Le ricerche della Sezione di Archeologia del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna presso l’area archeologica di Marzabotto continuano dal 1988 in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Ferrara e ora anche con la Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna (concessione n. 12233-P del 07.05.2018), grazie al continuo finanziamento erogato dal dipartimento di Storia Culture e Civiltà dell'Università di Bologna. Nel corso di oltre trent'anni di attività sul campo la Cattedra di Etruscologia ed Antichità italiche dell'Università di Bologna, inizialmente sotto la direzione del Prof. G. Sassatelli e in seguito dalla Prof. E. Govi, ha progressivamente portato a termine lo scavo e lo studio di diverse aree della città antica, facendo così emergere dal terreno non solo i resti delle antiche strutture ivi sepolte, ma anche nuove problematiche e complessità scientifiche con cui la ricerca ha dovuto progressivamente confrontarsi.
Ubicata nel settore di testa dell’isolato, la casa risulta delimitata a nord dalla plateia B e da due stenopoi ad est e ovest. Sulla plateia B si apre l’ingresso principale, che dava accesso ad un lungo corridoio ortogonale originariamente pavimentato e fiancheggiato da due vani stretti ed allungati in senso est-ovest, probabilmente aperti sulla strada. Tramite il corridoio ci si introduceva nel cuore della casa, un’area cortilizia glareata di forma rettangolare e priva di pozzo. L’area orientale dell’edificio era occupata da una serie di vani di diversa estensione, per cui è impossibile stabilire una precisa funzione, ma delimitati a sud da un muro che piega ad angolo retto, aprendosi su tutta un’altra serie di vani gravitanti attorno ad una seconda area a cielo aperto dotata di pozzo. All’interno della casa sono numerose le tracce di strutture artigianali, che offrono una importante documentazione relativa alla produzione ceramica e laterizia in tutte le sue fasi.Gli scavi condotti dall'Università di Bologna nella Regio IV, insula 2 - Casa 1, sotto la direzione di G. Sassatelli ed E. Govi, oltre a riportare alla luce un importante contesto domestico e produttivo hanno fatto emergere i problemi interpretativi sull'architettura domestica di Marzabotto, un tema centrale negli studi sulla città. La difficoltà di riconoscere le unità abitative a causa di fondazioni murarie continue, nelle quali non sono visibili le soglie; l'assenza di strati di frequentazione; la scarsa attenzione alle fasi edilizie delle abitazioni sono solo i principali ostacoli alla ricerca. La Casa 1 ha mostrato come una unità residenziale si sia nel tempo trasformata in una bottega per la produzione ceramica riflettendo così anche le profonde trasformazioni sociali in corso a Marzabotto nel corso del V sec. a.C.
Tra il 1999 e il 2006, all’interno di un isolato regolarmente inserito nella maglia urbanistica della città, è stato scavato il tempio dedicato a Tinia, sommo dio degli Etruschi (Zeus greco). La posizione dell’edificio è strategica, all’incrocio tra la plateia A, l’asse viario principale sul quale affacciano le abitazioni più prestigiose e le botteghe, e la plateia B che conduceva direttamente sull’acropoli. Il tempio urbano era dunque collegato con gli edifici sacri dell’acropoli, rispetto ai quali si trovava sullo stesso allineamento visivo. Secondo le concezioni cosmologiche etrusche, che ad ogni dio assegnavano una sede celeste in base ad una divisione astronomica, questa era proprio la posizione dedicata a Tinia (a nord/nord-ovest), quasi fosse stata trasposta sulla terra. Il tempio fu costruito all’interno di un’area delimitata da mura di temenos e aperta a sud con un ingresso monumentale. Alcuni ambienti di servizio ed un pozzo/cisterna, funzionali alle pratiche di culto, affiancano l’edificio che è conservato solo al livello delle fondazioni, intercettate in epoca moderna dai lavori agricoli (le fosse per l’alloggiamento della vite). Alcuni frammenti riferibili alla decorazione del tetto lasciano intuire che il tempio era ornato con lastre di terracotta a bassorilievo policrome che coprivano la travatura lignea, secondo la consuetudine dell’architettura templare etrusca. Legno e travertino furono i materiali utilizzati per la costruzione. Sia per le dimensioni, davvero ragguardevoli, sia per l’aspetto metrologico (il piede attico) e sia per la tipologia architettonica “alla greca”, che rivela una precisa scelta culturale della città, il tempio di Tinia trova i suoi paralleli più vicini nelle principali città dell’Etruria meridionale, dimostrando il pieno inserimento di Marzabotto nei più vitali circuiti di collegamento che attraversavano l’intera Etruria.
A partire dalla metà degli anni '90 del secolo scorso gli sforzi di ricerca dell'Università di Bologna e della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia Romagna si sono rivolti anche verso una miglior comprensione della struttura urbanistica dell'intero abitato. Nel 1997 venne quindi eseguito un primo rilievo digitale dell'intero abitato sotto la direzione dell'Arch. Masturzo, al fine di chiarire alcune irregolarità percepibili nelle planimetrie precedenti. Grazie a questa precisa base cartografica è stato poi possibile pianificare nuove indagini di natura urbanistica in alcune aree della città che presentavano uno sviluppo meno chiaro.
Si è rivelato quindi possibile avviare campagne di ricognizioni mediante prospezioni geofisiche e mirati saggi stratigrafici (condotti nel corso della campagna di scavo del 2007), al fine di verificare tali anomalie, tra cui la dimensione di alcuni isolati e stenopoi della città. I risultati di questi saggi stratigrafici, così come quelli delle prospezioni geofisiche svoltesi nel 2008, sono confluite in una nuova planimetria dell'intero abitato (quella correntemente utilizzata) elaborata da T. Moroder nel corso della sua tesi di laurea.
Terminata l'esplorazione del tempio periptero gli sforzi dell'Università di Bologna si sono diretti nell'area a nord dello stesso, all'interno del medesimo isolato. Lo scavo nell’area più settentrionale della Regio I, insula 5, ha messo in luce un settore che risulta di difficile interpretazione a causa di massicci interventi di distruzione antichi e moderni: quattro fosse di vite ed una conduttura per la fognatura attraversano l’area risparmiando ben poco. Inoltre il settore orientale dell’isolato è interessato da un’azione di rimozione delle strutture etrusche in funzione della realizzazione di un’area di lavorazione che alcuni materiali collocano durante la fase di occupazione romana del pianoro, evidentemente più estesa rispetto a quanto finora noto sulla base del rinvenimento all’estremità orientale della Plateia B di due fornaci e di tracce di una fattoria inquadrabile tra il I a.C. e il I d.C. Tutta l’area nord-orientale della R. I, 5 infatti è risultata occupata da strutture che possono essere ricondotte ad attività artigianali, come un grande invaso di forma ovale con pareti sommariamente rivestite di ciottoli, in seguito riempito con materiali edilizi di scarto, per realizzare il quale sono stati distrutti i muri di fondazione degli edifici di fase etrusca. Non è chiaro se a questi interventi collocabili durante l’epoca romana si debba anche l’asporto del tratto murario nord-orientale di delimitazione dell’ambitus che separa l’area sacra dedicata a Tinia da questo settore dell’isolato, ma certamente tutta questa zona fu sottoposta a diverse fasi edilizie.
Nel settore scavato si possono riconoscere quattro vani allungati in senso est-ovest, uguali a due a due ed affacciati sulla Plateia A, che potrebbero fare pensare a vere e proprie botteghe affacciate sulla strada. All’interno dell’isolato si apre un’area centrale, probabilmente scoperta, attorno alla quale si dispongono ambienti, alcuni dei quali demoliti già in antico, ed una lunga canaletta foderata sul fondo con tegole, la cui imboccatura costruita con particolare cura converge verso una piccola struttura quadrata costruita con ciottoli che sembra interpretabile come una vasca. Al momento non è possibile ravvisare in tutto il settore sviluppato a nord del tempio di Tinia alcun elemento che ne orienti chiaramente l’interpretazione come area sacra, ma piuttosto vi è qualche indicatore di lavorazione artigianale come scarti di materiali che potrebbero essere ricondotti all’attiguo santuario, tra i quali frammenti di statuette in bronzo, anche di pregevole fattura. Tuttavia alcune azioni rituali connotano questo settore, la cui natura non sembra quindi riconducibile a quella abitativa, ma più verosimilmente ad una sfera pubblica e forse anche commerciale.
Le indagini archeologiche condotte dal 2013 nell'area adiacente al tempio periptero dedicato al sommo dio Tinia hanno portato alla luce un altro tempio, conservato solo al livello delle possenti fondazioni realizzate con ciottoli di fiume e con macigni di arenaria collocati negli angoli dell'edificio in tal modo armati. Salgono così a cinque i templi della città, tre costruiti sull'acropoli e due in area urbana.
Prospezioni geofisiche e sondaggi condotti negli anni '90 del secolo scorso dalla Soprintendenza per i Beni archeologici dell'Emilia Romagna avevano individuato nella Regio I un monumentale edificio con planimetria non precisabile, di cui si era intuito il carattere pubblico. Le indagini sistematiche condotte tra il 2013 e il 2015 dall'Università di Bologna sotto la direzione di E. Govi nella Regio I, insulae 4a-4b hanno consentito di chiarirne lo sviluppo planimetrico, la destinazione sacra e l'inquadramento cronologico. Resta da definire la relazione topografica dell'edificio monumentale con lo spazio circostante, obiettivo delle prossime campagne di scavo. Lo stato di conservazione delle strutture pertinenti all'edificio sacro purtroppo è apparso gravemente compromesso dai lavori agricoli di età moderna e dalla sistematica azione di depredazione dei materiali costruttivi, certamente riutilizzati nella locale edilizia ottocentesca e dei primi del novecento. Tuttavia le fosse di spoliazione delle fondazioni murarie dell'edificio e i resti conservati dei muri hanno restituito la planimetria di un tempio tuscanico a tre celle orientato a sud. Rispetto al tempio periptero il nuovo tempio è arretrato verso nord e, sebbene non sia ancora possibile chiarire la configurazione dell'intera area compresa tra i due edifici di culto, è certo che uno stenopos più largo del consueto li divideva ed è probabile che anche il tempio tuscanico fosse circoscritto da un muro di temenos, di cui si sono intraviste le tracce.
A differenza del tempio periptero, il cui modello è greco ed è caratterizzato dal colonnato continuo che circonda la cella centrale, il tempio tuscanico presenta tre celle allineate e chiuse sul retro, affacciate su uno spazio porticato, il pronao, con doppia fila di colonne. Evidenti in questo tipo di tempio la prospettiva visiva solo frontale e il principio della assialità, valorizzato anche dalla presenza di un podio, che lo isola dallo spazio circostante.
L'eccezionalità del rinvenimento si comprende non solo nell'ambito degli studi dedicati alla città, che ora mostra una forma urbana meglio definita, con una fascia settentrionale votata al sacro tra acropoli e Regio I, ma anche nel quadro più ampio dell'urbanistica e dell'architettura templare dell'intera Etruria. La notevole estensione della pars antica, di fatto un pronao doppio, e la lunghezza dello spazio antistante le celle corrispondente alla lunghezza della pars postica, sono tratti distintivi del progetto architettonico del tempio. I confronti planimetrici e dimensionali istituibili per il nuovo tempio di Marzabotto rimandano all'Etruria meridionale, in particolare a Cerveteri e Vulci, ambito verso il quale d'altra parte indirizza anche il tempio periptero. Ne emerge un complesso quadro di relazioni culturali tra Marzabotto e l'Etruria tirrenica che interessano le competenze tecnologiche applicate all'architettura del sacro, un settore specializzato per il quale è ormai assodata la circolazione in Etruria di saperi e di maestranze.