Manuela Boccaccio
In un’era in cui termini come globalizzazione, informazione e digitalizzazione sono entrati nel linguaggio quotidiano, probabilmente, non si è ancora in grado di comprendere a pieno l’esatto significato della guerra.
Nell’evolversi della storia, quest’evento, motivato spesso da ragioni economiche e socio-politiche, oltre che dal desiderio di controllo e conquista, ha spinto i popoli a uscire dai confini statali. Che significato assume allora il concetto di guerra e in che termini se ne può parlare?
Nel corso dei secoli, intellettuali e storiografi si sono confrontati per fornire una definizione più onnicomprensiva e coerente possibile sul concetto di guerra.
Nel libro III de La guerra del Peloponneso, Tucidide l’ha definita come il “cattivo maestro”, in quanto “è maestra di violenza, e rende conforme alle circostanze l’indole dei più”. Ancora, è stata definita il “male necessario” dal Barone Henry de Jomini, nel suo Sunto sull’arte della Guerra. In generale, in questi studi, è rintracciabile una divisione netta tra quelli che nell’atto bellico trovano una soluzione e coloro i quali, invece, la interpretano piuttosto come una punizione sui vinti. Infatti, secondo Thomas Jefferson sarebbe “as much a punishment to the punisher, as to the sufferer”. Anche la storia degli Stati Uniti è ricca di eventi bellici che hanno avuto ragioni e obiettivi diversi: a partire dalle guerre civili e quelle per ottenere l’indipendenza dalla vecchia Europa, sino ad arrivare alle guerre mondiali, la Guerra Fredda e le guerre per ottenere il dominio in America Centrale e in Medio Oriente. Il 34esimo Presidente degli Stati Uniti, Dwight Eisenhower affermò “I hate war, as only a soldier who has lived it can, as one who has seen its brutality, its futility, its stupidity”.
In questo quadro rappresentativo, la guerra è sempre stata di fondamentale interesse nella letteratura mondiale: se ne è parlato profusamente in ogni epoca storica, ma trovare risposte ai vari perché di quelle azioni che alimentano sentimenti bellicosi sembra, ancora oggi, un compito arduo.
The Red Badge of Courage (1895) di Stephen Crane è un romanzo ispirato alle vicende della Guerra di Secessione americana. Il giovanissimo protagonista Henry Fleming, nonostante l’opposizione della madre, decide di arruolarsi, mosso dal desiderio di ricevere gloria e onore che gli procurerebbe la partecipazione alla guerra. Inizialmente, il senso eroico di partecipazione alle battaglie scema di pari passo con la maggiore stasi imposta dalle giornate in accampamento. In seguito, quando inizia la tanto attesa battaglia, Henry si sorprende spaventato e intimorito dagli eventi che lo circondano. In questo contesto è preso da sentimenti contrastanti: da un lato si impossessa di lui il bisogno di fuggire dalla guerra per potersi salvare; dall’altro lato sente il desiderio di essere visto da tutti come un eroe.
Quando finalmente si trova sul campo di battaglia e quindi ha, effettivamente, la possibilità di mettere alla prova il suo coraggio, si lascia prendere dal panico e, nonostante sia consapevole che violerebbe le leggi morali dell’esercito, si nasconde nel fitto del bosco.
“It seemed now that Nature had no ears. This landscape gave him assurance. A fair field holding life. It was the religion of peace. It would die if its timid eyes were compelled to see blood. He conceived Nature to be a woman with a deep aversion to tragedy.” (Crane, 1895: 37)
In quel momento intimo a contatto con la natura, la visione di un soldato morto lo riporta al pericolo vicino della guerra. Comincia così la fuga rocambolesca di Henry, convivendo con il pensiero di doversi salvare la vita e la convinzione di essere ormai un codardo.
Going after Cacciato (1978) di Tim O’Brien è un testo ispirato alle vicende della guerra in Vietnam e racconta il viaggio (a tratti surreale) di una truppa che insegue un soldato americano, conosciuto con il nome di Cacciato, che ha fama di essere un disertore. Costui, in un giorno di pioggia, dopo aver avuto una specie di illuminazione, si rende conto che, tutto sommato, preferirebbe essere altrove piuttosto che combattere quella guerra senza senso. Così, senza pensarci troppo, e noncurante di ciò che potrebbero pensare gli altri, abbandona la sua squadra e intraprende un viaggio impensabile alla volta di Parigi.
‘Paree! Jesus Christ, does he know how far it is? I mean, does he know?’
Paul Berlin tried not to smile. ‘Eight thousand six hundred statute miles, sir. That’s what he told me- [..] He had it down pretty good. Rations, fresh water, a compass, and maps and stuff.’
[..] ‘And I guess he’ll just float himself across the ocean on his maps right? Am I right?’
‘Well, not exactly, [..] he showed me how … see, he says he’s going up through Laos, the into Burma, and then some other country, I forget, and then India and Iran and Turkey, and then Greece, and the rest is easy. That’s what he said. The rest is easy, he said. He had it all doped out.’ (O’Brien, 1978: 13)
I suoi commilitoni e, in particolare, il tenente pensano che Cacciato sia un folle. Al disertore non interessa nulla del pensiero degli altri, anche perché forse, in cuor suo, tra i motivi che l’hanno spinto ad andarsene, ci può essere il pensiero che, dopotutto, quella non sia la sua guerra. Tantoché, verso la fine del libro, nel capitolo 39 The things they didn’t know, il narratore Paul Berlin si ricorda di una conversazione avvenuta nel settembre 1968 con un sergente, a seguito della convocazione davanti al consiglio di promozione del battaglione.
‘Why we fightin’ this war?’
‘To win, sir.’
‘You sure of that?’
‘Positive, sir.’ (O’Brien, 1978: 254)
Paul Berlin viene folgorato dalla comprensione della condizione misera dei soldati, chiamati a obbedire a ordini precisi, indipendentemente dal fatto che siano o no consapevoli degli obiettivi da raggiungere. L’alone di mistero attorno allo scopo della guerra che combattevano era particolarmente sentito durante la guerra in Vietnam. Nel testo infatti, Paul Berlin ci riflette in questi termini:
“They did not have a cause. They did not know if it was a war of ideology or economics or hegemony or spite. On a given day, they did not know where they were in Quang Ngai, or how being there might influence larger outcomes. They did not know the names of most villages. They did not know strategies. When they took prisoners, which was rare, they did not know the questions to ask, whether to release a suspect or beat on him. [..] They did not know how to feel when they saw villages burning. Revenge? Loss? Peace of mind or anguish? [..] They did not know good from evil.” (O’Brien, 1978: 255-256)
La scelta di Cacciato di disertare è la scelta di abbandonare un luogo violento, ingiusto, straziante. Cacciato si avventura verso quella fantastica Paree, come la chiamano i suoi commilitoni, capitale della cultura europea. Parigi è un luogo sicuro, lontano dalla guerra, dalla morte, dal maltempo.
Alla fine di The Red Badge of Courage, Henry decide di farsi coraggio e prende parte alla guerra vinto dal senso di dovere e dai suoi stessi ideali, che tra l’altro lo avevano spinto ad arruolarsi e che, nel frattempo, sono diventati più forti della paura stessa. Il critico letterario Mark Richardson ha commentato in questo modo l’epilogo:
“Henry learns to accept mortality as the inevitable fate of the body. Or he learns to become a soldier –to subordinate his merely private interests to the imperatives of the larger social body to which he belongs, the army. Or he learns how to be a ‘man’, that is, he faces his fears, disciplines and manages them, and in the end recognizes that honor is a higher principle than mere survival. But, ultimately, perhaps the question ‘what does Henry learn?’ is impertinent. Henry, in fact, learns nothing.” (Richardson, 2003: 244)
In realtà, ciò che davvero ha imparato è la capacità di vedere se stesso sotto una luce eroica, per una soddisfazione personale e per insegnare anche al lettore la capacità di sapersi apprezzare nei momenti difficili.
“He understood then that the existence of shot and counter-shot was in the past. He had dwelt in a land of strange, squalling upheavals and had come forth. He had been where there was the red of blood and black of passion, and he was escaped. His first thoughts were given to rejoicings at this fact. [..] He felt a quiet manhood, non-assertive but a sturdy and strong blood. He knew that he would no more quail before his guides wherever they should point. He had been to touch the great death. [..] He was a man.” (Crane, 1895: 102-3)
In Going after Cacciato, il narratore spiega nel capitolo 42 cosa significa per lui la guerra, fornendo a questo concetto un carattere particolare:
“War stories. That was what remained: a few stupid war stories, hackneyed and unprofound. Even the lessons were commonplace. It hurts to be shot. Dead men are heavy.” (O’Brien, 1978: 270)
Nel testo, non mancano i riferimenti al concetto di guerra e al motivo principale per cui si deve combattere. Paul Berlin si rende conto che, con il passare del tempo, non si riesce più a distinguere l’evento scatenante dalle conseguenze che questo genera.
Volgendo lo sguardo al passato è doveroso notare che le idee rivoluzionarie che sfociavano in guerre erano alimentate dalle masse lavoratrici, che diventavano il punto di partenza verso la liberazione attraverso l’uso della forza.
L’uso della forza diventava l’unica soluzione per risolvere conflitti d’interessi tra stati e, addirittura, tra coabitanti di uno stesso stato. Questa soluzione ha spesso coinvolto tutte le grandi potenze e, fino alla seconda guerra mondiale, sono stati ottenuti risultati terribili a partire dalla distruzione di nazioni (si pensi allo smembramento della Jugoslavia) e la sottomissione di vaste aree (come nel caso del colonialismo).
Di fronte alla conquista e oppressione di popoli, com’è sempre accaduto e continua ad avvenire, un atteggiamento diffuso è quello spinto dalla voglia di trovare una giustificazione all’atto bellico, visto come portavoce della salvaguardia dei diritti umani, che di base, il più delle volte, non sono rispettati, giungendo a enfatizzare le differenze, per portare una distruzione dietro la promessa di una ristrutturazione, volta al progresso. Ne consegue uno smarrimento che sfocia nello stesso dubbio che attanaglia le menti dei soldati del romanzo Going after Cacciato: “why we fighting this war?”.
Uno dei caratteri fondamentali delle società capitaliste, in passato come oggi, è proprio la contraddizione di fondo tra una politica fondata sulla guerra come mezzo per la pace e il richiamo ai diritti umani, per ottenere il consenso da parte delle masse. Oltre poi, l’incessante richiamo da parte dei mass media all’uso di una certa forza sia per ottenere dei risultati notevoli, sia per garantire una certa fama per aver lottato in nome del proprio paese, come nel caso del personaggio principale del testo The Red Badge of Courage.
L’impegno più grande della società moderna è insegnare alle nuove generazioni l’apertura verso il prossimo e trovare mezzi differenti per promuoversi come portatori di pace e uguaglianza. Come riconobbe lo scrittore francese André Malraux, divenuto Ministro degli Affari culturali al fianco di De Gaulle nel 1945, “l’uomo è prima di tutto ciò che fa”. Un altro importante politico e diplomatico americano, Henry Kissinger, scrisse “the goal of our era must be to achieve that equilibrium while restraining the dogs of war” (Kissinger, 2014: 374).
Crane, Stephen,(1895), The Red Badge of Courage, edited by Eric Carl Link and Donald Pizer, W.W. Norton & Company Critical Edition (4th Edition), New York, 2007.
Kissinger, Henry, World Order, Penguin Books, London, 2014.
O’Brien, Tim, Going after Cacciato, Flamingo, London, 1978.
Richardson, Mark, Stephen Crane’s The Red Badge of Courage, in Jay Parini (ed.), American Writers Classics, Volume I, Gale, New York 2003, pp. 237-255.
Guerra di secessione Americana, Wikipedia (data di ultima consultazione 30/08/2021)