Premesse, attività e pubblicazioni che hanno preceduto la fondazione dell'associazione "De Statutis Society"

Cfr.: B. Borghi, Premesse, origini e sviluppo della Bibliografia Statutaria Italiana, in Bibliografia Statutaria Italiana 2006-2015, Roma, Biblioteca del Senato della Repubblica 2017, pp. IX-XIX. Consultabile al link: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVIII/Bibliografia_statutaria_2006-2015.pdf 

L'associazione De Statutis Society è stata fondata il 28 marzo 2019, ma è erede di una pluriennale attività che è utile richiamare nelle sue linee essenziali per riprenderne alcune finalità.

Gli esiti più noti di questa attività sono il censimento e la raccolta dei riferimenti bibliografici alle edizioni e agli studi di fonti statutarie con cui si è giunti alla redazione dei tre volumi della Bibliografia Statutaria Italiana.

Questi risultati hanno tratto motivo oltre che dalla volontà di condividere le conoscenze sulle relative pubblicazioni, anche da quella di favorire studi coordinati e comparati sui numerosi codici normativi che furono promulgati nelle diverse aree a prevalente lingua italiana tra medioevo ed età moderna; codici dalle origini eterogenee ma tutti indotti da intenti di regolare e conformare i comportamenti individuali e collettivi di specifiche comunità cittadine e rurali e di particolari associazioni laiche e religiose e perciò compendiati nel cosiddetto ius proprium

Rinnovati propositi di condivisione e di comparazione su queste fonti e su questi temi sono emersi con particolare vigore negli ultimi decenni attraverso una serie di iniziative che hanno coinvolto sia numerosi storici del medioevo e della prima età moderna sia diversi storici del diritto e che costituiscono gli ultimi sviluppi di una plurisecolare vicenda storiografica che a fasi alterne ha conferito attenzione a questo particolare settore della ricerca[1].

È noto che in precedenza un significativo risveglio d'interesse per la documentazione statutaria si ebbe nella temperie romantica della prima metà dell'Ottocento, quando dal richiamo alle tradizioni e alle radici storico-culturali delle “piccole patrie” stavano emergendo le aspirazioni a ricomporre la variegata storia delle genti della penisola in un quadro unitario coerente con gli aneliti di indipendenza nazionale. Successivamente le diverse Società e Deputazioni di Storia patria che furono fondate nel periodo postunitario posero tra i loro obiettivi quello di salvaguardare la storia locale proprio nella fase di unificazione nazionale, anche attraverso l'edizione delle fonti relative, in particolare dei codici diplomatici e degli statuti cittadini e associativi[2]. Significativo che per non disperdere e per concentrare il grande patrimonio documentario dei vari stati preunitari, dal 1870 presso la Biblioteca del Senato siano stati raccolti, catalogati, conservati e valorizzati molti dei codici normativi prodotti in Italia tra medioevo ed età moderna[3]. Negli anni Trenta del XX secolo fu lo stato a promuovere l'edizione dei codici statutari attivando la collana del Corpus Statutorum Italicorum, diretta da Carlo Guido Mor. Dopo l'interruzione causata dalla Seconda Guerra Mondiale la collana non fu riattivata.

Tuttavia questa prolungata parentesi non poteva protrarsi sine die, viste l'entità e la rilevanza di un patrimonio documentario ricco e articolato che continuava ad attirare iniziative editoriali e studi a livello locale. Tra le voci più autorevoli che si levarono per una ripresa della materia vi fu quella di Gina Fasoli[4] e di Mario Ascheri che, in occasione del Congresso internazionale svoltosi a Roma dal 22 al 27 ottobre 1973 per il novantesimo anniversario della Fondazione dell’Istituto Storico Italiano, lanciarono un appello affinché si riprendessero le iniziative di raccordo nazionale sugli studi statutari[5]. Sia per raccoglierne la sollecitazione sia per scelta autonoma, nei decenni successivi furono molti gli studiosi che tra gli storici del medioevo e dell'età moderna e tra gli storici del Diritto promossero e condussero studi ad ampio respiro sulle promulgazioni statutarie, spesso a partire da analisi di testi specifici[6]. La convergenza di tali studiosi sulle fonti e sui temi dello ius propriumera dovuta a motivazioni differenti: da un lato alcuni storici del Diritto puntavano ad allargare il campo delle loro indagini oltre i parametri fondamentali dello ius comune, in una dimensione più articolata benché a volte insidiosa; dall'altro alcuni storici tout court, pur riconoscendo i limiti documentari dei testi normativi, non intendevano rinunciare agli apporti di conoscenza deducibili da fonti tanto ricche ed abbondanti che, nonostante i loro limiti, comunque celano e possono rivelare numerosi aspetti delle società indagate.  

Numerosi furono i convegni che ospitarono contributi volti a effettuare confronti ad ampio raggio pur nell'ambito di incontri incentrati su codici locali; tra gli altri si ricordano quello di Perugia nell'autunno del 1985[7], quelli che si svolsero a Ferentino nel marzo del 1988 e nel maggio 1989 per iniziativa del Centro di studi internazionali "Giuseppe Ermini" in collaborazione con Società romana di storia patria e col comune locale[8] e quello che nell'autunno del 1988 si tenne ad Albenga[9]. Queste iniziative abbinate ad un significativo incremento di studi e di edizioni possono essere considerate i primi passi di una nuova stagione statutaria italiana dalla quale sarebbero scaturite anche le pubblicazioni dei tre volumi della Bibliografia.

In questo rinnovato fervore di studi si intesero dunque realizzare alcuni degli auspici di coloro che avevano rilevato l’eccessivo protrarsi dell'accantonamento di documentazioni copiose e potenzialmente utili per le indagini di storia sociale e politica sulle comunità del basso medioevo e della prima età moderna. Tuttavia, come accennato, quasi sempre le occasioni di confronto prendevano spunto da studi ed edizioni di codici locali che finivano col mantenersi come i fulcri interpretativi prevalenti, limitando le trattazioni di più ampio respiro agli interventi introduttivi e conclusivi. Peraltro rispetto all'interpretazione delle fonti statutarie urgevano nuovi studi sia per metterne alla prova il valore documentario sia perché persisteva nelle opinioni correnti l'approssimazione di alcune pregiudiziali diffuse, come quella di sottovalutare le normative promulgate al di fuori del contesto dei comuni cittadini dell'Italia centrosettentrionale subordinandone le valenze politiche e le capacità d'incidenza a quelle di questi ultimi. 

Tra coloro che colsero questi limiti e che sentirono come sempre più impellente la necessità di forme di raffronto quanto più ampio possibile vi furono alcuni autorevoli studiosi che auspicarono che la nuova stagione di utilizzo delle fonti statutarie valesse anche a far avanzare il fronte metodologico delle ricerche e a far scaturire le sintesi e le visioni generali dalle analisi e dai confronti delle diverse realtà territoriali e politiche[10]. Fu così che all'inizio degli anni Novanta in coerenza con gli auspici di Gina Fasoli[11] e di Mario Ascheri, prese forma l'idea di un convegno di respiro davvero nazionale nel quale la comparazione tra le promulgazioni delle varie aree della penisola non si limitasse alla lettura testuale, ma proponesse riscontri sui contesti politici e sull'effettiva portata delle norme, attraverso la verifica comparata dei livelli di autonomia reale insiti negli statuti civici, per poter interpretare la normativa locale in quadri più complessivi e globali, quali espressioni delle dialettiche tra compagini statali e città e tra queste e i centri minori. 

Con una preparazione di oltre tre anni e attraverso numerosi incontri precongressuali tenutisi a Bologna, a Firenze, ad Ascoli, a Perugia, a Roma, a Milano, a Cagliari, a Rende e all'Aquila, si diede ai relatori - uno per ogni regione attuale e per ogni area di lingua italiana esterna agli attuali confini - l'occasione per un confronto dell'ampia produzione statutaria medievale italiana su un piano metodologico unitario, perché volto alla lettura sociale e politica delle fonti normative civiche, alla valutazione dei loro effettivi riscontri nella prassi amministrativa e soprattutto alla verifica della loro efficacia in termini di autonomia, attraverso il riscontro sistematico su altre fonti. In pratica si raccomandò di andare oltre la lettura pura e semplice dei codici, mettendo in campo tutto quel ventaglio di testimonianze che possono valere da verifica sull'incidenza del loro dettato.

Nel corso dei numerosi incontri si prospettò l'opportunità di attivare una rete nazionale di studiosi che avrebbe potuto utilizzare i reciproci contatti per ulteriori iniziative. In base alle disponibilità manifestate furono individuati i curatori per area e per tema che formarono una struttura organizzativa articolata in coordinatori o referenti regionali corrispondenti e capace di rappresentare sedi universitarie, società e deputazioni locali, interessando in maniera capillare tutto il territorio nazionale[12].

Si misero così a confronto tutte le realtà regionali italiane, prendendo in particolare considerazione le modalità, gli schemi formali e i vincoli normativi attraverso cui i centri maggiori si imposero come dominanti politiche e rivalutando così il rilievo delle normative cittadine anche nella dialettica politica dell’Italia meridionale e insulare in cui ebbero ruoli di protagonisti la corte regia e gli esponenti della feudalità. 

Sulla base di queste chiavi interpretative condivise, nel maggio del 1993 si tenne a Cento il convegno La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo i cui Atti si sono dunque prospettati come il primo raffronto integralmente nazionale sugli statuti cittadini medievali[13]

Successivamente il gruppo di studiosi di diversa estrazione che si era formato durante la lunga fase di preparazione e di realizzazione del convegno centese si pose altri obiettivi comuni e diede vita al Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative(CISEFN) presso la Biblioteca del Senato della Repubblica.

Fin dalla sua formazione tale comitato - coordinato a livello organizzativo dal gruppo bolognese - ha cercato di mettere a frutto le opportunità di dialogo facendo interagire le diverse e specifiche competenze e capacità di indagine e contribuendo così alla rimozione degli equivoci dovuti alla carenza di conoscenze specifiche per l'interpretazione della terminologia giuridica[14].

Tra gli obiettivi è apparso preliminare quello di instaurare forme di comparazione permanente, oltre che con gli esperti che si occupano degli altri aspetti della documentazione normativa e statutaria, anche con i responsabili e i promotori delle numerose iniziative avviate su tali temi, creando periodiche occasioni di confronto. Si è potuto così favorire l'adozione di criteri e cautele comuni, comprese alcune innovazioni nelle modalità di edizione delle fonti, come la produzione di filedatabase e ipertesti da affiancare alle pubblicazioni cartacee.

Tra i criteri condivisi quello di mantenere e incentivare un approccio "storico", capace di utilizzare i testi normativi in orizzonti più vasti che consentano di verificare il valore politico, la reale portata e l'efficacia degli enunciati e delle formule contenute nei codici, cautelandosi dalle insidia di un tipo di fonte che richiede un duplice livello di indagine: quello sugli aspetti appariscenti e spesso fallaci delle volontà espresse e quello sulle motivazioni e incidenze reali spesso celate dai proclami di maniera e da formule d'uso mutuate da altri codici. In questa chiave acquisiscono ulteriore valenza anche le analisi testuali che possono consentire di rilevare significati e aspetti giuridici, caratteri codicologici, lessicali e terminologici utili ad individuare derivazioni, parentele, aree e tempi di promulgazione e di vigenza[15].

Fin dalla sua prima formazione il Comitato si è quindi caratterizzato per un profilo originale e scientificamente motivato che intende affrontare le principali questioni metodologiche per le pubblicazioni e le analisi dei testi statutari su di un piano di comparazione nazionale. Da un lato nell'assecondare e promuovere le pubblicazioni di rubricari, repertori e testi si sono individuati e condivisi come preliminari e necessari i criteri da adottare per queste forme di pubblicazione; dall'altro nel promuovere nuovi studi si sono suggerite questioni inderogabili quali l'articolazione tipologica, territoriale e cronologica dei codici pervenuti, l'individuazione e la distinzione delle norme originarie da quelle desunte da modelli, da stratificazioni e da aggiunte e il ricorso ad altre fonti per riscontrare le ricadute delle promulgazioni. 

Le varie iniziative intraprese hanno portato anche all’apertura di un sito in rete (De Statutis: <www.statuti.unibo.it>) per agevolare comunicazioni e confronti con la rapidità dei nuovi strumenti. 

Rispetto alla sua prima articolazione secondo gli attuali ambiti regionali - riferimento funzionale, ma ovviamente antistorico - il comitato ha teso man mano a ricondursi alle compagini politico-territoriali dei periodi studiati - regni, stati cittadini e regionali - e ai contesti politici in cui si produssero le promulgazioni statutarie. Questa tendenza ha poi dato vita a più gruppi di lavoro; il primo sulle normative nelle Terre della Chiesa ha trovato uno stabile punto di riferimento e una sua sede presso l'Università di Perugia per iniziativa di Maria Grazia Nico Ottaviani; successivamente altri gruppi si sono prospettati e focalizzati intorno a temi specifici come quello della comparazione della legislazione suntuaria promosso da Mario Ascheri, Rolando Dondarini e Massimo Miglio e coordinato da Maria Giuseppina Muzzarelli[16] o quello dedicato allo studio degli statuti di associazioni ed enti, coordinato da Sandro Notari. 

Sul piano nazionale il CISEFN, ha realizzato per oltre un decennio numerosi convegni annuali su tematiche e questioni metodologiche relative alle diverse varianti delle fonti normative. 

Dopo quello di Cento, il secondo e il terzo convegno si sono svolti a San Miniato presso il Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo: rispettivamente su Le repertoriazioni dei codici statutari, il 10 e 11 Settembre 1994 e su L'edizione degli statuti il 22 e 23 settembre 1995. 

Il quarto convegno nazionale, organizzato in collaborazione con l'Istituto sui rapporti italo-iberici del Consiglio Nazionale delle Ricerche si è tenuto a Cagliari dal 24 al 29 settembre 1996 sui diversi temi: I rapporti tra delibere e statutiLa vigenza degli statutiGli statuti marittimi e Le applicazioni dell'informatica nell'uso delle fonti normative.

Il quinto convegno si è tenuto a Bologna il 23 e 24 gennaio 1998 sul tema Gli statuti e la stampa e ha visto la partecipazione di studiosi di molte discipline attinenti al tema [17].

Fu nel contesto di questi ricorrenti incontri che il CISEFN, fruendo dei suoi referenti regionali concepì e realizzò in collaborazione con la Biblioteca del Senato della Repubblica il primo numero della Bibliografia Statutaria Italiana (1985-1995)[18].

Proprio in occasione della sua presentazione il comitato tenne a Roma il 5 novembre 1998, presso Palazzo Giustiniani il suo sesto convegno nazionale coronato dalla tavola rotonda dal titolo Dieci anni di studi e ricerche sulla legislazione italiana medievale e moderna con la partecipazione di Mario Ascheri, Mario Caravale, Giorgio Chittolini, Gian Savino Pene Vidari[19], Ugo Petronio, Vito Piergiovanni, Andrea Romano, Gian Maria Varanini e dell'allora ministro, Ortensio Zecchino [20].

Il settimo convegno nazionale dal titolo Signori, regimi signorili e statuti nel tardo medioevosi svolse a Ferrara dal 5 al 7 ottobre 2000 organizzato in concorso con la Deputazione provinciale ferrarese di Storia Patria[21]

Nel contesto delle iniziative del CISEFN si è pervenuti anche all'edizione informatica sperimentale del codice degli statuti di Bologna del 1376 curata da Maria Venticelli[22] con l'apporto tecnico di Aldo Paolo Palareti che hanno introdotto modalità e procedure che si avvalgono delle nuove tecnologie e delle opportunità che esse offrono per restituire la quasi totalità delle informazioni contenute nei manoscritti originali[23]

In questo periodo di particolare fervore si sono svolte anche molte altre iniziative sul tema statutario a cui spesso hanno partecipato attivamente membri del CISEFN[24]

Nel 2002, in collaborazione con Università della Tuscia e con la Regione Lazio, il comitato ha promosso e realizzato a Viterbo dal 30 maggio al 1° giugno 2002 il suo ottavo convegno nazionale dal titolo Le comunità rurali e i loro statuti (secoli XII - XV)[25].

Allo scopo di avvalersi della rete del CISEFN anche per giungere alla redazione di un secondo volume della Bibliografia Statutaria, nel triennio 2003/2005 è stato attivato un Progetto di Rilevante Interesse Nazionale (PRIN) intitolato Le fonti normative nell'Italia del basso medioevo: censimenti, edizioni, ricerche che ha coinvolto gli atenei di Bologna, di Firenze, di Napoli, di Palermo, di Pavia e di Verona.

Nel 2004 il comitato ha collaborato col Centro Interuniversitario per la Storia delle Università Italiane (CISUI) nella promozione e nella realizzazione del convegno internazionale Gli statuti universitari: tradizione dei testi e valenze politiche (Messina - Milazzo 13 - 18 aprile 2004)[26].

Negli anni successivi sui temi statutari si sono continuate a promuovere ricerche ed edizioni nelle diverse aree storiche allo scopo di delineare e circoscrivere tipologie, ceppi, ascendenze, ricadute e periodi delle varie promulgazioni statutarie e di verificare anche così le relazioni tra vigenza delle norme e loro reale incidenza. A cadenza annuale gli esiti di queste ricerche sono stati presentati con altri incontri tenuti presso la Biblioteca del Senato che hanno visto la partecipazione di alcuni tra i più stimati medievisti e storici del Diritto. 

Nel frattempo attraverso la rete dei referenti regionali si sono raccolti e ordinati i dati per la redazione del secondo volume della Bibliografia statutaria italiana (1996 - 2005), poi pubblicato dalla Biblioteca del Senato nel 2009[27] e presentato presso la stessa Biblioteca il 22 giugno 2010. In tale occasione si è svolta una giornata di studi dal titolo Due decenni di studi statutari in Italia, con interventi di Enrico Angiolini, Mario Ascheri, Sandro Bulgarelli, Rolando Dondarini, Massimo Miglio, Maria Grazia Nico e Claudia Storti. 

Nonostante le difficoltà che in ambito accademico si sono obiettivamente manifestate nell'ultimo decennio per il mantenimento di relazioni continuative ad ampio raggio come quelle che esige una rete attiva di estensione nazionale, altri appuntamenti del CISEFN si sono succeduti negli anni più recenti soprattutto presso la Biblioteca del Senato. Fra gli altri quello nel quale il 2 aprile 2014 in cui Mario Ascheri, Rolando Dondarini e Paola Galetti hanno rinnovato l'auspicio di rinnovare e riprendere i raccordi attivati dal comitato[28].

D'altronde sugli statuti si sono realizzate iniziative importanti promosse anche da altri artefici: il 23 ottobre del 2014, ancora presso la Biblioteca del Senato, si è tenuta la giornata di studi sulle attività delle Deputazioni in relazione a questo settore di studi[29]. Tutto ciò ha indotto il gruppo bolognese a riattivare la rete dei referenti regionali del CISEFN verificando le disponibilità di raccogliere i dati delle pubblicazioni statutarie effettuate dal 2006 al 2015 per redigere il terzo volume della Bibliografia Statutaria Italiana[30].

È sulla base di questo patrimonio di studi e di pubblicazioni che si è deciso di rinnovare le opportunità di raffronto e di scambio con la costituzione della nostra associazione.

 

Titolo 1. ...Associazione "De Statutis" per lo studio degli ordinamenti particolari e l'edizione delle fonti e delle trattazioni relative..

Titolo IV:  L'Associazione ha lo scopo di promuovere la ricerca e lo studio storico e storico-giuridico delle fonti normative degli ordinamenti particolari dal Medioevo fino a tutto l'arco dei secoli della loro vigenza, privilegiando tra tutte, gli ordinamenti dei Comuni, delle associazioni professionali, dei sodalizi, civili e religiosi e simili avendo riguardo anche agli aspetti della critica storica, filologica e linguistica e al profilo materiale dei codici, dei libri e dei documenti in genere recanti i testi oggetto di studio.

A tal fine l'Associazione si propone lo svolgimento, nel rispetto dell'ordinamento vigente, delle attività principali e strumentali indicate nell'articolo 2 dello statuto di cui in appresso:

"... studiare e ricercare gli statuti, privilegiando tra tutti gli ordinamenti dei Comuni, delle associazioni professionali, dei sodalizi, civili e religiosi, e simili, avendo riguardo anche agli aspetti della critica storica, filologica e linguistica e al profilo materiale dei codici, dei libri e dei documenti in genere recanti i testi oggetto di studio:

- favorire l'incontro e la collaborazione scientifica tra gli studiosi interessati allo studio delle fonti normative, come sopra indicate, anche nella loro relazione dialettica con gli ordinamenti giuridici universali;

- promuovere la pubblicazione di studi, edizioni critiche, documenti, ricerche, anche in forma eletrronica;

- preparare un seminario e/o convegno con cadenza annuale sul tema previamente deliberato dall'Assemblea;

predisporre e aggiornare, anche in collaborazione con altri, persone fisiche, associazioni e istituzioni, la raccolta bibliografica degli studi italiani sugli statuti, in continuazione con la Bibliografia Statutaria Italiana (BSI), pubblicata in più volumi dal 1998;

- favorire e organizzare incontri, convegni e iniziative di ricerca scientifica a beneficio di enti, istituzioni, giovani studiosi, sia a fini didattici che di promozione delle proprie finalità associative;

- sostenere la formazione di giovani ricercatori negli studi storici e storico-giuridici, medievali e moderni, nel campo specifico dei diritti storici degli ordinamenti particolari;

- avvalersi, sotto la responsabilità del Predidente del Consiglio Direttivo, di un sito web, cioè Internet sul modello dell'esistente sito "de statutis", collegato alla piattaforma dell'Università di Bologna, Alma Mater Studiorum;

- editare, sotto la responsabilità del Presidente del Consiglio Direttivo, una collana editoriale e una pubblicazione periodica, anche in formato digitale, con propria direzione e  una redazione composta da studiosi anche stranieri, nominati dal Consiglio Direttivo che, in merito, rendiconta all'Assemblea.

 

Le ragioni di un confronto necessario

Alle origini di analogie, peculiarità e differenze dei codici statutari

 

Con la parola statuto si intende un insieme di norme tese a governare e disciplinare comportamenti individuali e collettivi per comunità e territori circoscritti. Simili norme orali o scritte sono da sempre generate dalla convivenza sociale e sono tuttora concepite e redatte per fornire risposte riconosciute e condivise alle esigenze concrete di gestione di consorzi umani. La loro comparsa e codificazione furono particolarmente significative per molte aree dell'Europa nei primi secoli del secondo millennio, quando, sulla spinta di una generale rinascita, le comunità rurali e cittadine si andarono ampliando e articolando fino a dover necessariamente organizzare la vita sociale secondo aspetti, criteri e riscontri particolari e locali, non previsti o regolati dalle leggi generali che facevano riferimento al diritto comune. Fu in questi contesti che dalla frantumazione dei precedenti assetti imperiali sorsero e si svilupparono nuove compagini politico-territoriali attraverso processi di accorpamento che si irradiarono dai maggiori fulcri del potere del tempo. Laddove signori fondiari e feudali seppero catalizzare ed espandere le loro dominazioni si imbastirono le trame e i tessuti di nuovi regni, ma nelle aree in cui si era conservata una forte incidenza urbana, furono le città e i loro ceti dirigenti a estendere concrete capacità di controllo sulle proprie comunità e su quelle delle terre circostanti, giungendo a creare veri e propri stati cittadini. Prevedendo e fissando funzioni, pertinenze, deleghe e livelli decisionali coi relativi ambiti di potere, gli statuti civici costituirono ovunque atti politici che implicavano capacità di autodeterminazione; tanto più quando puntavano a salvaguardare margini di autogestione durante le fasi di contrapposizione e di conflitto tra centri dominanti e minori, opponendo ai propositi uniformanti delle autorità centrali, le resistenze autonomistiche delle comunità periferiche per le quali l'esibizione di propri statuti assunse spesso anche il significato di attestato di autogestione e di identità civica. È per questi motivi che la produzione statutaria si espresse con maggior evidenza e con particolare precocità e intensità nelle fasi di rinascita delle città e di ricomposizione dei tessuti politico-territoriali gravitanti su di esse; soprattutto laddove premesse, circostanze e vicende consentirono i più vigorosi sviluppi economici e incrementi demografici e le più marcate affermazioni egemoniche: cioè nelle aree urbanizzate dell’Occidente europeo in concomitanza con la ripresa economica e demografica dell'inizio del secondo millennio.

La gran parte dei testi normativi medievali ebbe dunque origine da volontà di dotarsi di criteri, norme e funzioni che regolassero la convivenza sociale e le forme partecipative di comunità e associazioni[31] che in tal modo cercavano anche di affermare le loro prerogative politiche o i loro margini di autonomia[32]. Peraltro tali testi non debbono essere considerati una novità assoluta, date le loro frequenti ascendenze alle consuetudini che risalivano ben oltre la riscoperta, rivalutazione e diffusione del diritto romano assunto come ius commune.

Ancor prima che si pervenisse all’adozione di codici civici, cioè vincolanti per tutti membri delle comunità che ne furono artefici, alcune categorie produttive si erano dotate di norme condivise, dapprima trasmesse oralmente e poi per iscritto che, limitandosi alla cerchia degli associati, avevano una valenza collettiva, ma non comune. La loro stesura sottoforma di statuti corporativi fu man mano intrapresa da quasi tutte le associazioni di mestiere, a partire da quelle che più si avvalsero della crescita delle attività mercantili e finanziarie e delle relative transazioni, che a loro volta indussero all’adozione e all’incremento delle forme di registrazione di atti e contratti, favorendo fra l’altro la comparsa e la diffusione di esperti del settore quali i notai che, come professionisti dell'attestazione scritta sia pubblica che privata, assunsero un particolare rilievo sociale e politico[33].

Ovunque la traduzione delle normative in forma scritta fu il tramite per sancire il loro riconoscimento pubblico e loro convalida e sostituì con la tangibilità delle scritture i riferimenti alle consuetudini e alla memoria. Occorre infatti sottolineare in merito che tutti i codici statutari pervenuti furono esito della cosiddetta “rivoluzione scrittoria”, cioè di quel profondo mutamento che, anche in conseguenza dell’ascesa dei ceti mercantili e del diffondersi delle loro competenze e prerogative, portò tra XII e XIII secolo ad una produzione inusitata di documentazione scritta relativa a tutti i settori dell’amministrazione: quello normativo, giudiziario, fiscale. Fu allora che la scrittura divenne l'espressione più idonea all'attestazione e alla convalida di norme, contratti e transazioni, soppiantando con la certezza palpabile dei documenti scritti la labilità dei richiami agli usi e alle prassi consolidate[34].

Fu in tal modo che le promulgazioni statutarie civiche assunsero un evidente significato politico[35] riscontrabile sia in chiave interna attraverso l’assunzione della potestas statuendi[36], sia in contesti più ampi data l’esibizione e la rivendicazione di capacità di autodeterminazione nei confronti di istituzioni e autorità concorrenti e superiori.

Il loro valore politico si traduceva sul piano interno nell’imposizione di regole volte a conformare i comportamenti individuali e collettivi nel nome dell’interesse pubblico; nel predisporre organi decisionali, deleghe e funzioni per governare la quotidianità, per individuare reati e per comminare sanzioni.

Sul piano dei rapporti esterni era la stessa vigenza dei codici che dimostrava l'autonomia politica di comunità capaci di governarsi. 

Era pertanto la possibilità di decidere, ovvero l’arbitrium nelle sue diverse espressioni, a costituire l’essenza stessa degli statuti,[37] con la loro capacità di deliberare le nomina di ufficiali pubblici (arbitrium eligendi), di conferire deleghe e competenze dispositive e coercitive (arbitrium officialis). Per questi motivi possedere uno statuto giunse ad implicare e a manifestare la disponibilità del relativo arbitrium, anche quando erano decadute l’efficacia e la congruenza delle sue norme. 

Tutti i numerosissimi codici normativi pervenuti prodotti nel basso medioevo e nella prima età moderna (provvigioni, riformagioni, delibere, statuti, bandi, constitutionescarte de logu, libri rossi, etc.), costituiscono preziose fonti di conoscenza delle società del tempo, anche se da utilizzarsi con cautela e con adeguate attenzioni comparative[38]

Sarebbe pertanto riduttivo soffermarsi sul fenomeno delle origini e dello sviluppo delle normative locali solo per l’ambito di più intenso sviluppo delle autonomie cittadine e in riferimento a questo, limitarsi alla prima fase comunale.

Nell'attuale territorio italiano furono molteplici i contesti e le varianti di sviluppo dei centri rurali e urbani e di conseguenza anche le relative espressioni normative[39], con peculiarità e caratteri che si distinsero non soltanto in relazione agli ambiti politico-territoriali, ma anche ai tempi in cui furono emanati[40].

Dal punto di vista politico-territoriale, oltre alle forme che si realizzarono negli stati cittadini dell’Italia centro-settentrionale e nei relativi apparati comunali[41], si attuarono quelle dei centri inseriti nei tessuti dei regni meridionali e insulari nei quali autorità centrali e aristocrazie locali si confrontavano in continue contese tra imposizioni di autorità, rivendicazioni di autonomia e concessioni regie. In una posizione per molti versi intermedia si possono collocare le normative dei centri inclusi nelle terre della Chiesa per i quali occorreva compendiare il dominio pontificio con le forti spinte autonomistiche delle città sottoposte nelle quali quasi sempre l'organizzazione comunale era sorta e si era consolidata in maniera autonoma[42].

In sintesi, dato che l’organizzazione comunale cittadina ebbe modo di generare apparati capaci di effettiva autogestione politica soprattutto nella fasi di espansione e consolidamento delle città-stato dell'Italia centro-settentrionale, fu in questo contesto spazio/temporale che le relative promulgazioni statutarie assunsero maggio rilievo. Invece - come poi si verificò anche in queste aree con la successiva formazione di stati regionali - nei regni meridionali ed insulari le normative cittadine emanate in quei secoli ebbero una funzione più orientata alla gestione amministrativa locale e periferica nel contesto di uno stato centralizzato[43].  In pratica la progressiva affermazione degli stati regionali e dei regni meridionali alle soglie dell'età moderna ne avvicinò il significato accentuando per entrambi i contesti la distinzione tra entità dominanti e dominate e di conseguenza il contenuto e l'incidenza delle rispettive promulgazioni statutarie[44].

Con analoghi intenti di sintesi generale, alla ripartizione estremamente schematica per aree se ne può sommare una altrettanto generica in relazione ai tempi di promulgazione. Questa ulteriore ripartizione di tipo cronologico che tenga conto non solo dei diversi contesti politico-territoriali in cui furono prodotti testi normativi, ma anche delle specifiche vicende evolutive di ciascun contesto, si rende opportuna in considerazione delle considerevoli trasformazioni che si verificarono in tutti quegli ambiti durante quei secoli e che si ripercossero anche nella produzione dei testi statutari, i quali assunsero di conseguenza valenze diverse o addirittura opposte in relazione alle circostanze in cui furono emanati[45].

Per i comuni cittadini dell'Italia centrosettentrionale si possono individuare almeno tre fasi a cui corrisposero conseguenti varianti delle promulgazioni statutarie[46]. Quella di origine e formazione (fine XI - inizio XIII secc.) nella quale le comunità cittadine, spesso ancora guidate dall’entourage episcopale e dai maggiorenti locali, emanarono statuti sia per recepire i riferimenti alle consuetudini sia per superarne la precarietà nella prospettiva di dotarsi di strumenti normativi capaci di assecondare lo sviluppo e un'ordinata vita sociale, affidando funzioni e compiti agli organi e alle magistrature comunali che stavano assumendo prerogative pubbliche e vincolanti[47]. In questa prima fase la produzione statutaria fu contestuale alla percezione di un elevato grado di autocoscienza civica. Non a caso si può chiaramente verificare una concomitanza di fondo tra la comparsa delle laudes civitatum e l’emanazione dei primi codici statutari.

La seconda fase corrispose all’ascesa economica e all'affermazione sociale e politica dei ceti produttivi (metà XIII - inizio XIV secc.) che trasposero negli statuti la volontà di eliminare vecchi privilegi e di imporre norme e comportamenti comuni nell'interesse pubblico. In questa fase i conflitti sociali e politici interni portarono a considerevoli cambiamenti istituzionali che si tradussero nella sostituzione degli assetti e dei mandati conferiti all'interno della vecchia struttura comunale con quelli rivendicati e realizzati dalle organizzazioni di popolo.

Una terza fase può essere considerata quella di formazione e di consolidamento dei nuovi apparati regionali (XIV-XV secc.) durante la quale la capacità normativa divenne esclusiva della sola dominante, mentre gli statuti delle comunità inserite nelle nuove compagini a volte scomparvero e comunque perdettero gran parte del loro valore di affermazione e di autodeterminazione e furono piegati a divenire soprattutto strumenti amministrativi per le questioni pratiche e minute della quotidianità, mantenendo quasi soltanto il significato di riconoscimento di identità civica[48].

Nelle aree dell'Italia centrosettentrionale si possono rilevare fenomeni e tendenze similari anche per l'intero arco di tempo testé preso in considerazione compreso tra XI e XVI secolo. In merito al succedersi delle codificazioni ad esempio mentre le prime in genere si susseguirono con una certa frequenza per l'intenzione implicita di conservare e rinnovare la più elevata attinenza possibile tra il dettato delle norme e le realtà sociali e politiche alle quali erano rivolte, col passare del tempo gli intervalli tra le redazioni originarie, le loro revisioni e le eventuali stesure di nuove versioni si ampliarono, causando una perdita di rispondenza delle rubriche rispetto alle situazioni reali[49]. Potevano emergere così anacronismi, incongruenze e imprecisioni a volte così evidenti da richiedere interventi di tecnici del diritto per interpretare le rubriche attraverso glosse e consilia[50].

D'altronde gli studi condotti sul tema hanno rivelato come, soprattutto nei casi in cui un codice rimaneva in vigore a lungo, il contenuto delle rubriche divenisse secondario rispetto alla semplice permanenza dello statuto la cui semplice vigenza continuava ad attestare prerogative di autodeterminazione giuridica e politica connaturate alla disponibilità di normative locali[51]. In ciascun codice promulgato da molto tempo si sommavano così porzioni vitali e persistenti perché indotte dall'attestazione identitaria e simbolica della sua esistenza e dai riferimenti a costanti che caratterizzavano stabilmente la comunità interessata; altre parti che, immesse su sollecitazioni transitorie, subivano una svalutazione più o meno rapida, perché generate da necessità contingenti che le rendevano man mano meno appropriate alla realtà in movimento; infine porzioni totalmente decadute e anacronistiche perché non rimosse anche se definitivamente superate dai cambiamenti intercorsi[52].

Oltre che per tutte queste ragioni, i codici pervenuti debbono essere utilizzati con molta cautela nell'interpretazione dei loro contenuti, anche perché a volte la loro stesura fu influenzata da fenomeni di circolazione e di emulazione di modelli e formule acquisite da altri testi e si conformarono a tradizioni retoriche dettatorie motivate dalla volontà di avvalersi di esemplari tratti dalle cancellerie più autorevoli come quelle dei comuni egemoni o addirittura quelle imperiale e pontificia, imitandone il valore paradigmatico sul piano formale. In tali casi con la cura scrittoria e l'adozione di espressioni rituali non autoctone si andava ben oltre la dimensione formale, poiché puntando ad avvalorare atti pubblici e provvedimenti che gli organi comunali emanavano per attribuirsi un potere legiferante e normativo, si finiva con alterare la rispondenza dei codici alle situazioni locali[53].

Fin dalla formazione degli stati cittadini gravitanti sulle città maggiori si cercò da parte dei centri minori di far ricorso all’ostentazione dei loro codici quali manifesti di autodeterminazione. Generalmente questi tentativi furono vani, tanto che l'affermazione della dominante finiva in genere col tradursi in un vuoto statutario di promulgazioni locali per tutto il territorio sottomesso nel quale vigeva il solo statuto della città egemone[54]. Uniche eccezioni, le comunità poste ai margini di quei territori il cui rilievo strategico diveniva la merce di scambio per rivendicare limitate prerogative di autonomia[55].    

Fu durante i successivi processi di affermazione dei regimi signorili e di formazione degli stati regionali, quando le dinamiche politico-territoriali selezionarono le capitali e le dinastie dominanti, che molte comunità cittadine inglobate nelle nuove grandi compagini chiesero attraverso i loro patti di dedizione il riconoscimento dei loro statuti – anche se desueti e superati - nel tentativo di ottenere la concessione dei contenuti margini di autonomia ancora praticabili.

Spesso i nuovi fulcri del potere politico-territoriale ammisero l'adozione di statuti locali purché non contrastassero con la loro dominazione. Con queste finalità e riserve le corti signorili giunsero anche ad elaborare prototipi e modelli di codici statutari che dietro la probatio signorile, che spesso gli stessi proemi facevano apparire come concessa dai signori motu proprio, e con limitate varianti locali venivano accordati alle città e alle comunità soggette[56].

Solo in parte analoghe le forme di concessione che si ebbero nelle terre della Chiesa, per le quali è in primo luogo necessario tener conto delle alterne vicende dello Stato Pontificio: dai periodi di forte incidenza della corte papale, alla sua parziale latitanza concomitante con la crisi della fine del XIII e dell'inizio del XIV secolo e con la parentesi avignonese, durante la quale fu l'istituzione del Legato Pontificio a cercare di mantenere e recuperare effettive capacità di dominio su centri e terre, fino alle altalenanti vicende del XVI e del XVI secolo[57]. Fondamentale in proposito fu l'opera di Egidio Albornoz che funse da spartiacque nella politica territoriale pontificia, poiché oltre che del recupero delle pertinenze territoriali della Chiesa, si occupò di riordinare la gran mole del materiale normativo prodotto dallo stato ecclesiastico chiarendo i rapporti con i domini e le comunità che ne facevano parte anche tenendo conto delle loro consuetudini[58]. In riferimento alle città maggiori nelle quali già nella prima fase comunale si erano concepiti e strutturati apparati politici ed amministrativi capaci di autogestione, le promulgazioni statutarie rimanevano necessarie per governare le comunità urbane e quelle dei centri e dei territori che gravitavano su tali città. Pertanto pur con la necessaria approvazione pontificia, la loro vigenza e le loro promulgazioni in genere si protrassero fino all'Età moderna.  

In definitiva anche nelle aree che avevano visto il maggior sviluppo del sistema comunale gli statuti erano passati nel corso di tre secoli dalle mire di ulteriore sviluppo dell'autonomia e delle facoltà normative dei nuovi apparati partecipativi agli adattamenti indotti dalla generale contrazione degli accessi alle funzioni pubbliche e dalla successiva restrizione della cerchia dei gestori del potere. Alle soglie dell'Età moderna anche in queste realtà il valore e l'incidenza dei codici statutari apparivano radicalmente mutati avendo perduto gran parte delle aspirazioni innovative e avendo assunto dietro le apparenze di autodeterminazione il valore di conferma e di suggello delle effettive preminenze sociali e politiche. 

Le evoluzioni in tal senso si erano palesate negli sviluppi tardo-comunali e nelle fasi di consolidamento dei regimi signorili, quando i testi statutari furono resi funzionali alla voluta e consapevole svalutazione delle capacità deliberative delle magistrature e degli organi pubblici che, pur conservando sul piano formale le loro pertinenze erano stati resi accessibili soltanto alle cerchie ristrette dei maggiorenti. La stessa disponibilità dell'arbitrium che avrebbe dovuto attribuire maggior incisività agli organi pubblici e ai loro ufficiali fu piegata ad assecondare i vertici nei loro interventi su ogni aspetto della vita pubblica, con modifiche, concessioni e deroghe che stabilizzarono e gli assetti politici e sociali raggiunti. Si trattò di una vera e propria “politica del diritto”, cioè di un ricorso sistematico agli statuti vigenti per sancire gli equilibri politici maturati nel frattempo[59].

Sotto l'apparenza di una continuità istituzionale si dava così avallo alle gerarchie sociali e politiche che negli stati regionali rendevano esclusive le leve del potere per i ceti dominanti delle capitali e delle città soggette, i cui assetti comunali si orientavano a divenire stabilmente apparati amministrativi perdendo gran parte della loro valenza politica oramai vanificata da una sostanziale impotenza decisionale[60].

Occorre dunque ammettere che in questa prospettiva la parabola evolutiva degli statuti delle aree dell’Italia centro-settentrionale condusse le loro promulgazioni più tarde ad assumere significati non del tutto dissimili da quelle prodotte nell’Italia meridionale e insulare

Anche in questi territori nel corso del consistente sviluppo dei centri urbani che si verificò dall'unificazione normanna fino all'età post-federiciana si ebbero da parte delle componenti più attive delle comunità cittadine manifestazioni di spirito civico e spinte a perseguire forme e apparati di autoderterminazione[61]. Ciononostante le vicende successive dapprima limitarono le loro aspirazioni in tal senso, per poi evolversi verso una pluralità di condizioni. 

Fino alla fine del XIII secolo alle città meridionali fu precluso ogni riconoscimento di autonomia giuridica poichè le loro eventuali prerogative veniva accordate soltanto de permissione regia[62]. Le universitates, cioè le comunità di cives che abitavano una quarantina di centri cittadini di diversa grandezza, appartenevano al demanio regio e condividevano un sistema istituzionale di governo locale teoricamente uniforme, con analoghe modalità di designazione degli organi locali. In questi contesti la crescita della borghesia urbana non riuscì ad incidere sulla scena politica del regno i cui principali protagonisti rimanevano la corona e i ceti feudali[63], che consideravano i ceti emergenti loro antagonisti. La corte regia intendeva tenere sotto controllo i fermenti del mondo cittadino percepito con sospetto per la sua mutevolezza e dinamicità. Per farlo imponeva forti restrizioni all'accesso ai consigli e alle cariche amministrative locali le cui richieste dovevano passare al vaglio degli organi centrali per poi accedere all'eventuale approvazione e conferma del sovrano.

Fu tra XIII e XIV secolo che anche le città del Meridione si avviarono a svincolarsi dalla totale dipendenza giuridica dalla Corona. 

Rispetto alla citata uniformità di fondo, le differenze tra le universitates del regno di Sicilia sorto dalla guerra dei Vespri del 1282 erano dovute principalmente alla composizione dei ceti dirigenti e alla diversa disponibilità di privilegi di emanazione regia sia in campo giurisdizionale che in quelli relativi a concessioni per le attività economiche e mercantili. Soprattutto nelle città maggiori come Palermo e Messina le élite locali erano fortemente coinvolte nella gestione delle risorse della comunità e nelle relazioni con le autorità centrali[64]. Il sistema politico del Regno si basava pertanto sul dialogo tra questi due ambiti di potere quello centrale e quello locale. Partendo dall'iniziale uniformità giuridica, si andò caratterizzando per la progressiva l'edificazione di una struttura policentrica dovuta ai diversi fulcri di autonomia amministrativa che le varie comunità demaniali seppero ritagliarsi e consolidare. Questi sviluppi presero avvio nella prima metà del Trecento con l'ammissione dell'elettività degli ufficiali e la redazione delle consuetudini delle varie comunità e si tradussero in un'accresciuta produzione di fonti normative. Durante il XV secolo questo sistema si consolidò e stabilizzò soprattutto per le iniziative delle diverse città che vollero sottoporre alla Corona richieste e conferme che una volta approvate acquisivano vigore normativo e venivano raccolte e redatte da ogni centro e che dal XVI secolo confluirono nei cosiddetti "libri rossi"[65]. Ciononostante la stessa articolazione economica e sociale prima che giuridica che connotavano le universitates meridionali ne deprimeva le opportunità di contrattazione. I cives non solo erano costretti a trarre i loro limitati margini di autonomia dalle concessioni della corona, ma dovevano anche far fronte ai loro antagonisti naturali: la nobiltà e il patriziato urbano. Questa debolezza politica dei ceti produttivi urbani era almeno in parte imputabile alla loro scarsa incidenza economica e commerciale, ereditata dal centralismo normanno-svevo. Sul piano economico e produttivo la campagna continuava a prevalere sulla città e sulle attività manifatturiere e commerciali con ovvie ripercussioni sul peso politico dei rispettivi protagonisti[66].

Ciononostante anche le limitate conquiste che i cives delle universitates meridionali raggiunsero attraverso le concessioni regie costituiscono un passo rilevante per l'abbandono e il superamento dell'immobilità dei vecchi sistemi sociali che abbinavano il potere all’esercizio delle armi e alla proprietà della terra. Occorre inoltre rilevare che le trasformazioni che le accompagnarono rivelano dinamiche troppo spesso trascurate dalle visioni storiografiche che hanno assunto come parametro le organizzazioni comunali delle città centro-settentrionali. Tanto più che, come già sottolineato, le vicende socio politiche di queste ultime portarono ad un sostanziale declino della rispondenza delle promulgazione statutarie alle rispettive realtà, mentre si contraevano anche le effettive facoltà di partecipazione alla vita pubblica. 

Un discorso a parte va fatto per il territorio sardo che conobbe sia consuetudini che statuti e "carte de logu". Per comprenderne premesse, motivazioni ed esiti occorre calarsi nella complessa storia politico-istituzionale delle comunità dell'isola, passate «...dall'orbita pisana e genovese a quella aragonese, fino ad affrontare il problema cruciale del ruolo dello statuto nella statualità nascente e nella sua dimensione pattizia di modello ispanico»[67].

Il profilo ampiamente sintetico del fenomeno statutario che si è voluto fornire evidenzia come allo scopo di comprenderne le motivazioni, gli intenti e i reali esiti sia necessario contestualizzare le diverse codificazioni nei loro ambiti cronologici, sociali e geopolitici e verificare per quanto possibile la loro rispondenza alle realtà interessate.

Come fonti gli statuti impongono infatti diversi livelli di lettura e di interpretazione che curino con particolare attenzione la distinzione tra il piano delle intenzioni espresse e quello della loro efficacia[68].

Per valutarne l’originalità e la congruenza è pertanto necessario intraprendere e mantenere un rapporto di vicendevole scambio tra contestualizzazione e comparazione, tra analisi e confronto, tra visione locale e generale. 

 


[1]Su questa lunga evoluzione è tuttora molto utile il saggio che Gian Savino Pene Vidari ha pubblicato come introduzione all'ottavo volume del Catalogo della raccolta di Statuti, consuetudini, leggi, decreti, ordini e privilegi dei comuni, delle associazioni e degli enti locali italiani dal medioevo alla fine del secolo XVIII, XVIII, a cura di Sandro Bulgarelli, Alessandra Casamassima e Giuseppe Pierangeli, Firenze 1999, pp. XI - XCVI. 

[2] Sul tema vedi Le Deputazioni di storia patria e la ricerca sugli statuti, Atti della giornata di studi Roma, 23 ottobre 2014, Biblioteca del Senato, a cura di Carla Frova, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria», n.112 (2015), pp. 279 - 403, in particolare il contributo di Gherardo Ortalli, Statuti e Deputazioni: problemi e prospettive, pp. 303 - 314; inoltre in relazione all'area emiliana Pierpaolo Bonacini, Gli statuti medievali alle radici della storia patria. Il caso modenese nella seconda metà dell'Ottocento, in La norma e la memoria. Studi per Augusto Vasina, a cura di Tiziana Lazzari, Leardo Mascanzoni e Rossella Rinaldi, Istituto Storico per il Medioevo, Nuovi Studi Storici, 67, Roma 2004, pp. 307 - 341.

[3] Di questa raccolta fu poi pubblicato in otto volumi tra il 1943 e il 1999 il Catalogo della raccolta di statuti, consuetudini, leggi, decreti, ordini e privilegi dei comuni, delle associazioni e degli enti locali italiani dal Medioevo alla fine del secolo XVIII, avviato da Corrado Chelazzi e ora disponibile in versione digitale in formato pdf.

[4] Il suo interesse per gli statuti si era manifestato fin dai primi studi quando nel 1931 compilò un catalogo descrittivo degli statuti bolognesi (Catalogo descrittivo degli statuti Bolognesi conservati nell'Archivio di Stato di Bologna, Biblioteca dell'Archiginnasio, s. II, n. XLI, Bologna 1931) ponendosi nel solco delle ricerche di Gaudenzi, di Torelli, di Simeoni, di Cencetti. 

[5] L’appello fu poi pubblicato in occasione del convegno tenuto a Sassari nel 1983: M. Ascheri, La pubblicazione degli statuti: un'ipotesi di intervento, in Gli statuti sassaresi, Atti del convegno di Sassari 12-14 maggio 1983, a cura di A. Mattone e M. Tangheroni, Sassari 1986, Edes, pp. 95-105.

[6] Tra gli altri Mario Ascheri, Duccio Balestracci, Laura Balletto, Attilio Bartoli Langeli, Severino Caprioli, Mario Caravale, Pio Caroni, Giorgio Chittolini, Pietro Corrao, Pietro De Leo, Ettore Dezza, Rolando Dondarini, Piero Fiorelli, Hagen Keller, Jean Claude Maire Vigueur, Enrico Menestò, Maria Grazia Nico Ottaviani, Sandro Notari, Gian Savino Pene Vidari, Ugo Petronio, Vito Piergiovanni, Diego Quaglioni, Andrea Romano, Gabriella Rossetti, Rodolfo Savelli, Mario Sbriccoli, Claudia Storti Storchi, Marco Tangheroni, Gian Maria Varanini, Augusto Vasina. Altri si occuparono prevalentemente di codici locali e territoriali: da citare in proposito il Corpus Statutario delle Venezie, la collezione diretta da Gherardo Ortalli che fu avviata nel 1984 e gli Statuti rurali e statuti di valle. La provincia di Bergamo nei secoli XIII - XVIII, Atti del del Convegno, Bergamo, 5 marzo 1983, a cura di Mariarosa Cortesi, Bergamo 1984.

[7] Società e istituzioni dell'Italia comunale: l'esempio di Perugia (secoli XII-XIV), Atti del congresso storico internazionale (Perugia, 6-9 novembre 1985), Deputazione di storia patria per l'Umbria, 1988.

[8] Su promozione del Centro di studi internazionali "Giuseppe Ermini" di Ferentino, nel marzo del 1988 si svolse il convegno dal titolo Statuti e ricerca storica (Atti del convegno, Ferentino, 11-13 marzo 1988, «Quaderni di Storia» n.8, 1991): Claudia Storti Storchi, Note introduttive a Scritti sugli statuti lombardi, Milano, Giuffré Editore, 2007, pp. XXII-XXIII. Di nuovo a Ferentino e per iniziativa del Centro "Ermini" nel maggio 1989 si tenne il convegno Gli statuti cittadini. Criteri di edizione, elaborazione informatica, concluso da una tavola rotonda alla quale presero parte studiosi laziali e storici del diritto provenienti da tutta Italia.

[9] Legislazione e società nell'Italia medievale, Atti del convegno per il VII centenario degli Statuti di Albenga (Albenga, 18-21 ottobre 1988), Collana storico-archeologica della Liguria occidentale, XXV (1990). 

[10] Mario Ascheri, Statuti, legislazione e sovranità: il caso di Siena, in Statuti città territori in Italia e in Germania tra Medioevo ed Età Moderna, a cura di Giorgio Chittolini e Dietmar Willoweit, Bologna 1991, pp. 145 – 194; Id., Gli statuti: un nuovo interesse per una fonte di complessa tipologia, in Biblioteca del Senato della Repubblica. Catalogo della raccolta di Statuti, VII,  lettera "S", a cura di Giuseppe Pierangeli e Sandro Bulgarelli, Roma 1993, pp. XXXI-XLIX. Di rilievo anche le repertoriazioni per aree che hanno assunto anche la funzione di incentivo ed esempio per iniziative analoghe, tra le quali si ricordano il Repertorio degli statuti comunali umbri, a cura di Patrizia Bianciardi e Maria Grazia Nico Ottaviani, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, Spoleto 1992; Statuti cittadini, rurali e castrensi del Lazio, Repertorio (secoli XII-XIX), ricerca diretta da Paolo Ungari, Roma, [LUISS], 1993, ed. provv. (Pubblicazioni del Gruppo di ricerca sugli usi civici e gli statuti nel Lazio “Guido Cervati”, 2).

[11] Rolando Dondarini, Gli statuti medievali, in La storia come storia della civiltà, Atti del memorial per Gina Fasoli, a cura di Silvia Neri e Paola Porta, Bologna 1993, pp. 77-80; Id. Gli statuti cittadini medievali tra innovazione e persistenze, in L’eredità culturale di Gina Fasoli, Atti del convegno di studi per il centenario della nascita (1905-2005) – (Bologna - Bassano del Grappa, 24-26 novembre 2005) a cura di Francesca Bocchi e Gian Maria Varanini, Roma 2008, (Nuovi Studi Storici dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 75), pp. 261-281

[12] Il quadro dei referenti che ne è derivato è stato il seguente: per le acquisizioni presso la Biblioteca del Senato, Sandro Bulgarelli; per gli statuti di associazioni e corporazioni in ambito nazionale Sandro Notari, per la Sardegna, Olivetta Schena e Marco Tangheroni; per la Sicilia, Pietro Corrao; per la Puglia, Pasquale Corsi; per la Calabria e la Basilicata, Pietro De Leo; per la Campania, Giovanni Vitolo; per gli Abruzzi e il Molise, Alessandro Clementi; per il Lazio, Alfio Cortonesi; per l'Umbria Maria Grazia Nico e Patrizia Bianciardi; per la Toscana, Duccio Balestracci, Laura Galoppini, Paolo Pirillo, Enrica Salvatori e Francesco Salvestrini; per le Marche, Valter Laudadio e Massimo Meccarelli; per l'Emilia-Romagna, Enrico Angiolini e Augusto Vasina; per la Liguria, Rodolfo Savelli; per il Veneto, Gian Maria Varanini; per la Lombardia, Giuliana Albini; per il Piemonte, Francesco Panero; per l'Alto Adige, Hannes Obermair; per il Trentino, Mauro Nequirito; per il Friuli, Donata De Grassi e Michele Zacchigna; per la Svizzera Italiana, Elsa Mango Tomei; per l'Istria e la Dalmazia, Franco Colombo; per la Corsica, Silio Paolo Scalfati.

[13] La libertà di decidere. Realtà e parvenze di autonomia nella normativa locale del medioevo, Atti del Convegno Nazionale di Studi (Cento, 6 - 7 maggio 1993), a cura di Rolando Dondarini, Cento 1995. Al congresso centese ne sono seguiti altri promossi da altri gruppi di studiosi: nei pressi di Ascona, nel Canton Ticino quello dal titolo Dal dedalo statutario, Atti dell'incontro di studio dedicato agli Statuti, Centro seminariale Monte Verità, 11-13 novembre 1993, a cura di Pio Caroni, Bellinzona 1995; a Bergamo il convegno su Gli statuti della Valle Brembana superiore del 1468, a cura di Mariarosa Cortesi, ed. Provincia di Bergamo - Assessorato Servizi Sociali e Cultura, Centro Documentazione Beni Culturali, Bergamo 1994, Fonti per lo studio del territorio bergamasco, Statuti II; a Pisa nel dicembre del 1994 il convegno dal titolo Le tradizioni normative urbane dell’Europa continentale e mediterranea a cui hanno partecipato, oltre che molti degli studiosi citati, altri fautori della ripresa degli studi statutari, tra cui Gherardo Ortalli e Umberto Santarelli. Tra le pubblicazioni di riferimento sul tema generale vedi Vito Piergiovanni, Lo statuto: lo specchio normativo dell'identità cittadina, in Gli statuti dei comuni e delle corporazioni in Italia nei secoli XII - XVI, catalogo della mostra (Biblioteca del Senato, 8 novembre 1995 - 8 gennaio 1996) a cura di Sandro Bulgarelli, Roma 1995. Degno di menzione anche il convegno organizzato ad Ascoli Piceno nel 1998 Gli statuti delle città: l’esempio di Ascoli nel secolo XIV, Atti del Convegno di studio svoltosi in occasione della XII edizione del Premio internazionale Ascoli Piceno, Ascoli Piceno, 8 - 9 maggio 1998, a cura di Enrico Menestò, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 1999, Collana dell’Istituto superiore di studi medievali “Cecco d’Ascoli” di Ascoli Piceno, n. s. 9. 

[14] Anche per le fonti del diritto, infatti, la presunzione di poterne estrarre notizie mancando di un'adeguata preparazione specifica o ignorando le avvertenze e le cautele suggerite dagli esperti, può portare a gravi errori di valutazione.

[15] Dato il comune anelito ad approfondire le reciproche conoscenze, per gli storici e i giuristi confluiti nel comitato è stata la consapevolezza delle proprie peculiarità di formazione scientifica e metodologica a indurre la promozione di ulteriori contatti e confronti nel rispetto delle rispettive competenze.

[16] Il gruppo di studi sulla legislazione suntuaria ebbe origine nel 1996 traendo spunto dagli esiti positivi dei primi anni di lavoro del CISEFN. Su proposta di Massimo Miglio si è costituito un comitato scientifico composto da Mario Ascheri, Rolando Dondarini, Allen Grieco, Giuseppe Lombardi, Maria Giuseppina Muzzarelli e Lucio Riccetti e che ha coinvolto docenti e ricercatori delle università di Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Milano, Roma, Siena, Torino, Viterbo e del Centro di Studi sul Rinascimento della Harvard University. Dopo un'attenta delimitazione degli ambiti tematici, cronologici e geografici delle iniziative, l'équipe degli studiosi si è indirizzata a promuovere il censimento, la raccolta, la pubblicazione e la comparazione delle normative riguardanti l'abbigliamento, l'alimentazione e il lavoro, affidando la funzione di coordinamento nazionale a Maria Giuseppina Muzzarelli. L'articolazione dei lavori per regioni ha poi portato alla realizzazione di diversi repertori delle relative fonti suntuarie. Dopo un'indagine sul tema (Maria Giuseppina Muzzarelli, A norma di legge. La disciplina suntuaria dal XIII al XV secolo, in Ead. Gli inganni delle apparenze. Disciplina di vesti e ornamenti alla fine del Medioevo, Torino, pp. 99 - 154), il consistente gruppo di studiosi coordinato dalla stessa autrice ha censito e raccolto i dati per il ponderoso repertorio: La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Emilia-Romagna, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, Roma, Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale per gli archivi, 2002 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato. Fonti XLI), indici analitici a cura di Rolando Dondarini e Maria Venticelli. Per altre aree: La normativa suntuaria romana tra '400 e '500, in Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento, Studi dedicati ad Arnold Esch, a cura di Anna Esposito e Luciano Palermo, Roma 2005, pp. 147 - 179; La legislazione suntuaria. Secoli XIII- XVI. Umbria. Secoli XIII - XVI, a cura di Maria Grazia Nico Ottaviani, Roma 2005. In un quadro più articolato e ampio con focalizzazioni su altre aree Disciplinare il lusso: la legislazione suntuaria in Italia e in Europa tra Medioevo ed Età moderna, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli e Antonella Campanini, Roma 2003; 

[17] Su tutti questi eventi vedi Rolando Dondarini, Bilancio decennale del Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, in Autonomía Municipal en el mundo mediterraneo. Historia y perspectivas, Valencia 2002, pp. 23-30. Nel dettaglio Id., Incontro/seminario sui repertori delle fonti statutarie (San Miniato, 10-11 settembre 1994), «Medioevo. Saggi e Rassegne», 19 (1994), pp. 187-206; Enrico Angiolini, Un incontro sulle repertoriazioni territoriali di fonti statutarie (San Miniato, 10-11 settembre 1994), «Rassegna degli Archivi di Stato», LIV (1994), pp. 626-640; Id., Repertori territoriali di fonti statutarie: bilanci, programmi e iniziative in corso (San Miniato, 10-11 settembre 1994), «Nuova Rivista Storica», LXXIX (1995), pp. 409-424; Giancarlo Benevolo, Repertori territoriali di fonti statutarie. San Miniato (PI), 10-11 settembre 1994, «Ricerche Storiche», XXV (1995), pp. 179-186; Enrico Angiolini, Le edizioni degli statuti: esperienze recenti e progetti di edizione (San Miniato, 22-23 settembre 1995), «Medioevo. Saggi e Rassegne», 20 (1995), pp. 495-507; Giancarlo Benevolo, Attività e programmi del Gruppo Nazionale di Studi sulle normative medievali italiane (1993-1995), «Proposte e ricerche», XXXV (1995), pp. 205-207; Rolando Dondarini, «De Statutis». Un comitato nazionale per l'intercomunicazione su studi ed edizioni di fonti normative, «Anecdota», a. V (1995), n. 2, pp. 115-117. Il quarto convegno nazionale del CISEFN si è svolto a Cagliari dal 24 al 29 settembre 1996; in proposito vedi Maria Venticelli, Studi e fonti normative cittadine, «Quaderni medievali», 43 (giugno 1997), pp. 193 - 202; Anna Maria Oliva e Olivetta Schena, Corti e muniicipi nella Corona d'Aragone. Proposte scientifiche e linee di ricerca per una valorizzazione delle'Europa mediterranea, «Medioevo. Saggi e Rassegne», 25 (2002), pp. 191 - 201.  Questo convegno era stato preceduto da un seminario sugli "statuti territoriali" tenuto presso il Centro di Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo di San Miniato: Laura Turchi, Fonti per la storia della civiltà italiana tardomedioevale: gli statuti «territoriali», San Miniato 9 - 14 settembre 1996De Statutis: www.statuti.unibo.it. Enrico Angiolini, Gli Statuti e la stampa, Bologna 23 - 24 gennaio 1998, ibidem. Tra le pubblicazioni conseguenti alla partecipazione al convegno su Gli statuti e la stampa: Giorgio Montecchi, I primi statuti a stampa: le procedure tipografiche di un genere editoriale aperto, in La norma e la memoria..., cit, pp. 269 - 293.  

[18] Per sovrintendere alla raccolta e alla stesura delle schede fu costituito un Comitato di redazione composto da Giuliana Albini, Sandro Bulgarelli, Rolando Dondarini e Gian Maria Varanini.

[19] L'anno successivo fu pubblicato l'ottavo volume del citato Catalogo della raccolta di Statuti, consuetudini, cit. con la citata introduzione di Gian Savino Pene Vidari che ha preso in esame le alterne sorti del tema statutario nella storiografia italiana.

[20] La tavola rotonda si tenne nella sala “Zuccari” di Palazzo Giustiniani, una delle sedi del Senato. 

[21] Signori, regimi signorili e statuti nel Tardo Medioevo, Atti del VII Convegno del Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, Ferrara 5-7 ottobre 2000, a cura di Rolando Dondarini, Gian Maria Varanini, Maria Venticelli, Patron, Bologna 2003. 

[22] Metodologie elettroniche per l’edizione di fonti: lo statuto del Comune di Bologna dell’anno 1376, tesi di Dottorato in Storia e informatica, XI ciclo, Bologna 2001.

[23] Senza dover rinunciare alle pubblicazioni cartacea, l’edizione “informatica” non solo si affianca a quella consueta, ma la arricchisce di un valore aggiunto che si traduce in un concreto ampliamento delle possibilità di trasmissione, di elaborazione e di studio dei contenuti originali. In tal senso lo stridore tra l’attualissima veste elettronica e quella sempre affascinante dei manoscritti antichi è solo apparente; nella loro riproduzione informatica è possibile conservare e riproporre secondo le forme originarie la cartulazione, lo specchio di scrittura, i segni di capoverso, le loro colorazioni e quelle delle rubriche, l’indicazione di lettere e parti miniate, di aggiunte e note a margine, di lacune, macchie e abrasioni. Ci si può spingere anche a riprodurre abbreviazioni e compendi e i relativi scioglimenti, che come è noto non sono ritenuti necessari, in particolare per i manoscritti più tardi. In ogni caso è possibile lasciare ai fruitori la scelta di far comparire diversi livelli di completezza: dalle trascrizioni del tutto analoghe a quelle a stampa alle versioni più ricche di particolari. L’adozione di programmi adeguati consente di scegliere quali componenti del testo visualizzare secondo gli interessi e le curiosità dei fruitori. In tal senso rispetto alla sola edizione tradizionale, non si è più costretti a irrigidirsi in selezioni degli elementi da conservare e di quelli da scartare perché inconciliabili con le limitazioni imposte dalla stampa. A queste funzionalità vanno naturalmente aggiunte quelle implicite nell’adozione del supporto elettronico quali le ricerche di lemmi e la elaborazione di indici analitici.

[24] Tra le pubblicazioni più significative il Repertorio degli statuti emiliani e romagnoli (secc. XII-XVI), a cura di Augusto Vasina, I-III, Roma 1997-1999 (Fonti per la storia dell’Italia medievale, Subsidia, 6*-6***); il Repertorio degli statuti della Liguria (secc. XII - XVIII), a cura di Rodolfo Savelli, Regione Liguria, Genova 2003, il ponderoso repertorio de La legislazione suntuaria. Secoli XIII-XVI. Emilia-Romagna, a cura di Maria Giuseppina Muzzarelli, cit.; le pubblicazioni coordinate e condotte da Anna Laura Trombetti tra le quali l'edizione de Lo Statuto del Comune di Bologna dell'anno 1335, a cura di Anna Laura Trombetti Budriesi, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 2008. In precedenza aveva curato assieme a Valeria Braidi la pubblicazione dei rubricari degli statuti bolognesi del Tre e Quattrocento: Per l’edizione degli statuti del comune di Bologna (secoli XIV e XV), I rubricari, a cura di Anna Laura Trombetti e Valeria Braidi, Bologna 1995. 

[25] Le comunità rurali e i loro statuti, Atti dell’VIII Convegno del Comitato Italiano per gli Studi e le Edizioni delle Fonti Normative, Viterbo 30 maggio 1°giugno 2002, a cura di Alfio Cortonesi e Federica Viola, 2 voll, Gangemi Editore, Roma 2006.  

[26] Gli statuti universitari: tradizione dei testi e valenze politiche, Atti del Convegno Internazionale di studi, (Messina – Milazzo 13 – 18 aprile 2004) a cura di Andrea Romano, Clueb, Bologna 2007, (Studi, n. 8 del Centro interuniversitario per la storia delle università italiane),

[27] I curatori della pubblicazione sono stati Enrico Angiolini, Beatrice Borghi, Alessandra Brighenti, Alessandra Casamassima Rolando Dondarini, e Roberto Sernicola.

[28] Per l'occasione sono state presentate due pubblicazioni: Falegnami e muratori a Bologna nel Medioevo: statuti e matricole (1248-1377), a cura di Elisa Erioli, Bologna, Patron, 2014, e Statuta Brasichellae et Vallis Hamoniae. Aneliti di autonomia della comunità di Brisighella nel XV secolo a cura di Beatrice Borghi e Giulia Piva, Bologna, Patron, 2014.

[29] Le Deputazioni di storia patria e la ricerca sugli statuti, Atti della giornata di studi, Roma, Biblioteca del Senato, 23 ottobre 2014, a cura di Carla Frova, «Bollettino della Deputazione di storia patria per l'Umbria», n. 112 (2015), pp. 279-403, cit. con interventi di Attilio Bartoli Langeli, di Alessandra Casamassima, di Alberto Meriggi, di Paola Monacchia, di Gherardo Ortalli, diMaria Grazia Nico Ottaviani, di Paola Pavan e di Francesco Pirani.

[30] A raccogliere l'invito di Beatrice Borghi e Rolando Dondarini fornendo le schede bibliografiche dell'area di competenza sono stati Enrico Angiolini, Fabrizio Alias, Enrico Basso, Marialuisa Bottazzi, Roberta Braccia, Gabriella Cainazzo, Pietro Corrao, Laura Galoppini, Sonia Merli, Mauro Nequirito, Maria Grazia Nico, Sandro Notari, Hannes Obermair, Francesco Panero, Sebastiana Rocco, Maria Antonietta Russo, Roberto Sernicola, Olivetta Schena nonchè i nuovi giovani componenti del gruppo bolognese dal quale nacque l'iniziatica del Comitato e della Bibliografia, cioè Filippo Galletti e Antonio Marson Franchini.

[31] Con tali intenzioni si stabilirono regole e divieti in relazione ad ogni aspetto della vita sociale: l'igiene, la tutela degli spazi pubblici e privati, le attività produttive e il commercio, la viabilità e l'ambiente, la fiscalità e l'ordine pubblico. Nell'ambito dell'organizzazione comunale gli statuti furono emanati anche per attribuire deleghe a uffici e funzionari e perciò si distinsero subito dalle normative di ogni altro sodalizio laico o religioso già esistente o successivo, poiché il loro ambito di ricaduta e di vincolo non si limitava agli associati in gruppi circoscritti, ma tendeva ad imporsi come generale e comune nell’intenzione di sottoporre città e territori a ordinamenti vincolanti. Fu anche per questi motivi che in origine gli statuti cittadini attirarono le critiche di chi li considerava privi di un’adeguata legittimazione da parte della fonte del diritto universalmente riconosciuta, cioè dell’autorità imperiale. Per il loro valore implicito di ordinamenti a carattere territoriale e quindi di leggi locali suscitarono perplessità tra i dottori del diritto dato che venivano emanati in contrasto con la dottrina del diritto a base giustinianea che riconosceva solo al sovrano la facoltà di legiferare. Tuttavia fin dalle origini tra dottori del diritto e statutari si passò spesso dalla diffidenza alla collaborazione, tanto che molti dottori contribuirono alla stesura e alla revisione dei codici sia nelle nuove stesure sia nell’interpretatio di vecchi codici: Mario Sbriccoli, L'interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell'età comunale, Milano 1969, passim; Paolo Grossi, Un diritto senza stato (la nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medievale), «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», XXV (1996), Giuffré, Milano 1996.

[32] Paolo Grossi, Un diritto..., cit., pp. 282-283: “…la costituzione [giuridica] medievale non è articolata in un arcipelago di sovranità, ma in un tessuto di autonomie…”.

[33] Giorgio Tamba, Una corporazione per il potere. Il notariato a Bologna in età comunale, Bologna 1998, p. 331; Massimo Giansante, Retorica e politica nel Duecento. I notai Bolognesi e l'ideologia comunale, Roma 1999, (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Nuovi Studi Storici, 48).

[34] Su questi temi vedi tra gli altri Attilio Bartoli Langeli, La documentazione degli stati italiani nei secoli XIII-XV: forme, organizzazione, personale, in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moderne, Roma 1985, in particolare pp. 48 – 53; Paolo Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma 1991 pp. 125 - 203; Jean Claude Maire Vigueur, Révolution documentaire et révolution scripturaire: le cas de l'Italie médiévale, «Bibliothèque de l'École des chartes», 153 (1995), pp. 177-185; Le scritture del Comune. Amministrazione e memoria nelle città dei secoli XII e XII, a cura di G. Albini, Torino 1998; Mario Ascheri Istituzioni medievali, Bologna 1999.

[35] Su questo aspetto Mario Sbriccoli affermava che  «…il solo fatto di darsi uno statuto fu, per lunghissimo periodo, un atto politico di grande importanza» e l'uso politico dello statuto si espletava in tre momenti: l'individuazione dei problemi; la soluzione legislativa; l'aggiornamento interpretativo da parte dei gruppi che si alternarono alla guida del comune ed era quindi preventivo al momento della legislazione e successivo attraverso l'interpretazione, ovvero l'adattamento delle norme alle nuove realtà: Mario Sbriccoli, L'interpretazione dello statuto..., cit., pp. 26 e segg.

[36] Con potestas statuendi non si intende soltanto la capacità di stabilire regole comuni, ma anche quella di conferire autorità e prerogative agli uffici pubblici e ai loro responsabili, nonché quella di attribuire l’arbitrium di interpretare e aggiornare i testi statutari: Massimo Meccarelli, Statuti, "potestas statuendi"  e "arbitrium": la tipicità cittadina nel sistema giuridico medievale, inGli statuti delle città: l'esempio di Ascoli nel secolo XIV, Atti del Convegno di studio, Ascoli Piceno, 8-9 maggio 1998, a cura di Enrico Menestò, Ascoli Piceno 1999, pp. 87-124, p. 109. 109; Claudia Storti Storchi, Appunti in tema di «potestas condendi statuta», in Statuti città territori..., cit. pp. 319 - 344; Ettore Dezza, Statutum et arbitrium, in Statuti bonacolsiani, a cura di Ettore Dezza, Anna Maria Lorenzoni e Mario Vaini, Mantova 2002.     

[37] Era un arbitrium che non poteva porsi in conflitto col dettato delle norme, ma che serviva quasi solamente per adattare le norme alle necessità quotidiane: arbitrium super bono et pacifico statu civitatis. Solo in rari casi la potestas statuendi e l'arbitrium su cui essa si basava consentivano di intervenire anche sugli statuti già vigenti. Secondo Bartolo e Baldo ciò poteva avvenire solo per giusta causa - come in occasione e in casi non previsti dalla precedente normativa (arbitrium super casibus novis) - e ad opera di istituzioni assembleari, quindi come aggiornamento a nuove esigenze, ma a corollario e a conferma sostanziale e complessiva della normativa vigente Massimo Meccarelli, Statuti, "potestas..., cit., p. 110.

[38]Ciò benché alcune autorevoli voci contemporanee avessero ironizzato sulla reale incidenza e durata dei codici statutari: non solo Dante (Purgatorio, Canto VI, 142 - 144: «...fai tanto sottili/ provedimenti ch'a mezzo novembre / non giugne quel che tu d'ottobre fili») ma anche Petrarca lamentava il rapido declino delle norme municipali (De republica optime administranda, p. 377: «Senescunt iam pene romanae leges, et nisi in scholis assidue legerentur, iam procul dubio senuissent; quid statutis municipalibus eventurum putas? Ut statutum illud igitur antiquum valeat, renovandum est... » («Le leggi romane cominciano a diventare vecchie, e se non si leggessero assiduamente nelle scuole, ormai senza dubbio sarebbero sparite; cosa credi accadrà agli statuti municipali? Dunque affinché quel celebre statuto antico abbia valore dovrà essere rinnovato... ») . Diffusi anche i modi di dire «legge di Verona dura da terza a nona»; «legge fiorentina, fatta la sera, è guasta la mattina»: Francesco Calasso, Medioevo del diritto, I, Le fonti, Milano 1954, pp. 425.. ciononstante diversi studi hanno già dimostrato come col tempo più che il contenuto e le prescrizioni delle norme contasse la loro stessa vigenza, come attestazione giuridica di autonomia e prerogative politiche:Gherardo Ortalli, L'outil normatif et sa durée. Le droit statutaire  dans l'Italie de tradition communale, «Cahiers de Recherches Médiévales (XIIIe - XVe s.)», IV (1997), pp. 163-173.

[39] Gli atti del convegno centese La libertà di decidere... cit, possono tutt'ora ora offrire un’utile comparazione tra tutte le aree di lingua italiana.

[40] L'incidenza dei codici normativi cittadini fu molto diversificata e fortemente legata alle situazioni e alle evoluzioni di ciascun ambito spazio/temporale, soprattutto in riferimento agli assetti sociali e ai reali fulcri del potere politico che potevano essere prevalentemente interni o esterni alle diverse comunità cittadine. Questi aspetti riguardano oltre che la dialettica tra città dominanti e centri minori delle aree più intensamente occupate dagli stati cittadini del territorio italiano, anche le città d’oltralpe dipendenti da signorie esterne. Sul tema vedi Aspetti e componenti dell'identità urbana in Italia e Germaniasecoli XIV – XVI, Atti del Convegno dell’Istituto trentino - Trento settembre 2000, a cura di Giorgio Chittolini e Peter Johanek, Bologna/Berlin 2003. L’esistenza di centri majores, mediocres et minores fu compendiata anche dall'Albornoz: Costituzioni Egidiane dell'anno MCCCLVII, a cura di Pietro Sella, Roma 1912 (Corpus  (Corpus Statutorum Italicorum, sotto la direzione di Pietro Sella) .

[41] Gli statuti dei centri minori, quando consentiti, ebbero un significato del tutto differente, dato che  corrisposero in primo luogo a tentativi di salvaguardia delle consuetudini di uso locale, già da tempo esercitate e ovunque minacciate dall'invadenza di potentati in espansione - signori laici o ecclesiastici o gli stessi comuni cittadini maggiori - per poi perdere man mano ogni efficacia politica, fino a ridurre le competenze locali al solo campo amministrativo, come del resto accadeva su scala più ampia per le città sottoposte ad una dominante. 

[42] Roma costituì un caso a parte e peculiare per il quale si è opportunamente rilevato che accanto alla città dei papi - che per tanto tempo ha catalizzato l'interesse degli storici -  viveva la comunità cittadina con le sue associazioni e le relative attività e norme. Per porre rimedio a questa lacuna e per mettere a fuoco anche questi aspetti, alla scarsità delle fonti statutarie e memorialistiche pervenute si è cercato di porre rimendio integrandone l'utilizzo con quello di altre fonti come le imbreviature notarili e le riformagioni: Lori Sanfilippo, La Roma dei Romani. Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento, Istituto Storico per il Medioevo, «Nuovi Studi Storici», 57, Roma 2001 (per una recensione: Arnold Esch, «Rivista Storica Italiana», CXV (2003), 1, pp. 357 - 360); Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento, a cura di Anna Esposito e Luciano Palermo, Roma 2005; Lori Sanfilippo, Constitutiones et Reformationes del Collegio dei notai di Roma (1446). Contributi per una storia del notariato romano dal XIII al XV secolo, Roma 2007 (Miscellanea della Società romana di storia patria, 52); Jean-Claude Maire Vigueur, L'autre Rome: une histoire des Romains à l'époque des communes (XIIe-XIVe siècle), Tallandier, Paris 2010, trad. L'altra Roma: una storia dei romani all'epoca dei comuni (secoli XII-XIV), Einaudi 2011.

[43]Per ciascuno di questi contesti è comunque opportuno ricercare premesse, stadi evolutivi, vicende ed eventi che si ripercossero nella emanazione dei relativi codici normativi. Nelle fasi di formazione dei comuni cittadini ad esempio alle dinamiche economiche, sociali e politiche interne si aggiunsero sia le contese coi centri minori e con quelli rivali sia le ripercussioni dei conflitti con l’autorità imperiale o con le città dominanti, con le conseguenze sulle alterne fortune delle aristocrazie locali, fino all’affermazione di dinastie signorili. Nella successiva formazione degli stati regionali, all’emergere di centri egemoni e agli sviluppi dei conseguenti disegni centralistici, si affiancarono i fenomeni di selezione dei maggiorenti locali capaci di assumere funzioni di depositari e vicari del potere centrale. In riferimento alle differenti vicende che caratterizzarono i regni meridionali e insulari è necessario tener conto delle evoluzioni dei rapporti tra la corona e le componenti delle società cittadine: borghesia e patriziato urbani naturalmente, ma anche nobiltà feudale. Per le terre della Chiesa occorre seguire le evoluzioni e gli esiti parziali delle intermittenti trattative tese a far convivere sottomissione alla Sede Apostolica e preminenze locali, nonché le risultanze di promulgazioni generali - come le constitutiones egidiane - e delle pattuizioni particolari condotte con ogni città soggetta, soprattutto tra XIV e XVI secolo.

[44] Sul tema cfr Giorgio Chittolini, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado: secoli XIV e XV, Torino, 1979; Gian Maria Varanini, Dal comune allo stato regionale, in La Storia, a cura di Massimo Firpo e Nicola Tranfaglia, II, 2 Il medioevo, Torino 1986, pp. 689-720; i numerosi contributi in L'organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII – XIV, Atti del convegno dell'Istituto Italo-Germanico di Trento, 7 - 12 settembre 1992, a cura di Giorgio Chittolini e Dietmar Willoweit, Bologna 1994. 

[45] Per le comunità minori ad esempio i codici statutari furono di volta in volta espressioni della volontà di conservare margini di autonomia nei confronti di dominanti vecchie e nuove, oppure traduzioni normative delle sottomissioni ad esse.

[46] Fra le più note proposte di suddivisione per fasi successive del lungo processo di promulgazione del diritto tra XII e XIX secolo, si ricorda quella di Francesco Calasso che individuava una prima fase dal (XII-XIII secc.) con "predominio del diritto comune sopra ogni altra fonte concorrente"; una seconda (XIV e XV) definita come "periodo del diritto comune sussidiario"; una terza iniziata nel XVI secolo e definita come "periodo del diritto comune particolare": Francesco Calasso Introduzione al diritto comune, Milano 1951, pp.  125 e segg.

[47] Come già rilevato, fin dalle fasi di formazione dei comuni il significato degli statuti andava ben oltre le ovvie implicazioni normative, dato il valore politico che era insito nell’intento di tutela degli ordinamenti civici dalle ingerenze imperiali: Mario Sbriccoli, L'interpretazione..., cit..

[48] Ovviamente questa schematizzazione non può tener conto delle singole dissincronie che si verificarono rispetto ad ogni fase. Nella seconda metà del XIV secolo ad esempio, quando ormai le selezioni di vertice delle società urbane avevano generato sistemi oligarchici e preminenze signorili, a Firenze, a Bologna, a Perugia e ad Ascoli si redassero statuti di ispirazione popolare, che tuttavia furono presto sviliti da deroghe che conferirono potere a cerchie elitarie sempre più salde e selezionate. In merito utilissimo il profilo evolutivo in Mario Ascheri, Le città-Stato, Bologna 2006. 

[49] Anche il fatto stesso che i codici statutari puntassero a disciplinare comportamenti legati a particolarità locali, sia durevoli che transitorie e mutevoli, rendeva parte delle norme effimere e la loro efficacia strettamente legata all'attualità.

[50] Peraltro le diverse forme con cui si praticava l'interpretatio degli esperti valevano a conservare e a rinnovare le valenze politiche degli statuti, poiché il ricorso ai giuristi sia per interpretarne il dettato sia per applicarli comportava naturali immissioni e adeguamenti di significato politico anche quando le motivazioni originarie erano decadute: Mario Sbriccoli, L'interpretazione dello statuto..., cit. Sul tema Gherardo Ortalli, Lo statuto tra funzione normativa e valore politico, in Gli statuti delle città: l'esempio di Ascoli nel secolo XIV, cit., pp. 11-35; Mario Sbriccoli, Legislation, justice and political power in italian cities 1200- 1400, (1997) ora in Id, Storia del diritto penale e della giustizia, Milano, 2009, pp. 47 - 72; Massimo Meccarelli, Pensare la legge nel tempo dell'autonomia del diritto. Esperienze medivali e moderne, in Le legalità e le crisi delle legalità, a cura di Claudia Storti, Torino 2016, pp. 127 - 158, pp. 129 -131  

[51] Molte rubriche essendo indirizzate a rispondere ad esigenze normative di società in naturale evoluzione, erano fatalmente destinate a perdere almeno in parte la loro congruenza iniziale. Il naturale decadimento della loro conformità era commisurato al disuso e alla insufficienza di revisioni e di nuove redazioni. Tuttavia, col diradarsi delle stesure di nuovi codici, alla loro perdita attualità non corrispose affatto un’analoga perdita del loro valore simbolico e rappresentativo, soprattutto in rapporto all'esibizione di capacità di autodeterminazione. Per la questione della lunga vigenza e dei suoi paradossi cfr. Gherardo Ortalli, L'outil normatif et sa durée. Le droit statutaire  dans l'Italie de tradition communale, «Cahiers de Recherches Médiévales (XIIIe - XVe s.)», IV (1997), pp. 163-173. Vedi anche Rolando Dondarini, Lo statuto comunale come strumento della trasmissione dell’immagine politica ed etica della città, in Imago UrbisL’immagine della città nella storia d’Italia, Atti del convegno internazionale (Bologna 5 - 7 settembre 2001), a cura di Francesca Bocchi e Rosa Smurra, Roma 2003, pp. 271-284.

[52] Se la lunga vigenza di statuti non revisionati con la frequenza necessaria per rinnovarli secondo l'evolversi delle situazioni reali ne accresceva le parti compromesse dall'anacronismo normativo, persisteva comunque il significato politico e simbolico della loro persistenza in chiave identitaria che assunse particolare rilievo nei conflitti tra città dominanti e centri minori, tra sedi centrali e comunità soggette.

[53] Come già accennato queste cautele suggeriscono di condurre analisi testuali che possono consentire di rilevare aspetti codicologici, lessicali e terminologici per individuare derivazioni, parentele, aree e tempi di promulgazione e di vigenza: Giorgio Chittolini, A proposito di statuti e copiaticci, ius proprium e autonomia. Qualche nota sulle statuizioni delle comunità non urbane nel tardo medioevo lombardo, in Dal dedalo statutario..., cit., pp. 171 - 192; per le varie aree italiane, La libertà di decidere..., cit, passim 

[54] Giorgio Chittolini, A proposito di statuti ..., cit.;

[55] Id., Città, comunità e feudi nell’Italia centro-settentrionale [secoli XIV- XVI], Milano, 1996, pp. 85-104; L’ambizione di essere città: piccoli, grandi centri nell’Italia rinascimentale, a cura di Elena Svalduz, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, 2004. 

[56] Si concedeva così una forma di autonomia che comportava una nuova gerarchia del diritto: nell'affrontare questioni non previste dagli statuti o dalle consuetudini locali si doveva far ricorso, prima che al diritto comune, agli statuti della dominante i cui organi di giurisdizione divenivano le sedi per le ultime istanze processuali. Sulle diverse tipologie di tali codificazioni vedi Signori, regimi signorili e statuti nel Tardo Medioevo, a cura di Rolando Dondarini, Gian Maria Varanini e Maria Venticelli, cit..

[57] Jean-Claude Maire Vigueur, Comuni e signorie in Umbria, Marche e Lazio, Torino 1987.

[58] Costituzioni Egidiane dell'anno MCCCLVII,... cit.

[59] I mutamenti nel significato politico degli statuti sono stati sottolineati anche in relazione alle proibizioni di petere arbitrium, cioè di richiedere e ottenere facoltà deliberative superiori a quelle consentite dagli statuti, reperibili in codici emanati in tutta l'area comunale. Questi veti, in origine motivati dall'esigenza di evitare eccessive concentrazioni di potere o intromissioni esterne e quindi per arginare l'invadenza delle emergenti dinastie signorili, divennero al contrario pretesti di queste per avocare a sé i poteri decisionali acquisiti: Massimo Meccarelli, Statuti, “potestas statuendi” e “arbitrium”..., cit.,  pp. 114 - 115.

[60]Antonio Ivan Pini, Dal comune città-stato al comune ente amministrativo, in Città, comuni e corporazioninel medioevo italiano, Bologna 1986, pp. 57 - 218. Nelle promulgazioni e nelle revisioni effettuate sotto regimi signorili si coglie un implicito riconoscimento dell’egemonia del patriziato urbano sotto le sembianze delle antiche magistrature con una mimetizzazione che sanciva assetti sociali divenuti ormai stabili. Di tale mimetizzazione erano ben consapevoli molti dei protagonisti della vita politica del tempo che a volte giunsero a utilizzare le promulgazioni o le conferme di codici statutari come strumenti di propaganda, presentandosi ora come paladini dello spirito civico ora come magnanimi dispensatori di concessioni per le istanze locali.

[61] Nell'esaminare le promulgazioni dell'Italia centro-meridionale e insulare è necessario svincolarsi dai parametri dell'Italia comunale e considerare che le normative urbane meridionali scaturirono dalle pattuizioni tra le élite delle comunità urbane e la Corona e trassero vigore dalla probatio regia. In questa prospettiva si rivaluta il ruolo delle comunità cittadine come partecipe delle dialettiche politiche in cui si confrontavano: Pietro Corrao Le città dell'Italia meridionale: un caso storiografico da riaprirein La libertà di decidere..., cit. pp. 35-60; Id., Forme della negoziazione politica nel regno di Sicilia fra Trecento e Quattrocentoin Negociar en la Edad Media - Négocier au Moyen Age, a cura di Maria Teresa Ferrer Mallol, Barcelona 2005, pp. 241 - 261.

[62] Queste restrizioni impedivano ogni tentativo di adozione autonoma di norme locali poichè l'unica fonte del diritto rimaneva il sovrano. Tra gli altri vedi Francesco Galasso, La legislazione statutaria nell’Italia meridionale, Bologna 1929; Giuseppe Galasso, Mezzogiorno medievale e moderno, Torino 1965; Id., Dal comune medievale all’Unità. Linee di storia meridionale, Bari, 1969;Mario Del Treppo, Medioevo e Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per un’interpretazione, in Forme di potere e struttura sociale in Italia nel Medioevo, a cura di Gabriella Rossetti, Bologna 1977, pp. 249 – 284; Mario Caravale, La legislazione statutaria dell’Italia meridionale e della Sicilia, in Gli statuti sassaresi Economia, società e istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età moderna, a cura di Antonello Mattone e Marco Tangheroni, Sassari 1986, pp191-211; Andrea Romano, Fra assolutismo regio e autonomie locali. Note sulle consuetudini delle città di Sicilia, in Cultura ed Istituzioni della Sicilia medievale e moderna, a cura di Andrea Romano, Soveria Mannelli 1992, pp. 9 - 70; Pietro Corrao, Le città dell'Italia meridionale: un caso storiografico da riaprire..., cit.; Salvatore Tramontana, Il Mezzogiorno medievale: normanni, svevi, angioini, aragonesi nei secoli XI-XV, Roma 2000.

[63] Oltre alla Corona e alla nobiltà feudale, tra i protagonisti delle dinamiche sociali vanno annoverati gli esponenti del patriziato urbano, che grazie ai patrimoni acquisiti potevano ambire all'assunzione di cariche pubbliche e formavano una cerchia analoga e spesso intrecciata con la componente feudale, della quale spesso emulavano comportamenti e stili di vita in ambito cittadino.

[64] Pietro Corrao, Forme della negoziazione politica..., cit. 

[65] Ibid. Dunque i "libri rossi" sono raccolte tardive di benefici concessi dalla Corona a seguito di richieste e suppliche delle comunità urbane, emanati solo dopo la concessione della probatio regia, considerata indispensabile anche per regolare le tradizionali gestioni amministrative locali. Vi confluirono i documenti che attestavano il riconoscimento alle universitates delle consuetudines et antiques more… e la fruizione di agevolazioni, privilegi ed esoneri ottenuti, come sgravi fiscali e doganali; riunendoli nei "libri rossi" se ne vollero agevolare la consultazione dando al contempo conferma alle specifiche risorse giuridiche acquisite da ogni comunità cittadina. Come fonti la loro natura di raccolte a posteriori impone di verificarne l'autenticità e la reale ascendenza a concessioni precedenti.

[66] Nelle comunità dei regni meridionali non si era formato un ceto borghese dotato di forza politica come quello sorto nei comuni cittadini attraverso le associazioni corporative di mestiere e la loro ascesa al potere. Anche coloro che da borghesi accedevano per ricchezza acquisita ai ranghi dell’aristocrazia meridionale ne emulavano i simboli e gli atteggiamenti conferendovi nuova vitalità. 

[67] Diego Quaglioni, Un bilancio storiografico, in Signori, regimi signorili e statuti..., cit., pp. 11 - 20; Gli Statuti sassaresi. Economia, società, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età Moderna, a cura di Antonello Mattone e Marco Tangheroni, Sassari 1986; Francesco Cesare Casula, La Carta de Logu del Regno d'Arborea, C. N. R., Cagliari 1994; La Carta de logu d'Arborea nella storia del diritto medievale e moderno, a cura di Italo Birocchi e Antonello Mattone, Roma-Bari, 2004; Carta de Logu dell'Arborea. Nuova edizione critica secondo il manoscritto di Cagliari (BUC 211), con traduzione italiana", a cura di  Giovanni Lupinu ISTAR-Centro di Studi Filologici Sardi, Oristano 2010Anna Maria Oliva - Olivetta Schena; Potere regio ed autonomie cittadine nei parlamenti sardi del XV secolo, in Autonomía Municipal ..., cit. , pp. 133 - 165

[68] La prospettiva più opportuna per analizzarli è quella che punta a far interloquire il dettato dei codici con tutte le altre testimonianze disponibili, collocandoli in orizzonti più vasti che consentano di verificare l'originalità, la reale portata e l'efficacia degli enunciazioni e delle formule adottate.