Beatrice Bursese
Tratto dall’opera omonima più commovente e realistica di Stephen King, Il miglio verde è la perfetta rappresentazione cinematografica della situazione carceraria statunitense. Uscito nelle sale italiane il 10 marzo del 2000, il film diretto da Frank Darabont vede il grande Tom Hanks nei panni di Paul Edgecombe e Michael Clarke Duncan nel ruolo del condannato a morte John Coffey. La storia è in realtà un lungo flashback della guardia carceraria Paul che, soffermandosi sulla surreale vicenda di John Coffey, realizza un triste resoconto della situazione delle carceri americane degli anni Trenta analizzando gli effetti della pena di morte sui condannati e sulle guardie carcerarie.
Stephen King pubblica Il miglio verde nel 1996 come romanzo a puntate suddiviso in sei piccoli volumi, riprendendo così lo stile di Charles Dickens e discostandosi dai metodi di pubblicazione canonici. Il romanzo si allontana dal genere horror/fantasy tipico della scrittura di King, concentrando la narrazione su un tipo di orrore molto più reale e raccapricciante. Il film segue dettagliatamente gli avvenimenti del libro ripercorrendo i momenti vissuti da Paul Edgecombe nella primavera del 1935 all’interno del penitenziario (nel libro gli eventi riguardano l’autunno del 1932, ndr.).
Gli avvenimenti narrati da Paul si verificano a ridosso della Grande Depressione all’interno del penitenziario di stato in cui è collocato il braccio della morte. Paul, insieme all’amico Brutus e ai colleghi Dean, Harry e al giovane e sadico Percy, è a capo del Blocco E, il luogo in cui le guardie si prendono cura dei condannati a morte. Il ruolo principale di ogni guardia è quello di vegliare sul condannato e di accompagnarlo lungo il miglio verde (chiamato così a causa del linoleum color cedro che ricopre tutto il corridoio), l’ultimo miglio prima della stanza in cui è conservata “old sparky”, la sedia elettrica.
Tra i condannati a morte della primavera del 1935, uno in particolare attira subito l’attenzione delle guardie: è il gigante John Coffey, un uomo di colore alto più di due metri e condannato a morte per aver violentato e ucciso le gemelline Detterick di nove anni. La sua entrata in scena è alquanto particolare, con il giovane Percy che intona il grido “Dead man walking” mentre accompagna Coffey all’interno del Blocco E. Coffey non ricorda nulla del suo passato, dichiara di non possedere nessun legame familiare e, nonostante la presenza imponente, si rivela essere una persona dall’animo molto sensibile che piange di notte e che ha paura del buio.
All’interno del Blocco E si trovano altri due detenuti, Arlen Bitterbuck (un pellerossa dal carattere schivo la cui esecuzione avviene all’inizio della storia) e l’americano cajun Eduard Delacroix soprannominato da tutti “Del”. Quest’ultimo adotta addirittura un topolino, il signor Jingles, protagonista di numerose vicende all’interno del film. Nello stesso periodo, il Blocco E accoglie nelle sue celle il rapinatore “Wild Bill” Wharton e si assiste alla prima guarigione da parte di John Coffey, che attraverso dei poteri soprannaturali riesce prima a eliminare l’infezione alla vescica di Paul e successivamente a resuscitare il signor Jingles.
La storia continua con l’esecuzione di Delacroix, una delle scene più cruente di tutto il film, in cui il prigioniero viene letteralmente ridotto a brandelli dalla spavalderia di Percy che si trovava in “prima linea” (vale a dire, decretare ufficialmente la morte di un prigioniero il giorno della sua uccisione tramite Old sparky, ndr.).
Il film prosegue con Paul che prende coscienza dell’innocenza di Coffey dopo il miracolo della moglie del capo Moores e la scoperta del vero assassino delle gemelle Detterick. Il finale del film, tragico e struggente, sintetizza l’essenza di John Coffey attraverso delle battute che riprendono il tema del peccato e del maligno.
“Le ha uccise con il loro amore. È così che va ogni giorno, è così che va in ogni parte del mondo”.
Il miglio verde è uno strumento molto utile per comprendere al meglio la situazione carceraria degli Stati Uniti. Come si evince dal film, i detenuti per cui è prevista una pena capitale vengono rinchiusi all’interno del braccio della morte del penitenziario di stato in attesa dell’esecuzione finale. La permanenza all’interno dello stabilimento, la cui durata è soggetta a vari fattori, funge da fase di espiazione delle colpe e le guardie diventano delle figure importanti per la preparazione mentale dei detenuti in vista dell’ultimo miglio.
Ognuno di loro possiede una cella abbastanza grande provvista di letto e sanitari, mentre i detenuti più ribelli (come nel caso di Wharton) vengono rinchiusi all’interno della cella di isolamento, totalmente vuota e insonorizzata. Inoltre, il film descrive per filo e per segno la procedura di esecuzione attraverso l’utilizzo di elettrodi di rame, una calotta sulla testa e una spugna imbevuta di soluzione salina.
Questa è la realtà carceraria mostrata da Il miglio verde, un ambiente degradante ma circondato da uno staff che focalizza tutta l’attenzione sulla sfera emotiva dei condannati. Cosa ancora più importante, il film porta alla luce il rischio di mettere a morte persone innocenti, un problema molto diffuso ma spesso taciuto dai media.
Nonostante gli eventi de Il miglio verde si sviluppino nel corso degli anni Trenta, la situazione delle carceri americane non ha subito grossi cambiamenti con il passare del tempo. I film hollywoodiani hanno però aiutato a diffondere una certa idea del carcere che non è del tutto reale. Il film non illustra infatti molti aspetti fondamentali della realtà carceraria americana, tra questi il fatto che i processi dei condannati a morte siano molto difficili da realizzare e che gli imputati poveri o con situazioni sociali avverse non abbiano quasi diritto a un processo dignitoso.
La durata della permanenza dei condannati all’interno del braccio è forse la vera grande discrepanza tra la realtà e il film: i tempi d’attesa sono infatti molto più lunghi, tanto che a partire dagli anni Settanta, il tempo tra la condanna e l’esecuzione è aumentato drasticamente, sottoponendo i condannati ad attese lunghe decenni.
Gli Stati Uniti sono il paese con il più grande sistema carcerario del mondo e i penitenziari sono delle grosse fonti di profitto. La pena di morte è una delle esecuzioni più diffuse sul territorio e sussiste sin dalla nascita degli Stati Uniti. Il tipo di esecuzione dipende dallo stato o a volte dalla scelta del condannato, anche se oggigiorno la pratica più diffusa è quella dell’iniezione letale che ha quasi rimpiazzato la sedia elettrica.
Molte persone, gli europei in particolar modo, credono che la pena di morte sia uno strumento inammissibile all’interno di uno stato di diritto. In America però, la pena capitale è prevista in ben 37 Stati e il numero delle condanne a morte inflitte ogni anno è uno dei più alti a livello mondiale (7.254 condanne a morte emesse dagli anni Settanta ad oggi).
I reati punibili con la pena di morte variano di stato in stato: omicidi, rapine aggravate ma anche tradimento della patria.
Quando si parla di carceri americane è impossibile non citare la famosa prigione di Alcatraz. Il 21 marzo 1963 chiude il celebre carcere di massima sicurezza, tristemente noto per l’inaccessibilità dell’isola e per le condizioni disumane a cui erano sottoposti i detenuti. Alcatraz, conosciuta anche con il nome di The Rock, prende il nome dall’isola che ospita il carcere stesso, incastonato tra le gelide acque della Baia di San Francisco in California.
La prigione, che ha aperto i battenti nel 1934 e ha avuto un periodo di attività di 29 anni, ha accolto i peggiori criminali dell’epoca poiché qui venivano spediti i detenuti più problematici delle altre prigioni (Al Capone fu uno dei detenuti più noti).
Ancora oggi viene ricordata come una delle prigioni più terrificanti mai esistite a causa delle pessime condizioni in cui i prigionieri erano costretti a vivere e delle violenze che subivano continuamente, le quali portavano molto spesso a eventi di schizofrenia e a detenuti suicidi.
Tutt’oggi è conosciuta come la prigione più solida di tutta l’America poiché è impossibile fuggire a causa delle acque gelide e delle forti correnti che circondano l’isola. In totale, infatti, solo cinque prigionieri sono riusciti a lasciare il carcere dando vita a fughe rimaste nella storia.
A causa delle continue lamentele rivolte ad Alcatraz per la sua politica carceraria estremamente cruenta, durante gli anni Cinquanta si cercò di migliorare le condizioni di vita all’interno della prigione ma con poco successo. I costi per rimodellare le abitudini carcerarie di The Rock risultarono eccessivi e nel 1963 il procuratore generale Robert F. Kennedy optò per la chiusura definitiva della struttura.
A differenza del carcere mostrato all’interno di Il Miglio verde, Alcatraz non possedeva un braccio della morte in cui eseguire la pena capitale. Inoltre, le celle di isolamento di Alcatraz, chiamate The Hole, rappresentavano lo spazio più angusto di tutta la prigione a causa dei continui abusi delle guardie e degli spazi ristretti.
Anche la situazione degli afroamericani era diversa: ad Alcatraz, tutti gli uomini di colore venivano segregati rispetto alle altre celle in modo da evitare gli abusi razziali da parte degli altri prigionieri. King presenta invece una situazione molto diversa a Cold Mountain, in cui John Coffey, uomo di colore, condivide gli stessi spazi degli altri prigionieri senza alcuna distinzione.
Attualmente, Alcatraz è stata adibita a museo trasformandosi in una vera e propria attrazione turistica e accogliendo ogni anno migliaia di visitatori.
Un’opera come Il miglio verde mette in risalto la realtà carceraria tipica delle prigioni americane descrivendo il degrado sociale che permea queste strutture. L’ambiente risulta essere distruttivo per i prigionieri, costretti a vivere in condizioni disumane e ad accettare pene tutt’altro che indulgenti, così come per tutto lo staff che vi lavora e che ha ormai imparato a convivere tra le mura del terrore.
Paul e Brutal, alla fine di Il miglio verde, decidono di rinunciare per sempre a quel posto di lavoro che li aveva costretti ad assistere all’uccisione di un innocente, in rappresentazione del fatto che la bruttezza del carcere si ripercuote su tutte le persone al suo interno. I casi di denuncia nei confronti delle prigioni americane aumentano sempre di più e sono molte le vicende dal carattere surreale che riguardano situazioni sociali avverse.
Il carcere, infatti, si rivela essere un luogo di risposta per le questioni sociali e in questa rappresentazione i media ricoprono un ruolo fondamentale, anche in relazione all’eterno dibattito tra le carceri punitive e le carceri riabilitative per il reinserimento del detenuto nella società.
La situazione carceraria si ritrova sempre al centro del dibattito dell’opinione pubblica e cattura l’attenzione non solo della politica e del giornalismo ma anche di prodotti mainstream come serie tv e piattaforme streaming, come nel caso di “Thirteenth Amendment”, documentario Netflix che si focalizza sulla criminalizzazione degli afroamericani. La trasmissione di un’immagine del carcere molto più realistica e in grado di sensibilizzare gli spettatori potrebbe essere più favorevole, portando alla luce un mondo spesso demonizzato e a tratti sconosciuto.
King S., Il miglio verde, Sperling & Kupfer, 2013.
54 anni fa la chiusura del carcere di Alcatraz: storia e leggende della prigione più famosa al mondo, luinonotizio.it (ultima consultazione: 13/03/2021).
12 curiosità sul Miglio Verde, lascimmiapensa.com (ultima consultazione: 13/03/2021).
La vera storia di Alcatraz, museodellamemoriacarceraria.it (ultima consultazione: 13/03/2021).
Pena di morte negli USA, tuttoamerica.it (ultima consultazione: 13/03/2021).
XIII emendamento, netflix.com (ultima consultazione; 25/08/2021).
Il miglio verde, mymovies.it (ultima consultazione: 25/08/2021).