L'archeometria (lett. misura dell'antico) è una disciplina che si occupa dello studio dei materiali di interesse storico, archeologico, artistico e architettonico mediante analisi di laboratorio, al fine di investigare come sono costituiti e come si sono conservati. Gli studi archeometrici permettono di indagare una vasta gamma di materiali da cui è possibile estrarre molte informazioni necessarie per una più completa lettura storica e archeologica dell'oggetto o del monumento sia nei suoi aspetti tecnologici e materiali sia in rapporto al contesto di rinvenimento, sia al fine di migliorarne la conservazione e progettarne il restauro. La cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche dell'Università di Bologna ha incluso ormai da tempo l'uso di analisi archeometertiche tra le metodologia di ricerca di Marzabotto grazie alla stretta collaborazione con il dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'Università di Bologna.
La motivazione principale che induce a sottoporre ad analisi di tipo archeometrico gli esemplari di ceramica a vernice nera, provenienti dagli scavi della città etrusca di Marzabotto e pertinenti ad un ampio periodo cronologico (dalla fine del VI al IV secolo a.C.), consiste nel fatto che per taluni esemplari l’identificazione certa del centro di produzione è risultata piuttosto problematica. L'analisi autoptica dei frammenti, basata sulle caratteristiche morfologiche degli esemplari e sulla tipologia della vernice e dell’impasto (colore, consistenza, grado di depurazione), non permette in alcuni casi di risalire con sicurezza al centro di produzione dei vasi, sia per la nota varietà delle officine ceramiche in ambito etrusco, corrispondenti quindi a diversi tipi di vernice ed argilla, sia per la possibile presenza di imitazioni etrusche di forme tipiche della produzione attica.
Per raggiungere l'obiettivo primario di individuare a Marzabotto una produzione ceramica locale ad imitazione delle produzioni attiche si è reso necessario condurre le analisi archeometriche svolte tra il 2009 ed il 2010 in collaborazione con il laboratorio del dipartimento del BiGeA dell'Università di Bologna. I campioni oggetto di esame sono stati sottoposti ad analisi minero-geochimiche, prima con la realizzazione di sezioni sottili analizzate al microscopio polarizzatore, e successivamente con analisi XRF e termiche (TG, DTG, DTA).
Dall'analisi dei dati è stato possibile riconoscere nelle campionature di vernici nere provenienti dagli scavi di Marzabotto la presenza di tre raggruppamenti, caratterizzati da specificità composizionali e ricollegabili, mediante confronti con campioni di riferimento, a produzioni diverse. Di queste tre produzioni una è certamente locale, una etrusco-tirrenica e una attica; si può quindi affermare che nel periodo cronologico in esame era presente a Marzabotto una produzione di ceramica a vernice nera ad imitazione della ceramica attica di importazione.
Per i risultati delle analisi si veda: Maria Carla Nannetti, Vanna Minguzzi, Elisa Zantedeschi, Elisa Esquilini, Le analisi archeometriche, in E. Govi, G. Sassatelli (a cura di), Marzabotto. La casa 1 della Regio IV-Insula 2. I materiali, Bologna, 2010, pp. 421-438.
La motivazione che ha dato origine a queste indagini risiedeva nella necessità di caratterizzare tali classi ceramiche, largamente attestate nello scavo, dal punto di vista delle tecnologie e dell’area di produzione. In specifico per quanto riguarda i buccheri, tale produzione (tipica della cultura etrusca) presenta caratteri molto eterogenei all'epoca poco chiari dal punto di vista tecnologico: le analisi sono state mirate ad ottenere le motivazioni delle variazioni cromatiche che li caratterizzano, differenziandoli dai coevi esemplari di area tirrenica. Per quanto riguarda la ceramica depurata grigia l’attenzione è stata particolarmente rivolta a connotare dal punto di vista minero-geochimico la classe ceramica e ad individuare analogie e/o differenze, soprattutto a livello tecnologico, con il bucchero di colore grigio.
L’insieme delle analisi ha permesso di dare risposte esaurienti ai quesiti emersi dall’indagine archeologica. Per entrambe le tipologie ceramiche studiate è stato possibile confermare la produzione locale. Per quanto concerne il problema delle diversità cromatiche presenti nei campioni di bucchero si può affermare che il vario grado di annerimento è da ricollegarsi in modo più marcato al contenuto di sostanza organica di ogni campione e delle sue varie frazioni, ottenute in modo non intenzionale.
Per i risultati delle analisi si veda: Maria Carla Nannetti, Vanna Minguzzi, Elisa Zantedeschi, Elisa Esquilini, Le analisi archeometriche, in E. Govi, G. Sassatelli (a cura di), Marzabotto. La casa 1 della Regio IV-Insula 2. I materiali, Bologna, 2010, pp. 421-438.
La riapertura degli scavi da parte dell'Università di Bologna, con l'esplorazione della Casa 1 della R.IV,2 nel 1988, ha sancito anche l'avvio di una importante stagione di studi sui materiali archeologici ivi rinvenuti. Uno dei principali interrogativi è stato quello di comprendere appieno la provenienza delle ceramiche definite come etrusco padane (impasto, depurata e bucchero) e dove fosse localizzabile il bacino di approvigionamento della materia prima utilizzata per la loro realizzazione.
A tal fine venne avviato un progetto di ricerca, attivo ancora oggi, tra l'allora Dipartimento di Archeologia e quello di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali con l'obiettivo di esaminare comparativamente le classi ceramiche in trelazione ai bacini di approvvigionamento dell'argilla.
A tale scopo son stati raccolti diversi campioni di argille marnose affioranti nell'area geografica attigua alla città, così come alcuni campioni prelevati in safeno alla città stessa. I risultati dell'analisi mineralogica e chimica di tutti i materiali campionati ha permesso di verificate come tutti i campioni rientrino nella popolazione omogenea dei campioni ceramici di Marzabotto, mostrando parentele forti senza permettere distinzioni tra popolazioni separate. Si avvalora quindi l'ipotesi che la popolazione dei prodotti creati sia omogenea al di là delle classi ceramiche e che derivi da una materia prima collocabile in un territorio geografico facilmente raggiungibil e prossimo alla città, confermando la sua natura locale.
La presenza di manufatti in marmo bianco nei contesti etruschi dell'Etruria Padana (ed in particolare a Marzabotto) è nota nella letteratura specifica almeno a partire dalla seconda metà degli anni '60. Sin dalla loro scoperta queste attestazioni hanno suscitato un particolare interesse nella critica, dal momento che la materia prima di cui sono costituite è assente in area padana. Trattandosi di un materiale di importazione i principali interrogativi riguardavano in questo caso la sua provenienza (dalla Grecia attraverso il porto di Spina? dalle Alpi Apuane attraverso gli Appennini?) ed il luogo di lavorazione (lavorazione locale o importazione di oggetti finiti?).
Dal momento che l'analisi tipologica e stilistica degli stessi non sembrava dare risposte univoche al problema si è deciso di espandere lo studio mediante analisi litologiche ed archeometriche, al fine di riconoscere la provenienza del marmo bianco con cui questi oggetti erano stati realizzati. Tali analisi, promosse dal Prof. Giuseppe Sassatelli della Cattedra di Etruscologia ed Antichità Italiche dell'Università di Bologna, sono state svolte dal Prof. Roberto Braga del BiGeA dell'Università di Bologna e da Giacomo Mancuso del DiSCi della medesima Università. I 22 campioni prelevati da altrettanti manufatti sono stati così sottoposti ad una analisi granulometrica autoptica, ad uno studio petrografico mediante microscopica su sezione sottile, ad una microscopia SEM ed infine ad un'analisi degli isotopi dell'ossigeno; tutte tecniche comunemente un uso per determinare la provenienza dei marmi bianchi. I dati così ottenuti sono stati poi usati per calibrare i risultati provenienti dall'analisi stilistica e tipologica degli stessi.
I risultati di questo studio hanno così mostrato come i canali di provenienza del materiale materiali fossero molteplici; accanto agli oggetti arrivati dalla Grecia sotto forma di manufatti finiti (come i bacili) si assisteva anticamente anche all'importazione di veri e propri blocchi di marmo dalle Alpi Apuane; questi venivano poi lavorati (o rifiniti) localmente per adattarsi meglio alle esigenze della ricca committenza locale. Tali analisi hanno contribuito notevolmente non solo alla comprensione di antiche dinamiche commerciali, ma anche ad incrementare la conoscenza di specifici reperti, potendone meglio pianificare conservazione e restauro in futuro.
Nelle decorazioni architettoniche dell’Etruria Padana, fino a pochi anni fa nella letteratura specialistica era noto un uso esclusivo della bicromia, essendo attestati solamente i colori nero e rosso di origine naturale, a cui si poteva aggiungere in alcuni casi anche il bianco. Tra il 2014 e il 2019, durante gli scavi del tempio di Uni a Marzabotto, condotti dalla Cattedra di Etruscologia e Antichità Italiche dell’Università di Bologna, si rinvennero alcuni conglomerati di colore blu e rosso di piccole dimensioni.
In seguito a tale rinvenimento, è stato intrapreso uno studio, condotto dal Prof. Pietro Baraldi dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia (Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche) e da Marta Natalucci del DiSCi dell’Università di Bologna, al fine di identificare la natura di tali composti. Le analisi XRF, FT-IR e Raman hanno portato all’identificazione dell’ocra rossa e del Blu Egiziano, primo tra i colori sintetici prodotti nell’antichità. Sono stati dunque condotti ulteriori studi per verificare se il pigmento di Blu Egizio fosse stato utilizzato nella produzione delle decorazioni architettoniche dell’antica città di Kainua-Marzabotto. Tracce di tale colore sono state individuate su frammenti di tegole decorate, conservate presso il Museo Archeologico Nazionale “P. Aria” di Marzabotto, tramite analisi VIL da parte del Dott. Andrea Rossi (Centro di diagnostica Diar di Modena).
Lo studio ha dunque dimostrato che l’uso della policromia era diffuso anche nell’Etruria Padana, confutando l’apparente divario tecnologico con l’Etruria Tirrenica e Campana, dove era già noto l’utilizzo di un’ampia gamma di colori. Il rinvenimento del pigmento allo stato grezzo dimostra che il centro di Marzabotto era in grado di intrattenere scambi su ampio raggio, procurandosi prodotti rari e di pregio provenienti dall’Oriente. Inoltre, l’attribuzione delle tegole dipinte con blu egizio a un edificio dell’acropoli, probabilmente il tempio C, permette di ipotizzare una produzione specializzata legata unicamente agli edifici sacri ai quali era riservato l’utilizzo del pigmento blu. Esso è risultato infatti assente nelle altre terrecotte architettoniche analizzate riconducibili al settore abitativo. Al termine della ricerca è stato possibile proporre una modellazione 3D con colori realistici delle antefisse e delle tegole dipinte, che potrà in futuro contribuire a una fedele ricostruzione dell’apparato decorativo degli edifici di Kainua.
Il riesame dei reperti provenienti dal settore settentrionale della città di Marzabotto ha fatto emergere un nucleo di manufatti ceramici lavorati senza l’ausilio del tornio i quali – per tecnica di produzione, impasto e forma – erano difficilmente inquadrabili nel panorama delle produzioni locali tornite. Questi materiali si sono rivelati da subito interessanti: se da un lato, infatti, l’esecuzione manuale aveva in passato indotto gli studiosi a ricondurli ad un orizzonte pre-protostorico, dall’altro, recenti studi hanno dimostrato che ceramiche non tornite possono essere presenti anche in contesti di periodo classico o ellenistico. Inoltre, l’analisi tipologica dei reperti ha fatto emergere un ulteriore aspetto significativo: gran parte dei materiali che è stato possibile analizzare, infatti, era riconducibile alla tradizione ceramica ligure di IV-II sec. a.C.
Il rinvenimento di manufatti non attribuibili alla cultura materiale etrusco-padana ha portato a chiedersi se essi fossero giunti a Marzabotto dall’esterno o se si trattasse, al contrario, di produzioni locali. Per rispondere a tali quesiti, si è deciso di integrare lo studio archeologico con analisi archeometriche, ritenendo particolarmente adatto un approccio petrografico in quanto il loro impasto ceramico presenta frammenti litici (clasti)di considerevoli dimensioni che offrono informazioni utili sul luogo di provenienza della materia prima.
Tali analisi, promosse dalla Cattedra di Etruscologia e Archeologia Italica dell’Università di Bologna, sono state svolte dal Prof. Roberto Braga del BiGeA dell'Università di Bologna e da Matteo Tirtei e Carlotta Trevisanello del DiSCi della medesima Università. I 15 campioni, rappresentativi della totalità dei materiali studiati, sono stati sottoposti ad analisi autoptica e a uno studio petrografico mediante microscopia su sezione sottile. A questi campioni si è ritenuto necessario aggiungerne 3 di ceramica tornita in impasto grezzo locale, al fine di confrontarne matrice e clasti.
I risultati hanno evidenziato la compatibilità della componente litica dei campioni selezionati con quella delle successioni sedimentarie che affiorano nei pressi della città etrusca. In base alle analisi petrografiche, pertanto, ci si trova di fronte a vasi prodotti localmente appartenenti a una tradizione che rimanda al mondo ligure. Tale studio ha contribuito quindi ad implementare la conoscenza della cultura materiale di questo territorio per la fase cronologica di IV-II sec. a.C., ponendo le basi per futuri approfondimenti.