La ricerca scientifica portata avanti dalla Cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche dell'Università di Bologna si svolge ormai da più di trent'anni in piena collaborazione con gli enti della pubblica amministrazione preposti alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio archeologico del territorio. La sinergia fra istituzioni rappresenta una strada obbligata per garantire la sostenibilità di un patrimonio archeologico inestimabile e assicurargli una presa incisiva sulla società contemporanea. Nel corso degli anni la felice cooperazione inter-istituzionale tra l'Università di Bologna e la Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna è diventata un indispensabile accorgimento per mantenere vivo il legame congenito tra città e territorio, alimentando la vocazione territoriale che il museo ha acquisito nei decenni.
«Fino dall’anno 1831 il conte cav. Giuseppe Aria, proprietario del tenimento posto in comune di Marzabotto, oggi chiamato “Misa”, resosi conto dell’importanza di resti archeologici venuti in luce nel detto tenimento, iniziò lo scavo delle zone in cui questi si trovavano, dando principio alla raccolta di una numerosa suppellettile etrusca che, custodita gelosamente e con cura d’appropriato studioso, formò il primo nucleo del Museo Etrusco».
Queste parole aprono il testo dell’atto di donazione allo Stato «del museo e degli scavi etruschi dell’antica città di Misa» da parte del Cav. Adolfo Branca Aria e della Società Anonima Misa, sottoscritto l’8 giugno 1933 e accettato con Regio Decreto n. 812 del 19 aprile 19341. Il fisiologico binomio costituito dal museo e dalla città etrusca di Marzabotto otteneva così un riconoscimento anche sul piano amministrativo. La donazione allo Stato giungeva a coronamento di un secolo di ricerche promosse dalla famiglia Aria, condotte non senza spirito di emulazione nei confronti di altre e più note imprese archeologiche che si erano andate realizzando nell’Italia preunitaria, un’attitudine che sembra riecheggiare nel titolo Una Pompei etrusca a Marzabotto nel bolognese scelto per la prima guida del sito e del museo. Dell’accessione delle antichità di Marzabotto al demanio dava tempestiva notizia Salvatore Aurigemma, tra i firmatari dell’atto di donazione per la Soprintendenza alle antichità dell’Emilia Romagna, sottolineando con solennità dalle colonne de La rivista illustrata del popolo d’Italia il rilievo nazionale dell’avvenimento.
Da quasi un secolo lo Stato gestisce ormai un parco archeologico suggestivamente incastonato nella cornice dell’Appennino bolognese, che rappresenta a ben vedere una delle più rilevanti testimonianze del popolamento antico nell’Italia centro-settentrionale.
Il nesso fisico e concettuale tra museo e area archeologica è pressoché congenito. La cessione allo Stato ha accresciuto nel tempo la vocazione territoriale del museo, sostanziata dalle ricerche archeologiche a Pian di Misano così come da quelle condotte nella valle del Reno entro la cornice di una quotidiana attività di tutela della Soprintendenza e del Museo. Con questo profilo Marzabotto etrusca si è saldamente radicata nei percorsi formativi, nel patrimonio cognitivo e nell’immaginario dei cittadini della regione, assurgendo ad autentico caposaldo della storia della Val Padana in età preromana.
L’interdipendenza di museo e area archeologica, la sintesi di evidenze antiche, valori paesaggistici e impulsi memoriali consentono in definitiva di declinare a più livelli il messaggio culturale di Marzabotto, senza snaturare la coerenza dei luoghi e l’organicità delle collezioni, riducendo al contempo la distanza tra storia antica e storia recente. I dati relativi all'affluenza riferibili al triennio 2016-2018 sembrano confermare pienamente tutto ciò. L’altissima percentuale di biglietti gratuiti costituisce un chiaro indizio del ruolo educativo che il museo e l’area archeologica di Marzabotto detengono rispetto alla crescita delle future generazioni. Un valore che il calo delle presenze non ha eroso e da cui discende un’importante responsabilità sociale. Si stima infatti che tra il 2016 e il 2018 il Museo Nazionale Etrusco “Pompeo Aria” e l’area archeologica di Kainua siano stati visitati da non meno di 10.000 studenti di scuole di ogni ordine e grado, ricadenti in larga parte (80% ca.) all’interno del territorio dell’Emilia Romagna. Le scolaresche costituiscono dunque una delle anime di Marzabotto etrusca: un pubblico non pagante che sostanzia la natura del museo quale istituzione senza scopo di lucro al servizio della società e del suo sviluppo.
Nel caso del museo e dell’area archeologica di Marzabotto, accorciare le distanze tra passato e presente significa stimolare la riflessione sul tema della città, con una prospettiva diacronica che metta in luce il carattere multiforme di una scelta insediativa ‘artificiale’ e di notevole impatto sulle strutture socio-economiche della comunità. Valorizzare le radici antiche dell’invenzione della città, coglierne le attuazioni presenti e le proiezioni nel futuro potrà senz’altro favorire la comprensione di una testimonianza complessa e unica qual è l’area archeologica di Kainua.
Il radicamento dell’Università di Bologna a Marzabotto rappresenta un valore aggiunto, garantendo il costante aggiornamento delle conoscenze - nel segno del rigore metodologico e della sensibilità alle nuove tecnologie - e producendo un beneficio culturale da condividere con la comunità di cittadini oltre che da consegnare al consesso scientifico.
Il 1988 è stato l’anno della celebrazione del IX Centenario dell’Università di Bologna, ma anche occasione di un’altra celebrazione che ha sempre riguardato l’Ateneo. Infatti, Giuseppe Sassatelli ha ripreso in quell’anno gli scavi nella città etrusca di Marzabotto a cento anni dalla campagna del 1888-1889 di Edoardo Brizio, all’epoca già titolare della Cattedra bolognese di Archeologia. Due momenti nodali che marcano l’impegno dell’Università nella città etrusca, intesa non solo come sito di ricerca archeologica sul campo ma anche come patrimonio e memoria da conoscere e divulgare attraverso la sua struttura museale. Un legame inscindibile che dura da 130 anni e che si rinsalda annualmente con le campagne di scavo del cantiere didattico dell’Ateneo, dal 2014 diretto da Elisabetta Govi, e con il lavoro di ricerca e divulgazione, in costante concerto con la Soprintendenza e da qualche anno con il Polo museale.
L’attività di ricerca a Marzabotto dell’Ateneo prende le mosse proprio con gli scavi del 1888-1889, quando Brizio intraprese una campagna finalizzata alla conoscenza dell’impianto urbano. Senza seguito negli anni successivi, bisogna aspettare il secondo dopoguerra per la ripresa di scavi sistematici, ad opera dei Soprintendenti P.E. Arias e Guido Achille Mansuelli. Questi continuò la sua attività a Marzabotto avviata precedentemente in qualità di Soprintendente e già durante la quale poté eseguire lungimiranti operazioni di ricerca e musealizzazione degli scavi, come quello estensivo dell’isolato 1 della Regio IV1.
Dopo una interruzione tra il 1975 e il 1987 per la mancanza di adeguate disponibilità finanziarie, come già prima ricordato nel 1988 Giuseppe Sassatelli ha avviato la terza stagione di ricerche dell’Università nel sito, restituendo a Marzabotto il ruolo di cantiere e laboratorio didattico dell’Università che già ebbe con Mansuelli. Tale lavoro, che continua ininterrotto adesso sotto la direzione di Elisabetta Govi, ha raggiunto importanti risultati scientifici grazie allo scavo di una abitazione di vasta e complessa organizzazione, prontamente pubblicata, e più recentemente dei due templi dedicati a Tinia e Uni, che hanno rivoluzionato le conoscenze sulla topografia sacra e sull’urbanistica della città.