Andrea Gabban
Nel suo romanzo capolavoro (Turchetta 2015: XLI) Il sorriso dell’ignoto marinaio (1976), Vincenzo Consolo costruisce un’opera capace di ibridare i generi letterari più diffusi della contemporaneità. La prosa del Sorriso, infatti, è stata riconosciuta come permeata di elementi lirici (cfr. Attanasio 2005), mentre le scritte in versi che costituiscono l’ultimo capitolo sono dominate da uno stile prosastico e prosaico che valica talora il limite del turpiloquio.
Queste ultime, in particolare, si presentano come graffiti realizzati col carbone sulle mura di un carcere dai condannati a morte che vi erano reclusi in attesa dell’esecuzione della pena per il loro ruolo nella strage seguita alla rivolta contadina di Alcàra li Fusi (1860) nel messinese. L’occasione mortuaria insieme forse allo stile basso delle scritte hanno fatto pensare ai commentatori che Consolo avesse voluto realizzare «un’Antologia di Spoon River terribile sempre, nell’odio, nel rimorso, nella nostalgia di libertà» (Segre 1991: 81). Cercheremo qui di approfondire il legame con il canzoniere di Edgar Lee Masters (1915), indagando le convergenze nel rapporto con la Storia e l’identità nazionale e il ruolo delle figure femminili.
All’inizio del Novecento, l’antropologo Giuseppe Pitrè visitò il carcere palermitano dello Steri, dove erano stati rinchiusi per secoli i prigionieri dell’Inquisizione nello Stato borbonico, e notò che le mura delle celle erano costellate di scritte di ogni genere lasciate dai prigionieri nel corso della loro permanenza, che quasi sempre si protraeva sino alla loro morte. L’unico prigioniero evaso - poi catturato una seconda volta e giustiziato - fu un frate eretico che era riuscito a liberarsi e uccidere il delegato dell’Inquisizione che lo stava interrogando. La sua storia, raccontata negli anni ‘60 da Leonardo Sciascia in Morte dell’inquisitore (1964), riportò l’attenzione sulle testimonianze scovate quasi mezzo secolo prima da Pitrè. Nello stesso periodo, inoltre, una nuova linea storiografica, che trova il suo massimo rappresentante nello studio di Carlo Ginzburg intitolato Il formaggio e i vermi (1976), si stava concentrando sulle vicende umane dei popolani, normalmente esclusi dalla narrazione storica.
Scrittore profondamente radicato nel dibattito storico-politico del suo tempo, Vincenzo Consolo non poteva che partecipare attivamente a queste ricerche. La scelta di concentrarsi sui fatti di Alcara li Fusi è emblematica della sua attenzione per le zone d’ombra della Storia. Tra le rivolte contadine del Risorgimento, quella di Alcara è nettamente meno conosciuta rispetto a quella di Bronte, oggetto anche della novella La libertà (1882) di Giovanni Verga.
Tale attenzione per i vinti si riflette anche nel linguaggio delle scritte carcerarie del Sorriso. Consolo, infatti, era convinto della necessità di ascoltare la voce del popolo in modo non mediato, ma attraverso un contatto diretto che la spogliasse di tutte le sovrastrutture di cui era caricata da intellettuali che non condividevano le stesse esperienze di vita. Il barone Enrico Pirajno di Mandralisca, voce narrante che riporta i fatti di Alcara e copia le scritte carcerarie dei rivoltosi, afferma tale necessità in quello che la critica ha identificato come il passaggio chiave del Sorriso. Scrivendo all’avvocato Giovanni Interdonato, che riuscirà miracolosamente a evitare la condanna a morte di molti dei prigionieri alcaresi, Mandralisca esprime così il punto di vista dell’autore, lamentando la mancanza di libertà e democrazia che opprimeva i popolani sotto la dominazione borbonica:
"E gli altri, che mai hanno raggiunto i diritti più sacri e elementari, la terra e il pane, la salute e l’amore, la pace, la gioja e l’istruzione, questi dico, e sono la più parte, perché devono intendere quelle parole a modo nostro? Ah, tempo verrà in cui da soli conquisteranno que’ valori, ed essi allora li chiameranno con parole nuove, vere per loro, e giocoforza anche per noi, vere perché i nomi saranno intieramente riempiti dalle cose". (Consolo 1976: 89)
In attesa della realizzazione di questa profezia, Consolo non può che mediare tra la lingua realmente parlata dai contadini-rivoltosi risorgimentali delle scritte e quella comprensibile - seppur distante dall’italiano contemporaneo - ai suoi lettori. Infatti, dei dodici epitaffi che i condannati a morte scrivono per loro stessi, solo l’ultimo è propriamente in dialetto, mentre tutti gli altri si riconoscono stilati in un volutamente anacronistico italiano sgrammaticato. Non manca, però, una patina siciliana molto marcata nella lingua di tutte le scritte, evidente ad esempio in espressioni come «DISCASSAI LA CASINETTA» (ivi: 113), oppure «IL VERNO CHE CI FU LA CARESTIA» (ivi: 116), o ancora in parole dal vocalismo marcatamente siciliano come «VINDITTA» (ivi: 119), quando non cariche di riferimenti alla tradizione letteraria isolana, e.g. il termine verghiano «ROBA» (ivi: 116).
Nonostante questa mediazione, quella del Sorriso - sia nelle scritte che nel resto del romanzo - risulta essere essa stessa una lingua nuova, che consente di ridare voce ai responsabili della rivolta di Alcara anche a distanza di un secolo. Consolo non vuole con ciò giustificare i misfatti - e, in molti casi, gli omicidi - da loro commessi, ma è convinto che tali violenze siano state il risultato dei secoli di oppressione da loro subita nella società di ancien régime.
Dal canto suo, anche Edgar Lee Masters coniò una lingua nuova nella tradizione poetica americana. Nella sua recensione, infatti, Ezra Pound salutò entusiasticamente le liriche contenute nella Spoon River Anthology come dimostrazione che «at last the American West has produced a poet [...] capable of dealing with life directly, without circumlocution, without resonant meaningless phrases» (Pound 1915: 11). Rispetto alla linea più pomposa che epica dei meno dotati fra gli epigoni di Walt Whitman, la lingua di Masters, sommessa e quotidiana, talora - come quello di Consolo - esplicita e volgare, appare davvero come un altro linguaggio, più diretto e vicino alla vita degli americani, seppur per alcuni «odiosamente prosaico» (Pavese 1951: 53).
Inoltre, i protagonisti dell’Anthology hanno molti punti di contatto con i contadini di Alcara rappresentati da Consolo. Pur non essendosi macchiati - almeno, non tutti - di omicidi e nefandezze, anche gli abitanti di Spoon River sono per la maggior parte dei popolani, o comunque possono tutt’al più assumere una rilevanza a livello locale e diventare delle celebrità di paese. È questo, ad esempio, il caso di “Walter Simmons”, cresciuto dai genitori con la prospettiva di diventare un inventore «as great as Edison or greater» (Masters 1915: 338), che finì invece a lavorare per tutta la vita come orologiaio per guadagnarsi da vivere, facendo nascere in paese la convinzione che la sua attività fosse un freno per l’espressione del suo genio. Simmons, però, con la sincerità brusca tipica dell’Anthology, afferma semplicemente: «It wasn’t true. The truth was this:/I didn’t have the brains» (ibidem). Nelle parole di Cesare Pavese (1951: 55), Masters rappresenta «la convinzione, sofferta in ogni pagina, che, per soddisfacente e definitiva che possa parere una soluzione della vita, ci saranno sempre altri individui che ne resteranno fuori». La Spoon River Anthology è una raccolta delle vite di questi vinti, destinati a rimanere delusi anche quando, come nel caso di Simmons, l’ingresso nella Storia sembrerebbe essere a un passo.
Nonostante rimangano al di fuori delle narrazioni storiografiche, tuttavia, né Alcara li Fusi né il paesino americano lambito dal fiume Spoon sono rappresentabili come una sorta di isole felici al di fuori del tempo. La stessa Storia che si rifiuta ostinatamente di consegnare queste realtà alla conoscenza dei posteri si abbatte però su di esse con straordinaria violenza quando ancora non erano state segnate da eventi degni di nota. Infatti, le due località, seppur fotografate dalla letteratura in luoghi e tempi molto diversi, sono entrambe travolte loro malgrado dal processo di unificazione italiana e statunitense, avvenute al prezzo di numerose vite, e dalla costruzione delle rispettive identità nazionali.
Nella rappresentazione letteraria, questo paradosso viene a galla, gettando una luce sinistra sul nazionalismo e sui miti che vengono trasmessi in modo perlopiù acritico dalle strutture educative dello Stato. Tornare indietro nel tempo, come fanno Consolo e Masters, non significa dunque rendersi protagonisti di un semplice esercizio di erudizione storica, ma lanciare un segnale d’allarme alla contemporaneità, affinché stia all’erta quando i miti nazionali vengono usati per giustificare guerre e violenze. Le date di pubblicazione delle due opere sono significative: la Spoon River Anthology uscì in volume nel 1915 - dopo essere apparsa su un periodico nell’anno precedente, - quando ormai l’Europa era impegnata nella Prima Guerra Mondiale, a cui gli Stati Uniti avrebbero preso parte due anni dopo. Dall’altro lato, Il sorriso dell’ignoto marinaio apparve nel 1976, nel pieno degli anni di piombo e due anni prima dell’assassinio di Aldo Moro, in un clima in cui il dibattito su cosa volesse dire essere italiani e quale Italia fosse necessario costruire era dolorosamente acceso.
Il Sorriso, in particolare, si inserisce all’interno di una tradizione molto diffusa nella letteratura italiana - e siciliana in particolare - che Vittorio Spinazzola ha definito romanzo antistorico. Si tratta di un genere di opere che, attraverso la messa in discussione dell’esperienza risorgimentale, si propongono di «promuovere un esame di coscienza collettivo che investa da capo a fondo il sistema di certezze cui l'opinione pubblica si affida, nella politica e nell'economia, nella cultura e nel costume» (Spinazzola 1990: 9).
Nel romanzo di Consolo, infatti, le voci dei ribelli alcaresi vanno in direzione opposta rispetto alla retorica del Risorgimento come momento in cui l’Italia, unificandosi in uno Stato nazionale, otteneva la libertà. Per queste persone, poveri braccianti spinti all’esasperazione dal sistema feudale del regno borbonico, l’unica cosa che conta è l’opposizione tra proprietari terrieri e lavoratori. Mentre i primi sono presi dall’idea di Nazione e accolgono Garibaldi come un liberatore, i secondi ricercano un altro tipo di libertà, principalmente quella dalla fame e dalle angherie dei padroni.
Le scritte testimoniano chiaramente questa opposizione. Nella settima, ad esempio, si legge: «VIVA LA TALIA/GRIDÒ IL GALANTOMO/VINDITTA VINDITTA/GIUSTIZIA/IL NOSTRO CAPOBANDA» (Consolo 1976: 119; “Viva l’Italia”/Gridò il padrone/“Vendetta, vendetta!/Giustizia!”/il nostro capobanda). L’undicesima, addirittura, non si limita ad attribuire ai proprietari terrieri quella passione per la libertà cui i popolani oppongono il loro violento desiderio di vendetta, ma consiste totalmente in un’invettiva verso quegli stessi valori che appaiono ai ribelli estranei e ostili come le persone che li propugnano:
PORCA LA TALIA/PORCO LO RE/E PORCO GARIBARDO/GIUDA DI COLONNELLO CHE CI DISARMÒ/VIVA LO POPOLO/VINDITTA SOPRA VINDITTA/AMARO A CHI/PER SORTE SI APPRESENTA/ANCORA A ME/E DICE PATRIA UNA E MONARCHIA (ivi: 123; Porca l’Italia,/porco il re/e porco Garibaldi,/quel Giuda di un colonnello/che ci ha disarmato!/Viva il popolo!/Vendetta dopo vendetta!/Guai a chi/per caso si presenta/ancora davanti a me/e dice di unificare la Patria sotto la monarchia).
Alla base del processo di riunificazione italiana, dunque, non ci sono solo figure come Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi, ma anche personaggi del tutto analoghi agli alcaresi. Costoro vedono lo sbarco dei Mille come un’occasione per liberarsi dalla miseria in cui versano, salvo poi vedere le loro speranze svanire per mano di quegli stessi uomini che credevano essere liberatori.
La Spoon River Anthology, invece, ha un rapporto più ambivalente con la retorica americana e in particolare quella sulle guerre della seconda metà dell’Ottocento. Da un lato, Masters non poteva che ammirare la risolutezza con cui Lincoln aveva lottato per garantire l’abolizione della schiavitù, ma dall’altro, riconosce che la guerra è sempre una tragedia. In particolare, dato l’accentuato localismo di Masters, i conflitti bellici sono, per i personaggi che riposano sulla collina, una delle scarse presenze di uno Stato lontano dal loro mondo della prateria, uno Stato che, nonostante i giusti ideali, manda a morire la gioventù del paese.
Già nella famosissima lirica proemiale, intitolata “The Hill”, il binomio tra morte e ideali legati alla guerra appare evidente. All’ennesima iterazione della domanda retorica su dove siano finiti i paesani, il poeta nomina un gruppo di persone «who had talked/ With venerable men of the revolution» (Masters 1915: 42). Ovviamente, sono tutti morti, ma ciò che interessa è quanto ci viene detto subito dopo: la vita di questi personaggi è associata all’immagine luttuosa dei loro figli morti in battaglia e dei nipoti orfani che piangevano. A loro volta, i singoli epitaffi confermano che, per quanto una voce possa rispecchiarsi perfettamente negli ideali della guerra di secessione - come quella di “Jacob Goodpasture” (cfr. ivi: 132) - non può non essere abbattuta dal dramma di sopravvivere al proprio figlio, al punto di morirne a sua volta di dolore. Anche “Jefferson Howard” (cfr. ivi: 228), al momento di stabilirsi a Spoon River, afferma quindi di portare con sé dalla Virginia i valori del padre, che odiava la guerra non meno della schiavitù.
Questa consapevolezza, poi, si fa ancora più traumatica nei racconti di coloro che combatterono la guerra ispano-americana nelle Filippine e porta i personaggi di Masters a rapportarsi in modo che tutt’oggi sarebbe considerato problematico con un simbolo fortemente identitario come la bandiera. Proprio con la necessità di tenere alto l’onore della star-and-stripes, infatti, “Harry Wilmans” dice di essere stato convinto ad arruolarsi, andando contro il parere del padre. Una volta giunto a Manila, però, la realtà appare molto diversa da come gli era stata presentata. Harry è costretto a sopportare il territorio paludoso e le zanzare, assieme alla sifilide portata dalle prostitute e alla vita degradante della trincea, proprio seguendo la bandiera. Ucciso con una fucilata allo stomaco, le sue spoglie vengono riportate in patria, dove l’epitaffio sulla sua tomba si conclude con le disperate parole: «Now there’s a flag over me in/Spoon River. A flag!/A flag!» (ivi: 442).
La bandiera non è più, dunque, simbolo di una forte coesione nazionale, ma l’insegna che ha corrotto il giovane a combattere, lasciandosi seguire mentre lo conduceva alla morte. La poesia successiva, inoltre, si mette in dialogo con questa situazione, spiegando da dove viene il vessillo che onorerà la tomba di Harry Wilmans. Esso proviene da quella di John Wasson, un soldato che combatté con l’amico John Bryan nella battaglia decisiva per le sorti della Rivoluzione americana. Dei due, solo Wasson sopravvisse e decise di sposare Rebecca, moglie di Bryan, che divenne amica della nonna di Masters quando si stabilirono a Spoon River (cfr. ivi: 444, nota).
La poesia dedicata a Wasson è in netto contrasto sia con la retorica della bandiera che aveva portato alla morte Wilmans che con quella della libertà cui si appellavano i reduci della guerra civile. Al contrario, le ragioni del conflitto con gli inglesi non vengono neppure nominate - per quanto condivise da ogni americano - e tutto il racconto si concentra sulle asperità della vita da pioniere, le varie cittadine costruite e poi continuamente lasciate e le tragedie della morte di due dei figli della coppia durante il viaggio. Come Wilmans, anche Wasson non dà molto peso alla bandiera che sta davanti al proprio sepolcro, anzi, dichiara «If Harry Wilmans who fought the Filipinos/Is to have a flag on his grave/Take it from mine!» (ibidem).
Un’altra categoria di esclusi che Il Sorriso dell’ignoto marinaio e l’Antologia di Spoon River prendono in considerazione sono le donne. Nella concezione comune - cambiata solo in parte e comunque in tempi recentissimi, - le grandi rivoluzioni e le guerre del passato sono materia unicamente maschile, nella quale il ruolo delle donne consisteva al massimo nel dare corpo alla Patria o alla Nazione nelle rappresentazioni artistiche (cfr. Bouchard 2008: 227).
Questo pregiudizio sembra essere confermato dai più noti romanzi italiani del Risorgimento, nei quali non c’è spazio per un ruolo attivo della figura femminile. Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) di Ugo Foscolo, ad esempio, l’amore del protagonista per Teresa è una mera controparte sensuale della sua passione politica, ambedue destinate a essere frustrate (ibidem). Più di un secolo dopo, Il Gattopardo (1958) di Giuseppe Tomasi di Lampedusa presenta addirittura le donne come l’oggetto di scambio attraverso cui nobili decaduti o borghesi emergenti cercano di ritagliarsi uno spazio nel vecchio ordine feudale (ivi: 230).
Nel suo romanzo, Vincenzo Consolo adotta una prospettiva marcatamente differente. Per poterla apprezzare, però, è necessario spostarsi all’interno del romanzo vero e proprio e abbandonare la coda poetica delle scritte. In esse, infatti, le donne di Alcara sono quasi totalmente assenti e servono solo a ridare un barlume di umanità ai protagonisti delle violenze, che dalla prigione ripensano affettuosamente alle compagne che non rivedranno più.
Al contrario, i capitoli in prosa consentono una maggiore varietà rappresentativa, che culmina nella figura di Catena Carnevale e in quella tragica della vergine rediviva. La prima serve da collante tra i due protagonisti del romanzo: da suo padre, infatti, il barone di Mandralisca aveva comprato il ritratto dipinto da Antonello da Messina che dà il titolo all’opera di Consolo e Catena stessa aveva sfregiato il quadro perché le ricordava troppo il suo promesso sposo assente, quello stesso Giovanni Interdonato che avrebbe difeso i responsabili della rivolta di Alcara. Stretta tra queste due figure di patrioti realmente esistiti, Catena non esaurisce in ciò il suo ruolo: durante il secondo incontro tra Mandralisca e Interdonato, quest’ultimo porta in regalo al barone una «tovaglia stramba» (Consolo 1976: 42) cucita proprio da Catena. Il ricamo che spicca dal tessuto appare a prima vista un albero con quattro arance di fattura molto irregolare, ma ad un secondo sguardo assume un significato completamente diverso:
Sì, è l’Italia [...]. E le quattro arance diventano i vulcani del Regno delle Due Sicilie, il Vesuvio l’Etna Stromboli e Vulcano. Ed è da qui, vuole significar Catena, da queste bocche di fuoco da secoli compresso, e soprattutto dalla Sicilia che ne contiene tre in poco spazio, che sprizzerà la fiamma della rivoluzione che incendierà tutta l’Italia. (ibidem)
Tuttavia, una semplice tovaglia ricamata non basterebbe a imprimere un così netto cambiamento alla rappresentazione del femminile nei romanzi sul Risorgimento. Come nota Norma Bouchard, Catena è una figura importante nel testo, seppure sparisca dopo il secondo capitolo, in quanto usa il ricamo come un momento di riposo nel quale riflettere sulla sua vera passione, vale a dire la lettura degli scrittori (e delle scrittrici) italiani e francesi che speculavano tanto sull’autodeterminazione dei popoli quanto su quella delle donne. Così facendo, Catena diventa un’«active symbol maker, [...] writing from the same peripheral and marginal positions that Consolo himself has consciously chosen to occupy» (Bouchard 2008: 234).
La seconda voce femminile che emerge nel Sorriso fa appena in tempo a gridare inutilmente aiuto contro una delle espressioni più bieche della violenza maschile sul corpo e sulla vita della donna. Il protagonista del capitolo terzo, frate Nunzio, è un monaco epilettico che Consolo incarica di predire la rivolta che insanguinerà Alcara di lì a poco. Egli tuttavia nasconde a sua volta un terribile segreto, che segnò la sua cacciata dal monastero e l’inizio della sua vita di eremita. La sera prima della profezia, ospitato nella chiesa di Alcara, il monaco viene preso da una visione del suo passato: una notte, infatti, era stato svegliato dalle urla di una vergine che era stata sepolta viva per errore e si era risvegliata. La fanciulla aveva chiesto immediatamente aiuto a frate Nunzio, l’unico a essere accorso alle sue grida, che però aveva recitato una litania in una strana lingua, mista di latino maccheronico e dialetto siciliano, l’aveva uccisa e poi subito violentata (Consolo 1976: 58-60).
L’Antologia di Spoon River, d’altra parte, presenta una serie di personaggi femminili caratterizzati dalla passione per la letteratura e variamente tormentati dalla società di paese chiusa e repressiva nei confronti delle donne. Un esempio molto chiaro è quello di “Minerva Jones”, che si autodichiara «the village poetess» (Masters 1915: 84), ma che nel villaggio è conosciuta solo per i suoi difetti fisici, a causa dei quali viene ripetutamente schernita. Vittima di una «brutal hunt» (ibidem) da parte del compaesano Butch Weldy, si rifugiò dal dottore, presso il quale morì per le conseguenze della violenza subita e della notte passata priva di sensi all’addiaccio. Il personaggio di Minerva riassume in pochi tratti i due ruoli più innovativi della donna presenti nel romanzo di Consolo: il desiderio di partecipazione alla vita spirituale e la denuncia delle violenze di cui è oggetto. La poetessa, infatti, non si limita a proclamare in eterno le colpe della gente di Spoon River nei suoi confronti, ma aggiunge una domanda retorica ma per questo non meno problematica: «Will some one go to the village newspaper,/And gather into a book the verses I wrote?» (ibidem).
Come Minerva, un altro personaggio richiama la questione della voce femminile in letteratura. “Margaret Fuller Slack” (ivi: 136) tradisce la vocazione letteraria già dal nome: sarebbe, infatti, omonima della Margaret Fuller autrice di Woman in the Nineteenth Century (1845), se solo non fosse per l’aggiunta del cognome del marito. Il matrimonio, infatti, è la causa del fallimento del suo sogno di diventare una scrittrice «as great as George Eliot» (ibidem), in quanto la vita coniugale la ingabbiò nella società mainstream e nel ruolo di educatrice dei suoi otto figli. Al contrario dell’inventore fallito Walter Simmons, non ci è dato sapere se Margaret Fuller Slack avesse realmente le capacità per entrare nel canone letterario americano, poiché la decisione di sposarsi e quella di mantenere la propria identità di donna - i due elementi che la distinguono da George Eliot - sono sufficienti a soffocare ogni sua aspirazione. Nel fulmen in clausola, vale a dire la frase conclusiva di ogni componimento che spesso lo riassume in un aforisma, Margaret mostra di aver colto alla perfezione questo impedimento sociale: «Hear me, ambitious souls,/Sex is the curse of life!» (ibidem)
Con Il sorriso dell’ignoto marinaio, Vincenzo Consolo mostra di non volersi limitare a un’allusione alla Spoon River Anthology come una strizzata d’occhio a un libro allora molto di moda in Italia, ma ne condivide alcune delle riflessioni fondamentali. La scelta di concentrarsi su punti di vista inusuali - siano cittadine di provincia, combattenti dimenticati o donne soffocate dal sessismo - lega le due opere con un filo molto più solido di quanto potrebbe sembrare a prima vista.
Il posizionamento delle scritte alla fine del romanzo è in questo senso molto significativo e serve a disseminare nell’intero testo - e non solo nel suo explicit - le allusioni a Spoon River in un contesto a noi molto più familiare, ma di cui Consolo sente il bisogno di fornirci anche gli antefatti. Arrivare a leggere la voce dei rivoltosi di Alcara li Fusi significa, infatti, aver già intrapreso un viaggio che ci ha stimolati in ogni pagina a vedere il lato nascosto delle narrazioni che crediamo di conoscere meglio e che danno forma alla nostra identità di cittadini ed esseri umani.
Attanasio, Maria (2005), Struttura-azione di poesia e narratività nella scrittura di Vincenzo Consolo, in «Quaderns d’Italià» 10 (2005), pp. 19-30.
Bouchard, Norma (2008), Rewriting the Historical Novel on the Risorgimento in Light of Woman’s History: Gender and Nation in Vincenzo Consolo’s Il sorriso dell’ignoto marinaio, in «Italica», vol. 85, No. 2/3 (Summer - Autumn, 2008), pp. 226-242.
Consolo, Vincenzo (1976), Il sorriso dell’ignoto marinaio, Mondadori, Milano 1987.
Masters, Edgar Lee (1915), Antologia di Spoon River, traduzione italiana di Alberto Rossatti, con testo inglese a fronte, 2a edizione, BUR, Milano 2009 (1a edizione, 2007).
Pavese, Cesare (1951), “Edgar Lee Masters”, in Id., La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1990, pp. 51-72.
Pound, Ezra (1915), Webster Ford, in «The Egoist», Vol. II, No. 1 (January 1st, 1915), pp. 11-12.
Segre, Cesare (1991), "La costruzione a chiocciola nel Sorriso dell'ignoto marinaio di Vincenzo Consolo", in Id., Intrecci di voci. La polifonia nella letteratura del Novecento, Einaudi, Torino 1991, pp. 71-86.
Spinazzola, Vittorio (1990), Il romanzo antistorico, Editori Riuniti, Roma 1990.
Turchetta, Gianni (2015), “Da un luogo bellissimo e tremendo”, in Vincenzo Consolo, L’opera completa, Mondadori, Milano 2015, pp. XXIII-LXXIV.
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