Una delle tematiche di ricerca da sempre al centro degli interessi della Cattedra di Etruscologia e Antichità italiche dell'Università di Bologna nel sito di Marzabotto è sicuramente l'archeologia del sacro,definizione generale per indicare lo studio e l'analisi degli elementi della cultura materiale che hanno a che fare con il sacro, ovvero (stando alla definizione del giurista di I sec. a.C. Trebazio Testa) tutto ciò che è considerato degli dei: «sacrum est quidquid est quod deorum habetur».
A Marzabotto questo tema di ricerca abbraccia quindi un'ampia sfera di contenuti che spaziano dallo studio delle strutture (templi, altari) a quello dei suoi spazi in relazione all'urbanistica della città (acropoli, santuari), con il fine di definire una a "geografia" del sacro che abbraccia l'intero abitato e riguarda anche le manifestazioni rituali che in questi spazi avevano luogo, ciclicamente o saltuariamente.
Lo scavo e lo studio delle aree sacre urbane sta fornendo molti nuovi dati su cui riflettere, a partire dalla loro collocazione nell’abitato ed il rapporto con l’organizzazione urbanistica, riflesso terreno del templum celeste. Lo scavo ha poi rivelato numerose azioni di natura rituale, legate prevalentemente alla fondazione del tempio di Uni e alla riorganizzazione di alcune porzioni dell’area sacra, la cui modifica ha richiesto in antico numerose azioni volte ad espiare la colpa di aver modificato una struttura dedicata alla divinità.
A partire dalla riapertura degli scavi nel 1988 gli sforzi della Cattedra di Etruscologia e Antichità italiche dell'Università di Bologna si sono concentrati verso lo studio delle produzioni ceramiche locali di Marzabotto, espressione tangibile della originalità e della vivacità culturale del sito, così come dell'appartenenza ad un sostrato culturale che abbraccia l'intera Etruria padana.
Per quanto riguarda la ceramica di produzione locale i notevoli sforzi di ricerca si sono concentrati nella realizzazione dell'Atlante Tipologico delle forme ceramiche di produzione locale in Etruria padana (a cura di Chiara Mattioli); monumentale opera che abbraccia lo sviluppo formale delle attestazioni ceramiche dell'intera Etruria padana e di Marzabotto. Qui vengono analizzate, seriate e tipologizzate tutte le forme ceramiche attestate in bucchero, ceramica depurata, ceramica grezza, ceramica grigia (a cura di G. Morpurgo), così come i principali temi decorativi che talvolta adornavano il vasellame (a cura di S. Santocchini Gerg).
Numerosi sforzi sono poi stati profusi anche verso lo studio di altre classi ceramiche come la vernice nera, di cui in tempi recenti (ed anche grazie a specifiche analisi archeometriche) è stato possibile dimostrare la presenza di una produzione locale di questa classe a Marzabotto e più in generale in Etruria padana. Grazie in particolare ai lavori di A. Gaucci sull'argomento è oggi possibile affermare che a partire dal secondo quarto del V sec. a.C. circa, i vasai di Marzabotto producevano nella tecnica a vernice nera forme di grandi dimensioni, skyphoi e ciotole che bastavano alla domanda locale, oltre che stemless cups attestate almeno dalla prima metà del IV sec. a.C. se non prima.
A partire dal 1988 gli sforzi della Cattedra di Etruscologia e antichità italiche dell'Università di Bologna si sono rivolte verso lo studio delle forme di scrittura in uso a Marzabotto e più in generale in Etruria padana.
Un primo importantissimo sforzo editoriale è stato realizzato già nel 1994, con l'edizione del volume Iscrizioni e graffiti di Marzabotto, in cui si raccoglievano e analizzavano sistematicamente tutte le iscrizioni (a cura di G. Sassatelli) e i graffiti (a cura di E. Govi) provenienti dai vari scavi della città. L'opera, che costituisce ancora oggi un punto di riferimento imprescindibile per gli studi epigrafici, ebbe il fondamentale merito di portare all'attenzione della comunità scientifica la vivace produzione scrittoria della città, fino ad allora poco nota.
I lavori di analisi epigrafica sono poi continuati negli anni con lavori mirati rispetto ai materiali provenienti da specifici scavi e specifiche aree della città. Tra questi vanno sicuramente ricordati per importanza i lavori sulle iscrizioni ed i graffiti della Casa 1 della R.IV,2 (a cura di G. Sassatelli ed A. Gaucci) e quelli sulle iscrizioni provenienti dai santuari urbani (a cura di G. Sassatelli ed E. Govi); proprio da questi scavi provengono infatti alcune delle novità più importanti degli ultimi anni anche sul fronte epigrafico. Tra questi si ricordano i due teonimi di dedica dei santuari (Tins ed Unialthi), il nome etrusco della città (Kainuathi) e una parte dell'iscrizione dedicatoria del tempio di Tinia realizzata su lamina bronzea.
I lavori di studio ed analisi epigrafica vengono regolarmente pubblicati su riviste specifiche come la Rivista di Epigrafia Etrusca, raccolta all'interno degli annuali volumi di Studi Etruschi.
Nel corso degli ultimi decenni l’utilizzo delle ricostruzioni virtuali è diventato uno standard nei progetti archeologici a medio-lungo termine, sia come strumento di analisi, visualizzazione e rappresentazione di dati, che come potente mezzo di divulgazione. Tale attività rientra all’interno dei campi di ricerca della Virtual Archaeology, branca dell’archeologia dotatasi da tempo di una specifica epistemologia, descritta nelle carte di Londra (London Charter 2009) e Siviglia (Seville Charter 2011), e fondata sulla collaborazione tra figure professionali con competenze diversificate e complementari. Così, l’elaborazione di modelli interpretativi e ricostruttivi di contesti antichi diventa uno sforzo congiunto tra diverse discipline che si concretizza in una o più raffigurazioni virtuali del soggetto di studio.
L'elaborazione e lo svolgimento del Kainua Project ha progressivamente avvicinato gli interessi della Cattedra di Etruscologia e antichità italica a questa disciplina, dagli importanti risvolti sia sul piano della ricerca che su quello della divulgazione. In particolare, grazie alla collaborazione con il SiLab dell'Università di Bologna, ed in particolare modo con l'Ing. Simone Garagnani, è stato possibile sviluppare un nuovo metodo di ricostruzione virtuale per gli edifici archeologici incentrato sull'uso del BIM. Tale processo ricostruttivo (a cui si addice il nome di ArchaeoBIM) non permette solo di ottenere una restituzione grafica dell'edificio antico, ma bensì un modello virtuale che ne costituisca l'alter ego virtuale; in questo modo è possibile vincolare le ipotesi ricostruttive a precisi criteri di fattibilità reale, ottenendo l'immagine di un edificio, che pur essendo conservato solo a livello di fondazioni, presenta uno sviluppo plausibile e coerente con i materiali di cui era costituito e le linee architettoniche dell'epoca.