristiano e vivi in America, tuo padre è il tuo modello di Dio» dice il meccanico. «E se non hai mai conosciuto tuo padre, se tuo padre prende il largo o muore o non è mai a casa, che idea ti fai di Dio?»
Qui c’è l’insieme dogmatico di Tyler Durden. Scarabocchiato su pezzetti di carta mentre io dormivo e consegnatomi da battere a macchina e fotocopiare sul lavoro. [..]
«La fine che fai» dice il meccanico, «è passare la vita a cercare un padre e Dio.»” (Palahniuk, 2011:150)
Il padre, così come Dio, rappresenta l’elemento inconciliabile con il tentativo di raggiungere determinati obiettivi (università, casa, famiglia) per conquistare un certo equilibrio nella vita. Le lotte sono l’esplosione del rifiuto e della ribellione.
L’avvicendarsi della psicotica vita dei due alter ego raggiunge il culmine con gli eventi violenti dell’organizzazione, i quali, in qualche modo, riportano il protagonista alla realtà. Una realtà che si mostra stravolta e distrutta. Anche il rapporto burrascoso tra Marla e Tyler riaccende la frustrazione e l’interesse, dapprima assopiti, dell’anonimo protagonista e tutto questo lo induce ad indagare meglio sul conto di Tyler.
Sia nel romanzo che nella pellicola, la catarsi avviene con il tentativo di sovvertire il piano dell’organizzazione e con il desiderio di riappropriarsi della propria identità. Così, il protagonista, “in un momento di totale epifania”, tenta di uccidere Tyler:
“Non mi sto uccidendo, grido. Sto uccidendo Tyler.
[..] Devo fare da me.
Gli elicotteri della polizia.
E premo il grilletto.” (Palahniuk, 2011:217)
Il personaggio di Tyler non vuol essere un eroe, non vuol essere il tentativo di porsi come paladino di una rivoluzione del sistema. Allo stesso modo, Fight Club non vuol essere il tentativo di elogiare la violenza e incoraggiare atteggiamenti narcisistici e nichilisti. Bensì, vuol essere una critica satirica nei confronti della violenza e della follia che talvolta intaccano la psiche umana sottoposta ripetutamente ad una massiccia dose di stress.
Palahniuk Chuck, Fight Club, Mondadori, Milano, 2011.
Chuck Palahniuk, wikipedia.org (data di ultima consultazione: 02/08/2021)
Fight Club (film), wikipedia.org (data di ultima consultazione: 02/08/2021)
Fight Club (romanzo), wikipedia.org (data di ultima consultazione: 2/08/2021)
Foto 1 da traveler.es (data di ultima consultazione: 3/08/2021)
Foto 2 da esquire.com (data di ultima consultazione: 4/08/2021)
Foto 3 da stynerd.com (data di ultima consultazione:02/08/2021)