Il manoscritto Voynich: il libro che nessuno ha mai saputo leggere

Alberto Luppino

Immagina un libro antico, scritto in una lingua ignota e illustrato con disegni di piante che non esistono e costellazioni sconosciute. Questo è il manoscritto Voynich, il più misterioso e indecifrabile codice illustrato mai scoperto, che continua a sfidare linguisti, crittografi e appassionati di tutto il mondo. Ritrovato quasi per caso nel 1912 da Wilfrid Voynich, un antiquario polacco, in un collegio gesuita nei pressi di Roma, oggi è custodito alla Biblioteca Beinecke di Yale. Per oltre un secolo, il manoscritto Voynich ha esercitato un fascino inesauribile, affermandosi come il mistero più affascinante e duraturo della crittografia, una sfida per chiunque tenti di svelarne i segreti.

 

1. L’oggetto misterioso: struttura e aspetto del manoscritto Voynich
2. Una storia lunga secoli: dalle corti imperiali a Yale
3. Il paradosso Voynich: codice indecifrabile o inganno geniale?
4. Fonti

 

1. L’oggetto misterioso: struttura e aspetto del manoscritto Voynich

Il manoscritto Voynich si presenta come un volume compatto e ordinato, realizzato su pergamena di capretto di alta qualità. Le sue dimensioni sono contenute – circa 22,5 x 16 cm – con uno spessore di 5 cm. In origine doveva contare 116 fogli numerati, ma oggi ne rimangono 102, per un totale stimato di circa 234 pagine. Purtroppo, alcune sono andate perse, altre sono ripiegate o si estendono su più facciate.

Il testo contiene circa 170.000 caratteri distribuiti in oltre 37.000 parole, scritte in una lingua ignota e in un sistema alfabetico unico. Nessuna lingua viva o morta corrisponde a quella usata nel Voynich. Si distinguono circa 25 caratteri ricorrenti, oltre a segni diacritici, legature e simboli decorativi. Alcune lettere, soprannominate “forche” per la loro forma insolita, spiccano per la complessità grafica e la loro funzione resta un enigma. La scrittura scorre da sinistra a destra, è molto regolare e non presenta correzioni evidenti. Questo dettaglio ha fatto ipotizzare che l’intero manoscritto sia opera di un singolo, abilissimo scriba, dotato di una disciplina ferrea e padrone di una lingua sconosciuta a chiunque altro.

Il vero colpo d'occhio sono le illustrazioni, enigmatiche almeno quanto il testo, spaziando da raffigurazioni botaniche a diagrammi astronomici, da scene anatomiche a figure femminili immerse in liquidi misteriosi. I disegni sono spesso stilizzati, a volte grotteschi, sempre accompagnati da testi distribuiti attorno o tra le immagini stesse, suggerendo una forte relazione tra parole e figure. La coerenza visiva e linguistica di ogni sezione ha fatto ipotizzare la presenza di capitoli tematici, anche se privi di titoli o suddivisioni esplicite.

Molti ricercatori hanno ipotizzato che il manoscritto Voynich possa celare segreti legati all’alchimia o a pratiche esoteriche. I corpi femminili, le vasche collegate da tubi, le erbe sconosciute, i diagrammi celesti e i bizzarri contenitori nella sezione farmacologica sembrano evocare rituali, simboli alchemici o “mappe interiori” della trasformazione del corpo e dell’anima. La loro ambiguità iconografica apre a infinite interpretazioni simboliche, rendendo il manoscritto un potenziale trattato occulto, nascosto dietro un sistema di scrittura impenetrabile.

La datazione tramite radiocarbonio, condotta nel 2009 dall’Università dell’Arizona, ha collocato la creazione del codice tra il 1404 e il 1438. Gli inchiostri, sebbene difficili da analizzare con precisione, sono compatibili con i materiali in uso nel Rinascimento. Questa prova, unita alla perizia grafica e alla complessità interna del codice, rafforza l’idea che il documento sia un’opera autentica e non un semplice artefatto truffaldino.

Anche i dati statistici parlano chiaro: il testo segue pattern compatibili con le lingue naturali, come la legge di Zipf, che stabilisce che le parole più frequenti sono più brevi e viceversa. Inoltre, ogni sezione del manoscritto sembra avere un proprio vocabolario, suggerendo un lessico settoriale e specializzato.

Il contenuto del manoscritto, deducibile unicamente attraverso le illustrazioni e la struttura testuale, si articola in sei sezioni principali. La prima e la più estesa è quella botanica, che include 113 disegni di piante sconosciute, a volte morfologicamente impossibili, spesso accompagnate da annotazioni descrittive o terapeutiche. Proseguendo, si trova la parte dedicata all’astronomia e all’astrologia, ricca di diagrammi solari, lunari e zodiacali, talvolta corredati da nomi di mesi scritti in una lingua romanza arcaica, forse francese settentrionale, inseriti in un secondo momento. Nella sezione biologica, il lettore si imbatte in figure femminili nude, talvolta gravide, immerse in vasche collegate da tubi intricati, una rappresentazione che potrebbe alludere processi fisiologici legati a fluidi vitali, o forse a pratiche rituali. Più complessa e simbolica è la sezione cosmologica, che raccoglie ampi medaglioni circolari in cui si intrecciano figure celesti e schemi geometrici, forse visioni dell’universo o mappe allegoriche. La parte farmacologica torna a trattare il mondo vegetale, ma con una nuova impostazione: vi appaiono peculiari ampolle, contenitori e vasi accanto a piante più piccole, spesso raggruppate, probabilmente per rappresentare combinazioni medicamentose. Infine, la sezione delle ricette è composta da una lunga sequenza testuale, introdotta da simboli decorativi quali asterischi o stelle, che suggeriscono l’inizio di singole voci o paragrafi.

Materiali pregiati, uniformità di scrittura, coerenza stilistica e illustrazioni simboliche dimostrano che il manoscritto Voynich è molto più di un semplice oggetto arcano: è un’opera concepita con intento, disciplina e significato, che però continua a sfuggirci.

 

2. Una storia lunga secoli: dalle corti imperiali a Yale

La storia documentata del manoscritto Voynich copre oltre sei secoli, ma resta lacunosa e frammentata, soprattutto nei primi 150 anni: le analisi radiocarboniche lo collocano all’inizio del XV secolo; lo stile delle illustrazioni suggerisce influenze sia italiane che tedesche, puntando a un’origine nell’area alpina, forse tra il nord Italia e la Baviera.

Verso la fine del Cinquecento, il manoscritto compare negli ambienti colti ed esoterici della corte imperiale di Praga. La sua prima attestazione documentata risale al regno dell’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, sovrano eccentrico e mecenate di artisti, alchimisti e astronomi. Secondo una lettera del 1665 scritta dal rettore dell’Università di Praga Johannes Marcus Marci al gesuita Athanasius Kircher, Rodolfo acquistò il libro per ben 600 ducati, una somma enorme per l’epoca.

Il primo possessore noto per via diretta è Jacobus de Tepenec, medico della corte imperiale, la cui firma (visibile oggi solo con luce ultravioletta) compare sul primo foglio del documento. Dopo di lui, il  manoscritto passò a Georg Baresch, un alchimista praghese, che per vent’anni tentò invano di decifrarlo. Frustrato dal fallimento, nel 1639 Baresch inviò alcuni estratti ad Athanasius Kircher, un celebre poligrafo gesuita, nella vana speranza di riuscire nell’impresa.

Dopo la morte di Baresch, il manoscritto fu ereditato da Johannes Marcus Marci, che lo spedì a Roma nel 1665 con una lettera che riassumeva le informazioni conosciute sull’opera e i tentativi di interpretazione. Da quel momento, il volume entrò nella collezione del Collegio Romano, dove rimase nascosto per quasi tre secoli. Con la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773 e ancora nel 1873, molte proprietà dei gesuiti furono confiscate o disperse. Per evitare che andasse perduto, il codice fu probabilmente trasferito nella biblioteca privata del generale dell’Ordine, Pieter Jan Beckx, il cui ex libris è stato ritrovato all’interno del volume.

Nel 1912, a seguito della vendita segreta di una collezione gesuita per esigenze economiche, l’antiquario Wilfrid Voynich acquistò il manoscritto presso il collegio di Villa Mondragone. Colpito dalla stranezza del volume e dalla lettera allegata, ipotizzò che potesse essere un’opera del filosofo inglese Ruggero Bacone. Avviò così una campagna di ricerca e promozione del codice che coinvolse accademici e collezionisti internazionali, contribuendo a trasformare il manoscritto in un oggetto di fascino e mistero per il mondo intero.

Alla morte di Voynich nel 1930, il codice passò alla moglie Ethel e poi alla segretaria di famiglia, Anne Nill. Fu infine acquistato nel 1961 dal libraio antiquario newyorkese Hans P. Kraus che, non riuscendo a venderlo, lo donò nel 1969 alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell’Università di Yale, dove è tuttora conservato (Beinecke MS 408). Oggi è consultabile in formato digitale ad alta risoluzione, ma la sua vicenda materiale, tra corti imperiali, gesuiti, alchimisti e biblioteche segrete, resta un intricato viaggio tra le ombre della storia.

 

3. Il paradosso Voynich: codice indecifrabile o inganno geniale?

Dalla sua riscoperta nel 1912 da parte di Wilfrid Voynich, il manoscritto ha attratto un numero impressionante di linguisti, crittografi e appassionati, spinti dal desiderio di svelare il significato di un testo che, a distanza di secoli, resiste a ogni tentativo di interpretazione

Nel corso dei secoli, gli sforzi per decifrare il Voynich si sono moltiplicati. Nel 1921, il primo tentativo sistematico dell’epoca moderna fu condotto da William Newbold, professore di filosofia dell’Università della Pennsylvania, coinvolto direttamente da Wilfrid Voynich. Secondo la sua teoria, il testo celava messaggi microscopici, una sorta di stenografia miniaturizzata, visibili solo con potenti lenti. L’ipotesi suscitò un iniziale interesse, ma fu presto smentita: quelle presunte micro-lettere erano, in realtà, semplici crepe naturali dell’inchiostro.

Molto più rigoroso fu il lavoro di William ed Elizebeth Friedman, tra i massimi esperti di crittografia del Novecento. Dopo anni di studi approfonditi, giunsero alla conclusione che il volume potesse essere stato scritto in una lingua artificiale, un sistema coerente, ma non riconducibile ad alcuna lingua naturale conosciuta.

Nel XXI secolo, la varietà dei tentativi si è ampliata: nel 2014, il linguista britannico Stephen Bax ha dichiarato di aver riconosciuto alcune parole, inclusi nomi di piante; nel 2019, Gerard Cheshire, studioso indipendente, ha addirittura affermato di aver decifrato l’intero testo; più recentemente, nel 2023, l’erborista italiana Eleonora Mattarese ha ipotizzato l’uso di un antico dialetto tedesco della Carnia. Tuttavia, nessuna di queste teorie ha ottenuto consenso accademico diffuso e i risultati restano controversi o marginali.

Tra le ipotesi più recenti e dettagliate sulla paternità del testo, lo studioso Stephen Skinner suggerisce che il manoscritto Voynich sia opera di un medico ebreo dell’Italia settentrionale vissuto nel XV secolo. Questa ipotesi si basa su diverse osservazioni: le illustrazioni di donne che si immergono in vasche con tubature complesse potrebbero raffigurare delle mikvah, ovvero bagni di purificazione rituale ebraici. Inoltre, la quasi totale assenza di simbolismo cristiano, in un’epoca di profonda religiosità, e il fatto che la professione di medico-erborista fosse comune tra gli ebrei del tempo, rafforzerebbero questa tesi. Infine, alcuni elementi architettonici presenti nelle illustrazioni richiamerebbero castelli dell’Italia settentrionale del XV secolo, avvalorando l’origine geografica supposta.

Altre proposte, invece, spaziano in ambiti più eccentrici: c’è chi attribuisce la paternità del codice a Leonardo da Vinci, per via della scrittura tracciata con mano sinistra e di elementi architettonici rinascimentali, o all’architetto Filarete, sulla base di disegni simili alle sue opere milanesi. Una specifica analisi computazionale condotta presso l’Università dell’Alberta ha persino ipotizzato che il testo possa celare una forma cifrata di ebraico.

Numerosi tentativi di decifrazione si sono basati su metodi classici, come la sostituzione monoalfabetica, l’attribuzione di valori numerici alle lettere o l’impiego della griglia di Cardano. Ma nemmeno questi strumenti, modernizzati con software capaci di generare centinaia di migliaia di combinazioni, hanno portato a risultati significativi. Di conseguenza, alcuni hanno ipotizzato che il codice sia scritto in un linguaggio occulto e ignoto, battezzato “voynichese”.

Accanto agli approcci linguistici e filologici, negli ultimi anni si è assistito a un crescente impiego di tecniche informatiche avanzate. L’intelligenza artificiale e l’analisi computazionale hanno confermato alcune proprietà statistiche fondamentali del testo: la distribuzione delle parole rispetta la legge di Zipf (tipica delle lingue naturali), ogni sezione del manoscritto adotta un proprio vocabolario specifico, e la struttura del testo sembra organizzata e intenzionale. Tuttavia, nessun algoritmo è riuscito finora a produrre una traduzione coerente e definitiva.

Di fronte a una struttura tanto complessa quanto priva di appigli semantici certi, si è anche fatta strada l’ipotesi che il Voynich sia un falso magistrale. Secondo una congettura affascinante, il codice sarebbe stato elaborato attorno al 1580 da John Dee e dal suo collaboratore Edward Kelley, personaggi noti per i loro esperimenti esoterici e per documentati episodi di frode. La teoria sostiene che l’opera sia stata confezionata ad arte per ingannare l’imperatore Rodolfo II e ottenere da lui una cospicua somma di denaro. Questa idea è stata rilanciata nei primi anni 2000 da Gordon Rugg, secondo il quale l’intero volume potrebbe essere un’elaborata beffa senza un vero contenuto.

Il manoscritto rimane quindi un enigma senza pari: da un lato mostra una struttura ordinata e complessa; dall’altro, presenta anomalie che lo rendono alieno rispetto a qualsiasi lingua conosciuta. Ad esempio, alcune parole si ripetono in modo eccessivo, anche tre volte per riga o quindici per pagina, senza un’apparente funzione logica.

Così, ancora oggi, il codice Voynich è un’opera che sembra avere un linguaggio, ma non una lingua. Un libro scritto con incredibile metodo, ma forse senza significato. Eppure, è proprio questo paradosso, questo equilibrio fragile tra senso e non-senso, che alimenta il suo fascino inestinguibile e lo rende un tesoro indecifrato che tutti cercano di risolvere, ma che forse nessuno è destinato a svelare mai.

 

4. Fonti

Author of mysterious Voynich manuscript was Italian Jew, says scholar, su The Guardian (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

Cipher manuscript, su Yale University Library (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

Experts determine age of book 'nobody can read', su Phys.org (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

History of research of the Voynich MS, su Voynich MS (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

El códice Voynich, el manuscrito más extraño del mundo, su Historia National Geographic (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

ll manoscritto di Voynich: Facciamo chiarezza, su Fontistoriche (data di ultima consultazione: 25/05/2025)

The history of the Voynich MS, su Voynich MS (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

The Unread: The Mystery of the Voynich Manuscript, su The New Yorker (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

The Voynich Manuscript, su Internet Archive (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

Voynich Manuscript, su Beinecke Rare Book & Manuscript Library (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

Voynich manuscript, su Enciclopedia Britannica (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

Voynich Manuscript Has Been Stumping Cryptologists for Decades, su National Geographic (data di ultima consultazione: 28/05/2025)

 

Foto 1 e in copertina da Storica - National Geographic

Foto 2 da Patrimonio Ediciones

Foto 3 da The Times

Foto 4 da The Guardian

Foto 5 da Medium