Beatrice Bursese
Prima astronauta nella storia degli Stati Uniti ad andare in orbita, nonché la più giovane di sempre, Sally Ride ha segnato la storia sotto vari punti di vista e sempre in positivo. Punto di riferimento per le donne impegnate in professioni scientifiche e per tutta la comunità LGBT+, Ride venne a mancare il 23 luglio del 2012 lasciandosi alle spalle un’eredità femminista e innovativa.
L’ “astro-sessismo” è ormai una realtà ben radicata nel settore aerospaziale e, nonostante negli ultimi 40 anni si sia data molta più importanza e visibilità alle donne nello spazio, continuano a persistere molte problematiche legate a stereotipi e meccanismi patriarcali. La stampa, così come la NASA, continua a rendere il progresso femminista in ambito spaziale ancora molto complicato a causa di iniziative inappropriate e disinformazione generalizzata.
Sally Kristen Ride nacque il 26 maggio del 1951 a Los Angeles. Dopo aver accantonato la carriera da tennista per dedicarsi completamente alla scienza, Ride venne consacrata come la prima donna americana nello spazio. Prima di lei solo due donne sovietiche avevano compiuto la stessa impresa: Valentina Vladimirova Tereskova nel 1964 e Svetlana Evgen’evna Savickaja nel 1982.
La sua carriera nella scienza ebbe inizio con un dottorato in Fisica all’Università di Stanford, per poi proseguire nelle vesti di astronauta negli anni ’70. Venne selezionata dalla NASA come candidata per il programma spaziale diventando Mission Specialist, ossia membro specializzato dello Space Shuttle, un’opportunità che venne garantita alle donne per la prima volta nella storia della NASA proprio con lei:
“La National Aeronautics and Space Administration (NASA) ha preso contatti con Margaret Collins, direttrice del Centro per la Ricerca sulle donne, allo scopo di reclutare astronaute per il Programma Space Shuttle”.
Così recitava l’annuncio pubblicato nel 1977 sul quotidiano Stanford Daily. Dopo aver aiutato l’agenzia spaziale con lo sviluppo di un braccio robotico per lo Space Shuttle, Sally Ride prese parte a due missioni a bordo dello shuttle Challenger: la prima nel 1983 per la missione STS-7, dando vita alla prima missione statunitense con una donna nel suo equipaggio; il suo secondo e ultimo volo avvenne del 1984 sempre a bordo del Challenger, ma dovette poi fermarsi a causa del disastro della missione STS-51-L quando il Challenger si distrusse subito dopo il lancio.
Dopo essere stata nominata membro della commissione di inchiesta che doveva indagare sulle cause dello schianto, Ride fondò l’Office of Exploration a Washington dove diresse il primo tentativo di pianificazione strategica della NASA.
Dopo queste sue ultime missioni e l’impegno a Washington, nel 1989 Sally Ride lasciò l’agenzia spaziale americana e iniziò a insegnare fisica all’Università di San Diego a tempo pieno. Nel 2001 fondò invece la Sally Ride Science, un’azienda impegnata nella pubblicazione di riviste scientifiche per bambini e ragazzi e ai quali partecipò lei stessa nella stesura di alcuni di questi. Morì il 23 luglio 2012 a soli 61 anni a causa di un cancro al pancreas.
A causa della sua natura estremamente riservata, la bisessualità di Sally Ride venne resa nota solamente dopo la sua scomparsa nel 2012. Nonostante la sua morte, l’astronauta riesce ancora a portare avanti la sua battaglia progressista: nel 2021 è infatti la prima persona LGBT+ a essere raffigurata su una moneta grazie a un progetto per onorare i contributi delle donne nella storia americana, l’American Women Quarters Program.
Ride è anche riuscita a conquistare la Legacy Walk di Chicago, un museo all’aperto dove appaiono i nomi di tutte le persone LGBT+ che hanno contribuito al progresso dell’umanità.
Sally Ride era stata sposata con un astronauta da cui poi aveva divorziato e solo il necrologio della sua morte rivelò che per 27 anni era stata anche la compagna di Tam O’Shaughnessy, tennista e docente dell’università di San Diego. Sally e Tam, infatti, si erano conosciute da ragazzine sui campi da tennis e insieme si erano impegnate per scrivere vari libri divulgativi per bambini dando vita alla “Sally Ride Science”. Per la fondazione di questa associazione che promuove la carriera scientifica delle ragazze ricevettero degli aiuti da parte di alcuni amici con esperienza in fisica e tecnologia. Le due donne lavorarono fianco a fianco per vari anni ed è stata la stessa Tam O’Shaughnessy a ritirare la Presidential Medal of Freedom consegnata da Obama in memoria di Sally Ride.
La NASA, invece, dichiarò che la bisessualità di Ride non venne mai tenuta nascosta ma che, semplicemente, all’interno dell’agenzia spaziale vige la regola del “Don’t ask, don’t tell” (“Non chiedere, non dire”), soprattutto per quanto riguarda gli orientamenti sessuali degli astronauti. Tuttavia, la biografia ufficiale della NASA di Sally Ride nel 2012 continuava a non menzionare la sua compagna di vita.
Prima dei fatidici anni ‘70, a causa di vari stereotipi di genere e credenze fuori dal normale, la NASA non aveva mai permesso a una donna di solcare i cieli spaziali per un qualsiasi programma. Questa forma di discriminazione negli ultimi anni è stata rinominata “astro-sessismo”, vale a dire un tipo di sessismo che si sviluppa in ambito aerospaziale nei confronti delle donne.
Gli episodi di “astro-sessismo” sono tantissimi: il più famoso è sicuramente quello che vede come protagonista Sally Ride e la storia degli assorbenti. Dopo il primo corso da astronauti della NASA aperto anche alle donne, l’agenzia governativa dovette occuparsi per la prima volta delle esigenze femminili in orbita. Durante la prima partecipazione di Sally Ride a una missione spaziale nel 1983, la NASA offrì una scorta di 100 assorbenti per una spedizione di soli sei giorni. L’astrofisica aveva ribadito che quello non era il giusto numero ma la NASA aveva ribattuto che voleva solo “essere al sicuro”.
La disinformazione dell’agenzia spaziale sul tema era un segno evidente di ignoranza riguardo ai bisogni femminili, nonché di aperto sessismo nei confronti delle astronaute, come dimostrano altri eventi dello stesso tipo. Tutt’oggi persiste un certo grado di disinformazione nei confronti delle astronaute e del ciclo mestruale. Ad esempio, molti non sanno infatti che le mestruazioni continuano ad arrivare regolarmente anche in orbita e che tutto viene gestito come sulla Terra. Oggigiorno, le astronaute dispongono di tutti gli strumenti igienici necessari per gestire il ciclo in orbita, nonostante i primi kit per l’igiene fossero già stati introdotti negli anni ’60 ma riguardavano esclusivamente i bisogni maschili.
Sempre nel 1978 la NASA pensò fosse importante prestare attenzione al make-up delle astronaute in orbita e decise quindi di creare un kit make-up provvisto di tutti gli oggetti più “utili”. Ride, anche in questo caso, affrontò l’argomento ironicamente, scherzando sulle discussioni tra ingegneri e il loro impegno nel cercare il make-up migliore. L’ennesimo episodio di “astro-sessismo” risale al 2015 quando fu chiesto a sei astronaute russe impegnate nella simulazione della “Russian moon mission” se avrebbero resistito tutto quel tempo in orbita senza make-up e senza uomini. Una cosa molto simile avvenne nel 2014 all’ingegnera Yelena Serova durante una conferenza stampa pre-partenza. I giornalisti iniziarono a focalizzare le loro domande sui figli dell’astronauta e sulla messa in piega, evitando ogni tipo di domanda inerente il suo lavoro e la sua missione spaziale. Un divario eccessivo rispetto a quelle che sono state invece le domande destinate ai suoi colleghi uomini. Quesiti molto simili sono stati rivolti anche all’astronauta italiana Samantha Cristoforetti la scorsa primavera prima di tornare sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Un episodio risalente al 2019 dimostra, in modo più sottile, come il mestiere dell'astronauta sia nato e pensato esclusivamente per gli uomini, e risulta essere per questo molto ostile alle donne. Una missione spaziale che avrebbe dovuto vedere la partecipazione esclusiva di donne è infatti stata annullata poiché le tute spaziali non erano della giusta dimensione e la NASA non era in grado di fornire le taglie corrette. Le tute spaziali sono attrezzature specializzate e molto costose, per questo motivo la NASA sta mantenendo delle tute realizzate 18 anni fa con misure standard e quindi non personalizzate per ogni astronauta. Di conseguenza, molte donne di taglia più minuta sono costrette a vestire tute spaziali troppo larghe o che non permettono di vedere facilmente nemmeno al di fuori del casco. Questo è un chiaro esempio del disinteresse spaventoso che pervade questo settore del mondo scientifico ancora eccessivamente maschilista.
La parità dei sessi in orbita sembra ancora molto lontana, anche se di recente pare essersi mosso qualche passo a favore delle donne. Si pensa infatti che il primo astronauta a mettere piede su Marte potrebbe essere proprio una donna, poiché la metà delle reclute della NASA per la futura missione spaziale è al femminile, creando per la prima volta un rapporto di maschi e femmine uno a uno. Un bel passo avanti dal 1978 con il primo reclutamento femminile della NASA di Sally Ride, ma ci vorrà ancora del tempo per realizzare un’effettiva parità di genere in orbita, sognando magari una visione futuristica di un universo parallelo in cui la competenza e la meritocrazia superino finalmente le discriminazioni e il sessismo.
Chi era Sally Ride e perché è importante, Focus.it (Data di ultima consultazione 12/7/2022)
Houston, abbiamo un problema: il sessismo, Reccom.org (Data di ultima consultazione 12/7/2022)
L’astronauta Sally Ride è ancora una volta pioniera, sarà la prima persona LGBT su una moneta, Elle.com (Data di ultima consultazione 12/7/2022)
La storia di Sally Ride, astronauta, IlPost.it (Data di ultima consultazione 12/7/2022)
Sally Ride, la prima scienziata nello spazio, Oggiscienza.it (Data di ultima consultazione 12/7/2022)
100 assorbenti per Sally Ride e altri episodi di astrosessismo, Scienzaallefemmine.com
Foto 3 da Space.com